Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i manifestanti hanno ottenuto l’appoggio dei docenti, i quali hanno sospeso le lezioni per protestare a loro volta contro l’arresto di oltre cento studenti nei giorni scorsi. Esponenti del Partito Democratico e di quello Repubblicano, così come il presidente Biden, hanno denunciato la mobilitazione, rispolverando le solite accuse di antisemitismo e a...
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di Carlo Musilli

Dentro o fuori. Mancano pochi giorni alle elezioni in Grecia, le seconde in un mese, ma a nessuno sembra più che si tratti di eleggere un nuovo governo. Il voto ellenico è presentato in tutta Europa come un referendum sulla permanenza o meno di Atene nella zona euro. L'equazione sembra facile: se vince Syriza, il partito di sinistra radicale nemico dell'austerity concordata con Bruxelles, si torna alla dracma; se invece prevale Nea Democratia, la formazione conservatrice che ha siglato quello stesso patto con Ue e Fmi in cambio del salvataggio, ai greci si spalanca un futuro di miseria nella moneta unica. Ma è davvero tutto così lineare?

L'impressione è che nelle ultime settimane si stia giocando una partita a carte con un piatto molto pesante. Dall'altra parte del tavolo c'è la Germania, che esclude categoricamente la possibilità di rinegoziare le misure da macelleria sociale imposte alla Grecia. In nome del rigore e dell'intransigenza sulla parola data, Berlino si dice disposta ad affrontare le conseguenze di un'eventuale uscita di Atene. Il tono è minaccioso, eppure fino ad ora nessuno ha dato al Bundestag il potere di cacciare un Paese membro dall'Eurozona.

Tanto più che nemmeno a sua maestà Angela Merkel converrebbe affatto un esito simile della vicenda. Con il ritorno alla dracma, i greci direbbero addio anche al loro debito pubblico, lasciandosi trasportare dalle onde del default totale e incontrollato. Ora, si dà il caso che proprio le banche tedesche siano fra le più esposte in territorio ellenico. L'ultimo dei loro desideri è che quei pasticcioni dei greci si producano in una bancarotta stile Argentina. Un gigante come la Germania non sarebbe comunque in pericolo di vita, ma senza dubbio il salvataggio gli costerebbe meno del fallimento. Vale davvero la pena di rischiare tanto? Se Atene piange, Sparta può far quello che vuole, ma Berlino di sicuro non ride.

Per sfortuna della cancelliera, in Grecia queste cose le sanno benissimo. Ed è qui che al probabile bluff teutonico si intreccia la risposta ellenica. Dopo aver mandato a monte le elezioni di maggio rifiutando di appoggiare qualsiasi possibile coalizione, il giovane leader di Syriza, Alexis Tsipras, mira alla poltrona di premier. E lo fa con un programma che, probabilmente, lo porterà alla vittoria (gli ultimi sondaggi - per quanto inattendibili - lo danno in testa).

A mettersi nei panni di un greco, in effetti, non è facile capire come si possa ancora votare per Nea Democratia o per il Pasok. Nel panorama della politica ellenica, conservatori e socialisti sono i veri responsabili del disastro finanziario attuale. Il Paese si trova in questa situazione perché negli anni passati i partiti di governo hanno truccato pesantemente i conti per soddisfare i parametri di Maastricht e entrare così nell'euro.

Ma non basta. Due anni fa è venuto fuori che dal 2001 la Grecia ha pagato Goldman Sachs e altre banche di investimento per mascherare la quantità di denaro che il Paese chiedeva in prestito ai mercati. Intanto debito e deficit schizzavano alle stelle, con buona pace di Maastricht. Il crollo definitivo è arrivato tra fine 2009 e inizio 2010, quando - come al solito cadendo dalle nuvole -  le agenzie di rating americane Standard & Poor’s e Fitch hanno tagliato il rating ellenico da A- a livello spazzatura nel giro di pochi mesi. 

E oggi? Quale alternativa offre Syriza ai greci? Tsipras dice no al patto d'austerity con l'Europa e punta a nazionalizzare il sistema bancario (dopo opportune ricapitalizzazioni). Vuole alzare a 781 euro lo stipendio minimo e cancellare le norme sul lavoro che hanno abolito i contratti collettivi.

E ancora: mantenere sotto controllo statale le società d'importanza strategica, congelare i tagli sulle pensioni, introdurre misure per alleggerire la pressione sulle famiglie più indebitate e ridurre l'Iva soprattutto sui bene alimentari di prima necessità.

Tutte misure da sogno per il popolo greco, ma con la prima c'è un problema. Ricusare il memorandum siglato con Bruxelles - in linea teorica - vorrebbe dire rinunciare agli aiuti internazionali da 130 miliardi di euro che Unione europea e Fondo monetario internazionale hanno stanziato per il salvataggio del Paese.

Senza le prossime tranche di quei prestiti, le casse elleniche si ritroverebbero a corto di liquidità nel giro di pochi giorni. A quel punto il governo di Syriza inizierebbe a salutare l'Eurozona.

Tsipras però non è affatto un redivivo profeta della dracma, tutt'altro: si dice determinato a mantenere la Grecia nella comunità monetaria. Perché il suo piano funzioni è necessario che la Germania ceda per prima e si convinca della necessità di rinegoziare il memorandum. Dando un'occhiata alle casse delle sue banche, la cancelliera ha miliardi di buoni motivi per farlo. 
  

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