Israele e l’equazione iraniana

di Michele Paris

L’attacco iraniano sul territorio di Israele è stato un evento di portata storica e potenzialmente in grado di cambiare gli equilibri mediorientali nonostante le autorità dello stato ebraico e i governi occidentali stiano facendo di tutto per minimizzarne conseguenze e implicazioni. I danni materiali provocati da missili e droni della Repubblica Islamica sembrano essere stati trascurabili,...
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FISA, sgambetto al “deep state”

di Mario Lombardo

La spaccatura tra le due principali correnti del Partito Repubblicano americano si è aggravata questa settimana con la clamorosa bocciatura alla Camera dei Rappresentanti di Washington di un provvedimento collegato a uno degli aspetti più controversi delle attività di sorveglianza e intercettazione delle comunicazioni elettroniche da parte dell’intelligence USA. Dopo l’appello lanciato dall’ex presidente Trump alla vigilia del voto in aula, diciannove deputati della destra “libertaria” si sono infatti uniti mercoledì ai colleghi democratici per affondare la legge già nella fase iniziale del suo iter legislativo. La vicenda riguarda l’ultra-controversa “Sezione 702” della legge del 1978 sulle intercettazioni delle...
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di Michele Paris

Nel fine settimana di Pasqua, gli Stati Uniti hanno letteralmente scatenato l’inferno sullo Yemen, operando una serie di incursioni con i droni che hanno causato la morte di decine di persone, per i governi di Washington e Sanaa quasi tutti militanti di Al-Qaeda nella Penisola Araba. L’orrore nel paese arabo era iniziato nella giornata di sabato e, in meno di 48 ore, i decessi causati dai bombardamenti con velivoli senza pilota sono stati almeno 55. A dare l’annuncio del bilancio definitivo è stato il ministero dell’Interno yemenita, il quale ha anche riconosciuto la morte di 3 civili e il ferimento di altri 5.

Tra gli obiettivi degli attacchi ci sono stati un convoglio di automobili sulle quali viaggiavano presunti leader dell’organizzazione terroristica e un campo di addestramento per militanti fondamentalisti. I media americani hanno citato fonti governative che hanno fornito versioni contrastanti sulle responsabilità delle operazioni, attribuite alternativamente alla CIA e alle Forze Speciali sotto l’autorità del Pentagono.

Sia l’agenzia di Langley che il Dipartimento della Difesa e la Casa Bianca, come di consueto, non hanno però commentato e il portavoce di Obama, Jay Carney, si è limitato a ribadire la stretta collaborazione in materia di antiterrorismo tra USA e Yemen, riferendo ogni chiarimento sui fatti del fine settimana al governo di quest’ultimo paese.

Tradizionalmente, d’altra parte, gli Stati Uniti cercano di ingigantire il ruolo dello Yemen negli assalti con i droni, così da provare a contenere il forte antiamericanismo diffuso tra la popolazione locale.

In ogni caso, la portata dei più recenti attacchi ha pochi precedenti in questo paese e le notizie che sono filtrate anche attraverso testimoni sentiti dalle agenzie di stampa internazionali suggeriscono una chiara violazione dei principi fissati lo scorso maggio dal presidente Obama per rendere le incursioni con i droni più “precise” e aderenti al diritto internazionale.

In uno dei rari discorsi pubblici sulle campagne con i droni, Obama aveva cioè affermato che, “prima di ogni attacco, deve esserci la quasi completa certezza che nessun civile possa essere ucciso o ferito”. Inoltre, ogni incursione dovrebbe avvenire solo ai danni di presunti militanti che rappresentano “una minaccia continua e immediata per gli americani”.

Secondo il governo yemenita, i membri di Al-Qaeda uccisi nel fine settimana stavano preparando attacchi terroristici contro installazioni militari e civili, anche se l’eventuale minaccia agli Stati Uniti non è stata chiarita.

La campagna di assassini mirati degli USA in Yemen si intreccia alla guerra che il governo del presidente Abdu Rabbu Mansour Hadi sta conducendo contro organizzazioni armate che si battono contro il potere centrale, rendendo quanto meno dubbia la minaccia posta da queste ultime agli Stati Uniti o ad altri paesi al di fuori dei confini del paese della penisola arabica.

Gli ultimi attacchi americani hanno portato a 11 il totale per quest’anno nello Yemen, in concomitanza con un certo rallentamento delle operazioni con i droni in Pakistan, dove Washington starebbe attendendo gli sviluppi dei tentativi di negoziato in corso tra il governo di Islamabad e la leadership talebana.

Il bilancio complessivo delle vittime civili dei droni a stelle e strisce è molto difficile da valutare, soprattutto perché gli USA considerano come militanti tutti gli individui maschi in età adulta e armati colpiti dai bombardamenti. Alcune organizzazioni a difesa dei diritti umani, tuttavia, hanno provato a tenere un conteggio dei decessi, mostrando come il numero di vittime civili sia decisamente superiore a quello dichiarato dai governi americano e yemenita.

Human Rights Watch, ad esempio, qualche mese fa aveva pubblicato un rapporto nel quale sosteneva che in 80 incursioni con i droni analizzate, circa il 70% delle vittime erano civili. A far lievitare il conteggio dei morti innocenti in Yemen, nonostante le rassicurazioni dell’amministrazione Obama, è soprattutto la cosiddetta politica delle “signature strikes”, secondo la quale la CIA e le Forze Speciali hanno facoltà di colpire singoli individui dei quali non si conosce nemmeno l’identità ma semplicemente in base al loro comportamento o a una serie di attività sospette.

I bombardamenti americani con i droni, e soprattutto quelli in Yemen, sono stati inoltre al centro questa settimana di una sentenza d’appello di un tribunale di New York. Quest’ultimo ha imposto all’amministrazione Obama di rendere pubblico il parere legale redatto dal Dipartimento di Giustizia, sul quale si basa la presunta autorità del presidente di ordinare assassini mirati all’estero di cittadini degli Stati Uniti  con i droni.

Il verdetto ha ribaltato l’opinione di un giudice federale che nel gennaio 2013 aveva assecondato la richiesta dello stesso Dipartimento di Giustizia di tenere segreto il memorandum in questione di fronte alle istanze avviate dal New York Times e dall’American Civil Liberties Union in base al dettato del Freedom of Information Act.

Il documento era stato preparato dall’Ufficio Legale del Dipartimento di Giustizia nel 2010 e consente appunto al presidente di decidere della vita e della morte di presunti accusati di terrorismo, cittadini americani compresi. L’Ufficio Legale, composto ora da esperti nominati da Obama, è lo stesso che durante l’amministrazione Bush aveva redatto i famigerati pareri che avrebbero consentito il ricorso alle torture negli interrogatori della CIA dopo l’11 settembre.

Il documento oggetto della sentenza di lunedì era stato utilizzato dall’amministrazione Obama nel settembre 2011 per assassinare con un drone il predicatore Anwar al-Awlaki, cittadino americano originario dello Yemen, accusato di essere un leader di Al-Qaeda e di avere contribuito ad organizzare vari attentati terroristici sul suolo americano.

Nella stessa incursione perse la vita anche un altro cittadino americano, Samir Khan, mentre successivamente il figlio 16enne di Awlaki, Abdulrahman, sarebbe risultato uno dei “danni collaterali” delle operazioni USA in Yemen.

Il tribunale di New York, in ogni caso, non ha contestato l’appello del governo alle necessità della sicurezza nazionale per non rivelare il documento legale, ma ha bensì citato le contraddizioni dell’amministrazione Obama nel dichiararne la segretezza.

Infatti, poco dopo la sentenza del gennaio 2013 e in seguito ad una rivelazione della NBC, il Dipartimento di Giustizia aveva diffuso un documento che riassumeva le ragioni pseudo-legali alla base dell’autorità attribuita al presidente di assassinare chiunque fosse sospettato di terrorismo senza passare attraverso i normali procedimenti garantiti dalla legge USA.

Inoltre, secondo i giudici la necessità di tenere segreto il parere legale in questione era stata smentita anche dal fatto che il ministro della Giustizia Eric Holder e l’allora consigliere per l’antiterroriso di Obama, l’attuale direttore della CIA John Brennan, ne avevano discusso pubblicamente in più di un’occasione.

La sentenza, dunque, pur senza smontare come sarebbe stato opportuno i meccanismi costruiti dall’amministrazione Obama per giustificare assassini extra-giudiziari, rappresenta comunque uno schiaffo per la Casa Bianca, la quale potrà ora chiedere un nuovo parere ad una commissione composta da tutti i giudici del tribunale d’appello di New York o riferire la questione direttamente alla Corte Suprema.

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