Georgia, gli 'agenti' dell’Occidente

di Mario Lombardo

Il parlamento georgiano ha approvato questa settimana in prima lettura una controversa legge sugli "agenti stranieri", nonostante le proteste dell'opposizione e gli avvertimenti di Bruxelles che la legislazione potrebbe mettere a rischio le ambizioni del paese di aderire all’Unione Europea. La misura, ufficialmente nota come "Legge sulla trasparenza dell'influenza straniera", ha ricevuto...
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Trump, intrigo a New York

di Mario Lombardo

Si è aperto questa settimana a New York il primo dei quattro processi in cui l’ex presidente repubblicano Donald Trump è coinvolto negli Stati Uniti. Il caso è quello collegato al pagamento alla vigilia delle elezioni del 2016 di una cifra superiore ai 130 mila dollari alla pornostar Stormy Daniels (Stephanie Gregory Clifford) per ottenere il suo silenzio sulla relazione extraconiugale che avrebbe avuto con Trump. La vicenda legale è di importanza decisamente trascurabile. Sia il merito sia i tempi del processo sono stati calcolati per colpire politicamente l’ex inquilino della Casa Bianca durante una campagna elettorale che entrerà nel vivo nei prossimi mesi. Trump ha partecipato alla prima udienza in aula nella giornata di...
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di Michele Paris

A guidare il governo ungherese per i prossimi quattro anni saranno come ampiamente previsto ancora una volta il primo ministro in carica, Viktor Orbán, e il suo partito di destra Fidesz, premiati per la seconda volta consecutiva nelle elezioni parlamentari andate in scena domenica. Nonostante la flessione fatta segnare rispetto al voto di quattro anni fa, il partito al potere potrà contare nuovamente su una maggioranza di ferro, risultato di politiche di stampo populista e nazionalista con un’indiscutibile impronta autoritaria.

Il dato più eclatante della consultazione appena conclusa nel paese mitteleuropeo è l’assoluto predominio delle forze di destra ed estrema destra in Parlamento, rappresentate da Fidesz, dai suoi alleati di governo Cristiano-Democratici e dalla formazione neo-fascista Jobbik. Questi tre partiti, se i risultati non ancora definitivi dovessero essere confermati, controlleranno ben 156 seggi sui 199 totali, vale a dire oltre il 78% dell’assemblea legislativa.

Jobbik, in particolare, ha fatto segnare un risultato senza precedenti, accaparrandosi il 20,54% dei consensi espressi, cioè quasi 4 punti percentuali in più del 2010, e 23 seggi. Secondo la Reuters, quella di Jobbik sarebbe la migliore prestazione elettorale nazionale di sempre per un partito di estrema destra in Europa, superiore anche al 20,5% ottenuto lo scorso anno dal Partito della Libertà Austriaco.

Se possibile, l’affermazione di Jobbik sposterà così l’asse politico a Budapest ancora più a destra, come conferma d’altra parte la collaborazione spesso registrata negli ultimi quattro anni tra il partito ultra-nazionalista e anti-semita, guidato dal 35enne Gábor Vona, e la maggioranza di governo.

Fidesz, da parte sua, potrebbe conservare i due terzi dei seggi dell’Assemblea Nazionale che consentirebbero al partito del premier di modificare a piacimento la Costituzione. Già nel precedente mandato, Orbán e il suo partito hanno approvato una nuova discussa carta costituzionale, in virtù della quale, tra l’altro, il Parlamento magiaro è passato da 386 a 199 seggi.

La quota dei voti conquistati domenica da Fidesz, in ogni caso, si è attestata al 44,5%, traducendosi in 133 seggi, appena sufficienti cioè a mantenere l’attuale supermaggioranza. Secondo i media ungheresi, tuttavia, l’esito del voto in cinque distretti elettorali a Budapest e nella città orientale di Miskolc appare ancora incerto e la perdita da parte di Fidesz di anche una sola di queste sfide potrebbe costargli la maggioranza dei due terzi in Parlamento.

Pur mettendo a segno quella che risulta a tutti gli effetti una vittoria schiacciante sui propri rivali, Fidesz ha comunque perso l’8% rispetto a quattro anni fa, corrispondente a 800 mila voti persi. Il relativo arretramento del partito di Orbán era stato in qualche modo annunciato dai sondaggi degli ultimi anni che indicavano come la maggioranza degli elettori ungheresi fosse scontenta del governo in carica.

Secondo molti osservatori e i leader dell’opposizione, il successo di Fidesz sarebbe perciò dovuto in larga misura alle nuove norme restrittive fissate dal governo per regolare la campagna elettorale. Tra le misure più contestate vi è quella che proibisce a partiti e candidati di trasmettere spot elettorali sui media privati, anche se ciò è consentito al governo, così che i messaggi trasmessi si risolvono di fatto in slogan a favore del partito al potere.

L’altro fattore decisivo nella permanenza al governo di Orbán e nell’ulteriore avanzata dell’estrema destra ungherese è lo stato comatoso dell’opposizione di centro-sinistra. Il partito principale è quello socialista (MSZP), presentatosi agli elettori in una coalizione con altre formazioni minori, ed ha raccolto appena il 26% dei voti che gli garantiranno 38 seggi.

Prevedibilmente, il suo leader e candidato premier - Attila Mesterházy - ha evitato qualsiasi autocritica nel dopo voto, attribuendo l’intera responsabilità della débacle del suo partito al clima anti-democratico instaurato nel paese da Orbán.

L’MSZP, in realtà, ha gettato le basi dei propri insuccessi elettorali alla guida di vari governi dopo la caduta del regime stalinista che hanno messo in atto una serie di devastanti “riforme” di libero mercato segnate da austerity e privatizzazioni selvagge. L’ultima esperienza di governo dei socialisti ungheresi è stata tra il 2002 e il 2010, segnata da scandali di corruzione e dal dissesto finanaziario e che quattro anni fa si chiuse nel trionfo elettorale di Fidesz con oltre il 52% dei consensi.

L’arrivo al potere di Orbán e del suo partito nel 2010 è stato seguito dalla già ricordata approvazione di una nuova Costituzione che ha finito per indebolire sensibilmente i meccanismi di controllo sui poteri dell’esecutivo. Inoltre, il governo di destra ha ridotto l’autorità della Corte Costituzionale, ampliato la propria influenza sul potere giudiziario e introdotto una nuova legge sui mezzi di informazione, esposti a pesanti sanzioni e sottoposti ad un’agenzia governativa presieduta da fedelissimi del premier.

Orbán è poi ricorso a un mix di populismo e nazionalismo economico, suscitando frequentemente le critiche dell’Unione Europea e degli “investitori” internazionali. Ciò è accaduto soprattutto in occasione della nazionalizzazione dei fondi pensione privati, le cui risorse sono state utilizzate per coprire i buchi del deficit pubblico.

Il governo ha cercato anche di penalizzare banche e compagnie straniere operanti in Ungheria per favorire il capitalismo indigeno, una strategia apparsa evidente da una popolare iniziativa che ha monopolizzato la campagna elettorale di Fidesz: la riduzione delle tariffe energetiche.

Pressoché in concomitanza con il declino dei livelli di gradimento del governo, Orbán aveva infatti annunciato un piano per abbassare dapprima del 10% e successivamente del 20% le bollette di acqua, energia elettrica e gas degli ungheresi. I fornitori di questi servizi - in gran parte compagnie straniere - sono stati obbligati inoltre a comunicare ai loro clienti la cifra risparmiata mensilmente, facendo quindi della misura uno strumento di propaganda per il governo.

Le stesse compagnie hanno poi contribuito a risollevare le sorti dell’esecutivo avviando un procedimento legale per bloccare la riduzione delle tariffe. Orbán ha abilmente sfruttato questa mossa per fare un appello alla popolazione ungherese e lanciare una sorta di referendum informale che ha fatto risalire le quotazioni di Fidesz a pochi mesi dall’appuntamento con le urne.

Questa vicenda - assieme al vuoto totale che caratterizza la sinistra ungherese - aiuta a spiegare il livello di consenso raccolto nel paese da Orbán nonostante il risentimento diffuso nei confronti soprattutto dei risvolti più autoritari della sua azione di governo. Come ha scritto il sito web di informazione indipendente politics.hu, cioè, il primo ministro conservatore ha deciso di “interpretare il ruolo di martire patriota in lotta contro forze straniere ostili”, facendo leva sulle “insicurezze di molti ungheresi in merito al rapporto con paesi europei più potenti”.

Le conseguenze rovinose prospettate da un processo di integrazione forzata con l’Unione Europea e la più che giustificata ostilità della popolazione verso partiti politici - come quello socialista - responsabili del drammatico declino delle condizioni di vita degli ultimi due decenni continuano quindi a offrire ampi spazi di manovra alla destra nazionalista ungherese, sia nella sua incarnazione estremista (Jobbik) che relativamente moderata (Fidesz), consentendo a Viktor Orbán di rafforzare ancor più le proprie basi di potere nel prossimo futuro dopo l’agevole bis elettorale appena messo a segno.

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