Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i...
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Euskadi, un pareggio vittorioso

di Massimo Angelilli

Domenica 21 aprile, nel Paese Basco, circa un milione e ottocentomila persone erano chiamate alle urne per rinnovare il Parlamento. All’appello ha risposto il 62,5%, suddiviso tra le tre province di Bizcaya, Guipúzcoa e Álava. Una percentuale alta, se paragonata con l’ultimo appuntamento elettorale, quello del 2020 drammaticamente contrassegnato dalla pandemia. Molto più bassa invece, rispetto all’auge dell’80% raggiunto nel 1980, anno delle prime consultazioni dopo la transizione democratica. Nel sistema spagnolo, le elezioni regionali rappresentano un test estremamente significativo, al di là della influenza che potrebbero avere nella politica nazionale. È questa una lettura “classica” che, più o meno, si applica in...
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di Michele Paris

Ieri si è concluso il summit SCO di Pechino, durante il quale i due paesi membri più importanti - Russia e Cina - hanno ribadito il netto rifiuto di qualsiasi intervento armato per risolvere la crisi in Siria e quella del nucleare iraniano. Al centro dell’attenzione dell’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione, nella due giorni nella capitale cinese c’è stato anche il rafforzamento dei legami commerciali tra i paesi che la compongono e il loro ruolo nel futuro dell’Afghanistan in vista del ritiro delle forze di occupazione occidentali entro la fine del 2014.

L’organizzazione che ha tenuto il proprio vertice a Pechino questa settimana, trae origine dal gruppo dei “Cinque di Shanghai”, fondato nel 1996 dai governi di Russia, Cina, Kazakistan, Kirghizistan e Tagikistan. Nel 2001 i cinque membri accolsero l’Uzbekistan, cambiando appunto il nome in Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione. Lo scopo iniziale era piuttosto limitato, cioè di allentare le tensioni tra i paesi membri, mentre successivamente l’obiettivo ufficiale sarebbe diventato quello di formare un fronte comune contro i cosiddetti “tre mali”, vale a dire terrorismo, separatismo ed estremismo.

In poco più di un decennio di vita, l’SCO ha tuttavia assunto sempre maggiore rilevanza, trasformandosi in una sorta di alleanza non solo politica ma anche militare, come dimostrano le svariate esercitazioni congiunte andate in scena dal 2003 e quelle bilaterali tra Russia e Cina, organizzate per la prima volta nella storia di questi paesi due anni più tardi. In particolare, Mosca e Pechino, nonostante una lunga storia di rapporti travagliati, hanno fatto registrare un certo riavvicinamento, promuovendo l’SCO come una risposta alla NATO e alle mire espansionistiche occidentali nel continente asiatico.

Il summit del 6 e 7 giugno si è così inserito in uno scenario di gravi tensioni internazionali, con Russia e Cina ferme nel respingere una soluzione di forza per rovesciare il regime di Assad in Siria. Confermando le posizioni dei rispettivi leader in questi mesi, i paesi SCO hanno denunciato le violenze in Siria ma hanno altresì insistito per una risoluzione diplomatica della crisi. “I membri del gruppo di Shanghai”, recita il comunicato ufficiale emesso giovedì, “sono contrari all’interferenza militare negli affari del Medio Oriente e dell’Africa settentrionale, al trasferimento di poteri forzato e alle sanzioni unilaterali”.

Questa posizione, ribadita fermamente dall’SCO, conferma come Russia e Cina continueranno nel prossimo futuro a porre il veto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU su eventuali risoluzioni che possano spianare la strada ad un intervento armato esterno in Siria. I due governi, infatti, intendono evitare una ripetizione della vicenda libica che portò al rovesciamento di Gheddafi con pesanti ricadute in termini economici e strategici per entrambi i paesi.

La posizione dei paesi SCO sull’Iran, ugualmente dettata dalla comunanza di vedute dei governi russo e cinese, è stata sottolineata dalla presenza a Pechino del presidente Ahmadinejad, il quale ha avuto un faccia a faccia sia con Putin che con Hu Jintao. Russia e Cina vedono con preoccupazione il nuovo deteriorarsi delle relazioni tra Teheran e l’Occidente sulla questione del nucleare dopo gli inconcludenti colloqui di Baghdad del mese scorso e si oppongono sia ad un intervento armato che a nuove sanzioni.

Per la Cina, i timori legati ad un’eventuale aggressione da parte di USA o Israele contro le installazioni nucleari iraniane riguardano principalmente l’impennata del costo del petrolio che ne seguirebbe, con pesanti effetti sulla propria economia, nonché la minaccia all’approvvigionamento del greggio, dal momento che l’Iran è il terzo fornitore di Pechino, dopo Arabia Saudita e Angola.

Oltre a mettersi al riparo dalle possibili conseguenze in ambito economico, la Russia vuole a sua volta evitare un nuovo conflitto in Medio Oriente anche per ragioni strategiche. Un attacco contro l’Iran produrrebbe infatti nuova instabilità nelle vicine repubbliche ex sovietiche, con il rischio di contagiare la stessa Russia.

L’Iran era presente al vertice di Pechino in qualità di paese osservatore all’interno dell’SCO, così come lo sono India, Pakistan e Mongolia. All’incontro hanno partecipato anche Bielorussia e Sri Lanka in quanto “partner di dialogo” del gruppo.

Come previsto, alla presenza del presidente Hamid Karzai, durante il summit lo status di paese osservatore è stato assicurato anche all’Afghanistan, ratificando così le dichiarazioni fatte dai leader di Kabul e di Pechino nei giorni precedenti. Domenica scorsa Karzai aveva annunciato la volontà di Russia e Afghanistan di stringere legami più stretti, al di là di quelli economici.

Il presidente afgano ha parlato significativamente di partnership strategica con la Cina, una definizione già utilizzata per l’accordo siglato recentemente con l’amministrazione Obama che permetterà agli Stati Uniti di rimanere nel paese centro-asiatico ben oltre il 2014. Il presidente cinese, Hu Jintao, mercoledì aveva invece detto di vedere un ruolo più importante per il suo paese e gli altri membri dell’SCO in Afghanistan, sia pure esprimendo qualche cautela vista la situazione ancora precaria a Kabul e ponendo l’accento sugli aspetti economici rispetto a quelli militari.

La presenza a Pechino e il desiderio di entrare a far parte come osservatori dell’SCO di paesi come India, Pakistan e Afghanistan riflette il dilemma strategico dei loro governi, divisi tra un’alleanza con un’America sempre più intenzionata a mantenere il controllo sulle rotte commerciali e sulle riserve energetiche asiatiche e la necessità di cercare un contrappeso a Washington guardando alle potenze vicine - Russia e Cina - con cui essi mantengono rapporti, soprattutto economici, sempre più intensi.

In un altro segnale all’Occidente, poi, l’SCO ha approvato giovedì una dichiarazione di condanna dell’impiego di sistemi di difesa missilistici “da parte di uno stato o di un gruppo di stati”, poiché essi rappresentano una “minaccia alla sicurezza internazionale”. Anche se non nominato esplicitamente, il riferimento è al sistema NATO che gli Stati Uniti intendono allestire sul territorio di alcuni paesi dell’Europa orientale e che la Russia ritiene minacci il proprio deterrente nucleare.

Sul fronte economico, infine, i sei membri dell’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione si sono accordati per accelerare la creazione di una Banca e di un Fondo per lo Sviluppo. Il presidente cinese Hu ha da parte sua promesso lo stanziamento di 10 miliardi di dollari in prestiti a beneficio degli altri paesi SCO, a conferma della crescente dipendenza economica di alcuni di loro da Pechino.

Il dato più importante che è uscito dal primo summit SCO dopo il ritorno di Vladimir Putin al Cremlino, in ogni caso, è la conferma della costante sintonia di Russia e Cina sui temi più delicati nel panorama internazionale. I due paesi continuano ad avere motivi di scontro a causa di interessi divergenti su varie questioni, tuttavia la loro collaborazione è aumentata parallelamente alla necessità di contrastare l’ingerenza occidentale nelle aree strategicamente sensibili del continente asiatico.

Alla luce del rinnovato interesse degli Stati Uniti per l’estremo Oriente e del mantenimento di una sostanziale presenza militare americana in Afghanistan dopo il ritiro promesso da Obama nel 2014, l’Asia continuerà dunque ad essere nei prossimi anni il teatro di crescenti tensioni e rivalità tra le principali potenze del pianeta.

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