Kirk: dall’omicidio alla repressione

di Michele Paris

L’assassinio di settimana scorsa in un campus universitario dello Utah dell’attivista trumpiano di estrema destra, Charlie Kirk, sta diventando la giustificazione per una nuova stretta repressiva dei diritti democratici in America e di un’autentica caccia alle streghe tra gli oppositori dell’amministrazione repubblicana. Senza attendere dettagli più precisi sugli (eventuali) orientamenti...
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Droni russi e bugie polacche

di Mario Lombardo

Sullo sconfinamento dei droni russi in Polonia nelle prime ore di mercoledì non sono ancora emerse notizie chiare né prove certe, ma il governo di Varsavia e il resto della NATO non hanno come al solito esitato a lanciare una nuova ondata di attacchi e denunce contro Mosca per la presunta aggressione e il pericolo di escalation che essa comporterebbe. Questo atteggiamento di isteria a comando è in genere il primo segnale che si sta assistendo a un’operazione preparata a tavolino, ovvero a una “false flag”, con lo scopo sì di favorire un’escalation militare, ma da parte europea contro la Russia e con il coinvolgimento degli Stati Uniti. I fattori da considerare per fare luce sulla vicenda sono in ogni caso molteplici, ma una...
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di Michele Paris

La prima visita all’estero del neo primo ministro cinese, Li Keqiang, è stata inaugurata domenica in India a pochi giorni da un accordo provvisorio raggiunto tra gli eserciti dei due paesi vicini in seguito al più recente scontro legato all’annosa disputa di confine nella regione himalayana. La contesa rappresenta uno dei principali ostacoli all’incremento dei già consistenti scambi commerciali tra Delhi e Pechino, i cui rapporti sono ulteriormente complicati dalle trame statunitensi nel continente asiatico.

La quattro giorni di Li in India era stata preparata un paio di settimane fa dalla visita a Pechino del ministro degli Esteri di Delhi, Salman Khurshid, visita a sua volta a rischio proprio a causa delle più recenti schermaglie registrate in una zona di confine del distretto di Ladakh, nello stato indiano Jammu e Kashmir.

A metà aprile, infatti, i vertici militari indiani avevano accusato i militari cinesi di avere costruito una postazione provvisoria una ventina di chilometri all’interno dei propri confini. Per tutta risposta, gli indiani avevano mobilitato alcune truppe nell’area in questione minacciando azioni concrete, mentre Pechino aveva negato ogni responsabilità.

Solo il 5 maggio, infine, le due parti hanno concordato il ritiro delle rispettive truppe, consentendo agli incontri diplomatici bilaterali di procedere come precedentemente programmato. Cina e India condividono una linea di confine lunga 4 mila chilometri, oggetto di una disputa spesso accesa nella regione himalayana, attorno alla quale è stata combattuta anche una breve guerra nel 1962.

Le prime fasi della visita di Li Keqiang in India, in ogni caso, sono state caratterizzate da toni distesi e amichevoli, visto il timore condiviso da entrambe le parti per un conflitto che potrebbe facilmente sfuggire di mano.

Appena atterrato a Delhi nella giornata di domenica, il premier cinese si è detto fiducioso di potere contribuire a dare un impulso alla cooperazione e alla fiducia tra i due paesi più popolosi del pianeta. Lunedì, poi, Li ha annunciato un’intensificazione degli sforzi bilaterali per risolvere la questione del confine, offrendo a Delhi “una stretta di mano attraverso l’Himalaya”, così da facilitare la trasformazione dei due paesi nel “nuovo motore dell’economia globale”.

I rapporti economici tra Pechino e Delhi, anche se in declino rispetto al 2011, hanno toccato i 66 miliardi di dollari nel 2012 e l’auspicio di entrambe le parti è di sfondare quota 100 miliardi già nel 2015. Secondo gli osservatori e gli stessi membri dei due governi, tuttavia, le potenzialità degli scambi sono frenate da contese come quella attorno alla linea di confine himalayana.

Le questioni economiche sono al centro dei colloqui di questi giorni e stanno particolarmente a cuore all’India, visto il deficit di quasi 30 miliardi a proprio sfavore a causa delle ingenti esportazioni cinesi dirette verso questo mercato, ormai superiori anche a quelle americane, tedesche e giapponesi.

La controversia legata alla definizione del confine ha però inevitabilmente occupato le prime pagine dei giornali dei due paesi fin dalla vigilia della partenza di Li Keqiang per Delhi. Gli organi di stampa cinesi, soprattutto, hanno lanciato segnali distensivi all’India, facendo intravedere una possibile accelerazione delle trattative per risolvere lo scontro. A partire dagli anni Ottanta, Cina e India hanno tenuto quindici round di negoziati senza raggiungere alcun risultato significativo.

L’agenzia di stampa ufficiale Xinhua, così, nella giornata di sabato ha aperto un editoriale sulla visita del premier cinese in India affermando che “rapporti ostili tra i due paesi vicini penalizzano gli interessi di entrambi”. Lo stesso articolo, inoltre, ha affrontato indirettamente il ruolo degli Stati Uniti nell’alimentare, o quanto meno sfruttare, le tensioni tra Cina e India, così da isolare Pechino nel quadro della cosiddetta “svolta” asiatica decisa fin dal 2009 dall’amministrazione Obama.

“Coloro che in Occidente tendono a definire le relazioni tra Cina e India attraverso le dispute territoriali”, ha scritto Yang Qingchuan su Xinhua, “dimenticano il fatto che il loro problema legato ai confini è in larga misura un’eredità del colonialismo occidentale”, dal momento che “per migliaia di anni queste due antiche civiltà raramente si sono scontrate per questioni territoriali”.

Il tentativo statunitense di sfruttare i propri solidi rapporti con Delhi per rafforzare il fronte anti-cinese in Asia, poi, viene denunciato ancora più chiaramente quando l’autore sostiene che la Cina “non ha mai cercato di irrobustire i legami con un qualsiasi paese a spese delle proprie relazioni con l’India” e che quest’ultima “perseguirà la sua politica nei confronti della Cina secondo il proprio volere, senza essere parte dei progetti di altre potenze”.

Il velato riferimento al ruolo di Washington nell’evoluzione dei rapporti sino-indiani dell’editoriale pubblicato qualche giorno fa da Xinhua conferma come l’aumento delle tensioni in questi ultimi anni attorno al confine himalayano sia da collegare almeno in parte alla già ricordata nuova strategia americana nel continente.

Per gli Stati Uniti, cioè, l’India rappresenta un partner fondamentale nell’implementazione della propria agenda in Asia mirata a contenere l’espansionismo cinese e per questa ragione l’amministrazione Obama continua ad incoraggiare le ambizioni da grande potenza di Delhi, producendo un inevitabile confronto con Pechino, nonostante i solidi rapporti commerciali tra i due giganti del continente.

Assieme alla contesa sul confine - ma anche all’ospitalità garantita dall’India al Dalai Lama e al suo governo tibetano in esilio e alla competizione per allargare le rispettive influenze nel sud-est asiatico - un altro motivo di scontro tra Delhi e Pechino è rappresentato poi dal Pakistan, tradizionale alleato della Cina e nemico storico dell’India, nonché anch’esso oggetto delle manovre di Washington.

Dopo avere incontrato il premier indiano, Manmohan Singh, il ministro degli Esteri Khurshid, la leader del Partito del Congresso al potere, Sonia Gandhi, ed esponenti della comunità finanziaria di Mumbai, il primo ministro cinese si recherà proprio in Pakistan nella giornata di mercoledì.

A Islamabad, Li Keqiang troverà una situazione politica in evoluzione anche sul fronte dei rapporti con il vicino orientale dopo le recenti elezioni che hanno segnato la netta sconfitta del Partito Popolare Pakistano e il trionfo dell’ex premier conservatore Nawaz Sharif, le cui aperture verso l’India sono state in passato motivo di scontro con i vertici militari del suo paese.

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