L’ombra ucraina sul cancelliere

di Mario Lombardo

La vittoria di Donald Trump nelle elezioni americane di martedì e, ancora di più, il logoramento prodotto dal disastroso progetto ucraino sembrano avere dato il colpo di grazia all’impopolare governo “semaforo” tedesco del cancelliere Olaf Scholz. La crisi a Berlino non è ancora ufficiale, ma l’esplosione pubblica dello scontro politico tra i tre leader della coalizione rende...
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USA, il peggio che sovrasta il male

di Fabrizio Casari

L’elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti, secondo caso di ritorno alla Casa Bianca nella storia dei 47 presidenti fin qui eletti, oltre a rappresentare un indubbio evento politico, più o meno atteso, per il volume della vittoria porta con sé un mutamento profondo del sistema politico statunitense. Perché non solo Trump vince nell’elezione dei grandi elettori come pure nel voto popolare ma, cosa di assoluta importanza, ha  una forte maggioranza al Senato che potrà presumibilmente sommare ad una maggioranza anche al Congresso. Dunque Trump avrà un potere sostanzialmente assoluto, potendo oliare a suo piacimento la cinghia di trasmissione tra Casa Bianca e Parlamento. In questo quadro, si trasforma ipso facto...
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di Michele Paris

L’ennesima crisi costruita attorno alla spesa pubblica negli Stati Uniti che sta mettendo di fronte in questi giorni democratici e repubblicani al Congresso ha alla fine determinato il temuto “shutdown” del governo e la chiusura di buona parte degli uffici governativi per la prima volta da 17 anni a questa parte. La definitiva rottura è avvenuta sulla controversa “riforma” del sistema sanitario di Obama del 2010, la cui entrata in vigore l’ala conservatrice dei repubblicani alla Camera dei Rappresentanti voleva bloccare o quanto meno rimandare in cambio del via libera al bilancio federale per il nuovo anno fiscale iniziato alla mezzanotte di martedì 1° ottobre.

La minaccia di svariate decine di deputati repubblicani legati ai “Tea Party” di bloccare i fondi federali era apparsa in tutta la sua evidenza già un paio di settimane fa, quando la Camera aveva sì approvato il bilancio 2013-2014 aggiungendo però una clausola che avrebbe privato la riforma sanitaria dei fondi necessari per la sua implementazione. Per tutta risposta, la settimana scorsa la maggioranza democratica al Senato aveva tolto dal testo del provvedimento la parte relativa alla riforma sanitaria, nonostante i tentativi di impedire questa mossa da parte soprattutto del repubblicano del Texas Ted Cruz, licenziando a propria volta il bilancio per il nuovo anno finanziario e rimandando il pacchetto legislativo alla Camera.

Nella mattinata di domenica, la leadership repubblicana di quest’ultimo ramo del Congresso aveva rilanciato, approvando nuovamente il bilancio - sia pure provvisorio, così da tenere aperti gli uffici governativi fino a metà dicembre - ma aggiungendo una serie di provvedimenti per colpire la riforma definita “Obamacare” che riassumono quasi tutte le critiche ad essa rivolte dagli ambienti conservatori americani. In particolare, i repubblicani alla Camera avevano chiesto il già ricordato rinvio dell’entrata in vigore previsto sempre per martedì di uno dei punti centrali della riforma sanitaria - l’obbligo di acquisto di una polizza assicurativa privata da parte di quasi tutti gli americani - approvando allo stesso tempo la soppressione di una tassa sui dispositivi medici che dovrebbe generare quasi 30 miliardi di dollari per contribuire a finanziare la riforma stessa.

Di fronte alla linea dura della destra repubblicana, accettata in maniera riluttante dallo “speaker” John Boehner per cercare di evitare ulteriori attacchi alla sua leadership dagli ambienti vicini ai “Tea Party”, il numero uno dei democratici, Harry Reid, si era rifiutato di convocare il Senato nella giornata di domenica per provare a stringere i tempi e trovare una soluzione all’impasse.

Così, il tira e molla al Congresso si è concluso come previsto lunedì, con il Senato che ha dato l’OK al bilancio provvisorio stralciando ancora una volta gli emendamenti repubblicani relativi alla riforma sanitaria. Successivamente, la Camera ha passato un ulteriore piano di finanziamento del governo con una proposta per ritardare l’inizio della riforma sanitaria, iniziativa arenatasi meno di un’ora dopo al Senato. La mancanza di un accordo dell’ultimo minuto ha fatto scattare così lo “shutdown”, ordinato ufficialmente poco dopo la mezzanotte dall’Office for Management and Budget.

Le ipotesi circolate nelle ore precedenti di possibili compromessi se i democratici avessero accettato di inserire nel bilancio almeno una delle richieste repubblicane relative alla riforma sanitaria – come la cancellazione della tassa del 2,3% sui dispositivi medici o la fissazione di un limite ai sussidi pubblici previsti per l’acquisto di una polizza sanitaria da parte degli stessi parlamentari e dei membri dei loro staff – sono invece andate a vuoto, rimandando alle prossime ore una possibile misura di emergenza da negoziare però in un’atmosfera avvelenata.

La mancata approvazione del nuovo bilancio ha in ogni caso gravi conseguenze soprattutto per i dipendenti pubblici, dal momento che almeno 825 mila di questi ultimi verranno messi subito in congedo senza stipendio, mentre a un altro milione verrà chiesto di lavorare ugualmente senza retribuzione. I servizi pubblici essenziali continueranno invece ad essere garantiti, così come non verranno intaccate le operazioni dell’apparato della “sicurezza nazionale”, anche se la riduzione del personale di molti uffici governativi potrebbe avere conseguenze sgradite, come ad esempio la sostanziale sospensione delle attività di controllo e regolamentazione dell’Agenzia per la Protezione Ambientale (EPA) e della Food and Drug Administration nell’ambito della sicurezza alimentare.

Implicazioni ancora più preoccupanti, secondo gli osservatori, potrebbe avere poi quella che già si preannuncia come la prossima battaglia al Congresso, quella cioè sull’innalzamento del tetto del debito USA. Se il livello di indebitamento del governo federale non verrà aumentato entro il 17 ottobre, infatti, gli Stati Uniti rischieranno il default per la prima volta nella loro storia e, prevedibilmente, anche in occasione di questa scadenza i repubblicani cercheranno di ottenere concessioni per ridurre la spesa pubblica e riproporranno i loro attacchi alla riforma sanitaria.

Una parte del Partito Repubblicano, peraltro, non condivide la battaglia condotta dai loro colleghi più conservatori su “Obamacare”, poiché teme che l’intransigenza di questi ultimi possa trasformarsi in un boomerang e consentire ai democratici di incolpare il partito stesso per l’eventuale paralisi del governo.

I deputati legati ai “Tea Party” continuano però nel tentativo di avvantaggiarsi della più che legittima ostilità diffusa tra gli americani per la riforma sanitaria voluta da Obama, correttamente vista come una legge che produrrà una riduzione delle prestazioni e un aumento dei costi, anche se i loro attacchi ad essa vengono in realtà portati da destra, visto che essi vorrebbero un sistema sanitario ancora più deregolamentato.

Più in generale, nonostante il livello apparente dello scontro al Congresso, il clima apocalittico che viene creato ad arte da media e politici americani in occasione delle varie scadenze relative al finanziamento del governo o al debito federale finisce puntualmente per risolversi in nuovi e pesantissimi tagli alla spesa pubblica che entrambi i partiti in larga misura condividono.

Come già accaduto in almeno quattro occasioni negli ultimi tre anni - tra cui in occasione del dibattito sul cosiddetto “fiscal cliff” o precipizio fiscale alla fine del 2012 - il teatrino di Washington prevede appunto che i repubblicani propongano misure di austerity estremamente drastiche da implementare il prima possibile. Successivamente, i democratici si atteggiano a difensori delle classi più disagiate che da quei tagli sarebbero maggiormente colpite per poi accettare tagli alla spesa solo leggermente meno devastanti e, se possibile, raccogliere i benefici politici per avere magari salvato qualche simbolico programma pubblico di assistenza.

Nel frattempo, il baricentro politico negli Stati Uniti si è spostato sempre più a destra e durante l’amministrazione Obama non solo sono spariti dal bilancio federale svariate migliaia di miliardi di dollari destinati alla spesa pubblica ma anche programmi come Medicare, Medicaid e Social Security, tradizionalmente considerati intoccabili, sono finiti o finiranno sotto la scure bipartisan.

Tutto ciò proprio mentre gli effetti della crisi economica renderebbero ancora più necessario il sostegno alle fasce più deboli della popolazione e, soprattutto, dopo che la Fed e il governo americano continuano a mettere a disposizione una quantità di denaro virtualmente illimitata alla speculazione di Wall Street.

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