Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Zamora

di Sara Michelucci

Una commedia sagace che vede Neri Marcorè di nuovo alla regia con Zamora. Il trentenne Walter Vismara ama condurre una vita ordinata e senza sorprese: ragioniere nell'animo prima ancora che di professione, lavora come contabile in una fabbrichetta di Vigevano. Da un giorno all'altro la fabbrica chiude e il Vismara si ritrova suo malgrado catapultato in un'azienda avveniristica della vitale e operosa Milano, al servizio di un imprenditore moderno e brillante, il cavalier Tosetto. Andrebbe tutto bene se non fosse che costui ha il pallino del folber (il football, secondo un neologismo di Gianni Brera) e obbliga tutti i suoi dipendenti a sfide settimanali scapoli contro ammogliati. Walter, che considera il calcio uno sport demenziale, si...
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di Michele Paris

La tanto attesa conferenza di pace sulla Siria si aprirà stamani a Montreux, in Svizzera, senza la controversa partecipazione di uno dei paesi maggiormente coinvolti nel conflitto, la Repubblica Islamica dell’Iran. L’assurda esclusione di Teheran dai negoziati dopo il veto degli Stati Uniti e della cosiddetta Coalizione Nazionale Siriana (CNS) ha suggellato in maniera imbarazzante la conclusione dei faticosissimi preparativi per un appuntamento atteso ormai quasi da un anno e che sembra già destinato a fallire ancor prima di avere inizio.

Alla base della gaffe che lunedì ha minacciato di far saltare l’incontro è stata un’apparentemente inspiegabile incomprensione tra il governo americano e il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon. Domenica scorsa, quest’ultimo aveva invitato ufficialmente l’Iran a partecipare a “Ginevra II” dopo che il ministro degli Esteri di questo paese, Mohammad Javad Zarif, sembrava avergli garantito l’accettazione dell’obiettivo dei negoziati, fissato nel giugno 2012 nella stessa località svizzera (“Ginevra I”), vale a dire “la creazione, di comune accordo, di un organo di governo transitorio con pieni poteri” in Siria.

Come è noto, l’iniziativa di Ban Ki-moon è stata duramente condannata dagli Stati Uniti, poiché l’Iran, a loro dire, non avrebbe mai accettato in maniera ufficiale quello che l’amministrazione Obama ritiene essere l’obiettivo principale dei negoziati, ovvero la rimozione di Bashar al-Assad e la nascita di un nuovo governo filo-occidentale.

I vertici del CNS, da parte loro, hanno addirittura minacciato di non partecipare a Ginevra II se non fosse stato ritirato l’invito all’Iran. Lunedì, infine, da Teheran è arrivata una provvidenziale smentita circa l’accettazione dei presunti obiettivi della conferenza, accompagnata dalla conferma che la partecipazione ai negoziati da parte dei rappresentanti della Repubblica Islamica sarebbe avvenuta solo se non fossero state fissate condizioni. Ban Ki-moon ha potuto così ritirare il proprio invito e la minaccia di boicottaggio da parte del CNS è definitivamente rientrata.

Politici e media iraniani nella giornata di martedì hanno criticato in particolare gli Stati Uniti per le pressioni fatte su Ban Ki-moon, anche se è apparsa evidente la volontà da parte del governo del presidente Rouhani di non agitare troppo le acque in concomitanza con l’entrata in vigore lunedì dell’accordo temporaneo di sei mesi sul nucleare con i P5+1 (USA, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania).

Dal momento che il segretario generale dell’ONU si era fino ad ora coordinato con gli USA sulla Siria, l’incomprensione è apparsa a molti difficile da spiegare. Sulla vicenda può avere influito però la sostanziale manipolazione da parte americana della dichiarazione di Ginevra del 2012 che dovrebbe servire da base per i colloqui. In essa, infatti, non vi è alcuna menzione delle dimissioni di Assad, così che il diplomatico sudcoreano potrebbe avere considerato sufficiente la posizione ufficiale dell’Iran, il quale da tempo ha manifestato il proprio desiderio di giungere ad una soluzione pacifica del conflitto in Siria.

Anche se gli USA continuano a ripetere che non c’è spazio per il presidente Assad nel futuro della Siria, il testo della dichiarazione del 2012 prevede soltanto “il lancio di un processo politico guidato dai siriani che porti ad una transizione in grado di rispondere alle legittime aspirazioni della popolazione e che consenta ad essa di decidere democraticamente del proprio futuro”. In riferimento al nuovo organo di governo, la stessa dichiarazione stabilisce che esso sia neutrale e “includa membri dell’attuale governo, dell’opposizione e di altri gruppi”.

Per questa ragione, il recente annuncio di Assad, nel corso di un’intervista all’agenzia di stampa francese AFP, che egli stesso con ogni probabilità deciderà di candidarsi alle elezioni presidenziali di Aprile per ottenere un nuovo mandato non contraddice lo spirito di Ginevra I, visto che “tutte le parti della società siriana devono essere ascoltate nel modellare l’accordo politico per la transizione”.

Con una popolazione che desidera stabilità e la fine delle violenze dopo tre anni di guerra, nonché di fronte alla profonda impopolarità di gruppi “ribelli” armati in larga misura formati da fondamentalisti islamici stranieri, è d’altra parte più che probabile che Assad sia a tutt’oggi la figura più popolare tra le parti in lotta e che finirebbe per aggiudicarsi anche un’elezione organizzata secondo gli standard occidentali.

L’allontanamento di Assad - già di per sé assurdo se si considera che una delle parti al tavolo dei negoziati dovrebbe sottoscrivere a priori il proprio suicidio politico - sarebbe poi ancora più illogica alla luce della situazione sul campo in Siria, dove il regime ha fatto segnare sensibili progressi in questi ultimi mesi ed è tornato a controllare aree importanti nel paese.

In ogni caso, ciò che al momento fa apparire fondamentalmente impraticabile un qualsiasi negoziato di pace a Ginevra sono, in primo luogo, le differenti aspettative del regime da una parte e, dall’altra, dei governi occidentali e dei loro alleati in Medio Oriente e in Siria. Mentre questi ultimi, come già spiegato, si attendono la formazione di un governo di transizione possibilmente senza Assad, il regime intende utilizzare i colloqui per focalizzare l’attenzione della comunità internazionale sulla lotta al terrorismo nel suo paese.

Ciò permetterebbe al regime di recuperare una qualche credibilità tra i partecipanti alla conferenza ed è quanto ha ripetuto lo stesso presidente nella già citata intervista alla AFP, durante la quale ha anche definito l’ipotesi di formare un governo con esponenti del CNS nient’altro che uno “scherzo”.

In questo quadro, è più che comprensibile che i media occidentali continuino a ripetere come l’unico punto di incontro quanto meno per le fasi iniziali dei negoziati sembri essere un possibile accordo sull’apertura di corridoi umanitari per accedere alle località sotto assedio oppure lo scambio di prigionieri o ancora delle tregue localizzate, mentre una qualche intesa politica sarebbe da rimandare ad un futuro che potrebbe non materializzarsi mai.

Un’altra complicazione è rappresentata poi dalla divergenza di vedute tra gli Stati Uniti e l’altro sponsor della conferenza, la Russia. Mosca, infatti, ritiene correttamente che Ginevra I non includa le dimissioni del proprio alleato Assad e ha avuto perciò parole di condanna verso Washington in seguito al mancato coinvolgimento dell’Iran, un paese che “potrebbe influenzare direttamente la situazione” in Siria.

Tanto più che a Montreux e, da giovedì a Ginevra, tra gli oltre 30 paesi presenti ci saranno anche Arabia Saudita, Qatar e Turchia, responsabili in varia misura del finanziamento e della fornitura di armi ai gruppi armati jihadisti anti-Assad. La responsabilità di questi governi nella devastazione della società siriana per i propri interessi strategici appare di gran lunga superiore a quella dell’Iran, così che la loro presenza al tavolo delle trattative testimonia a sufficienza dell’ipocrisia degli Stati Uniti, i quali intendono giungere al cambio di regime a Damasco per via diplomatica dopo avere fallito con la forza.

Un anonimo funzionario del Dipartimento di Stato americano, d’altra parte, lunedì ha ammesso candidamente al New York Times che uno degli scopi della conferenza di Ginevra sarà quello di “incoraggiare defezioni tra i sostenitori di Assad”, in particolare di fede alauita come il presidente, in modo da dare ad un’eventuale nuovo governo un’immagine di inclusività nonostante il settarismo che sta caratterizzando il conflitto in Siria.

Qualsiasi accordo anche minimo dovesse essere raggiunto nel corso dei negoziati avrebbe comunque ben poche possibilità di essere implementato da parte dei “ribelli”, visto che il CNS risulta ampiamente screditato in Siria e ha un controllo pressoché inesistente sui gruppi armati che si battono contro il regime.

Oltretutto, il voto del fine settimana all’interno del CNS per approvare la partecipazione a Ginevra II è stato estremamente sofferto e ha rischiato di spaccare l’organo appoggiato dall’Occidente, per non parlare dei toni minacciosi usati dalle formazioni islamiste che dominano l’opposizione armata sul campo nei confronti del CNS in seguito alla decisione di partecipare ai colloqui.

La convocazione della conferenza di Ginevra, infine, ha lasciato fuori anche voci importanti dell’opposizione siriana moderata, spesso con un peso decisamente superiore a quello del CNS. Come ha messo in luce lunedì un’indagine del quotidiano libanese Al Akhbar, i governi occidentali hanno di fatto spinto per la partecipazione ai colloqui con il regime solo dell’opposizione più malleabile e disposta a rappresentare i loro interessi, dimostrando ben poca attenzione alle aspirazioni della popolazione in Siria.

Lontani dal tavolo rimarranno così, ad esempio, sia il Consiglio per il Coordinamento Nazionale Siriano che il Partito dell’Unione Democratica curdo (PYD). Il primo è composto da 13 partiti di sinistra e svariati gruppi studenteschi e si batte da tempo per l’avvio di un dialogo pacifico e senza interferenze esterne con il regime. Il secondo, a differenza dell’altro partito curdo siriano (Consiglio Nazionale Curdo, KNC), ha deciso invece di disertare Ginevra in seguito al rifiuto degli USA, della Turchia e dei regimi del Golfo Persico di riconoscere la questione curda come uno dei punti da trattare nel corso della conferenza.

Secondo un rappresentate del PYD, infatti, al suo partito, così come ad altre formazioni di opposizione, sarebbe stato chiesto di delegare le proprie istanze ai membri della Coalizione Nazionale Siriana inviati a Ginevra, privando in sostanza di una loro voce i rappresentanti di una minoranza che si è ricavata in questi tre anni spazi significativi nel paese e che rappresenta quasi il dieci per cento della popolazione complessiva.

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