Ecuador: la "valanga" referendaria

di Juan J.Paz-y-Miño Cepeda

Il 21 aprile (2024), su iniziativa del governo di Daniel Noboa, presidente dell'Ecuador, si è svolta una consultazione e un referendum su 11 quesiti, tre dei quali riguardavano il ruolo delle forze armate nella lotta contro la delinquenza e la criminalità organizzata, a sostegno della polizia; altri tre sull'estradizione degli ecuadoriani, sull'aumento delle pene e sulla scontata esecuzione di...
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Zamora

di Sara Michelucci

Una commedia sagace che vede Neri Marcorè di nuovo alla regia con Zamora. Il trentenne Walter Vismara ama condurre una vita ordinata e senza sorprese: ragioniere nell'animo prima ancora che di professione, lavora come contabile in una fabbrichetta di Vigevano. Da un giorno all'altro la fabbrica chiude e il Vismara si ritrova suo malgrado catapultato in un'azienda avveniristica della vitale e operosa Milano, al servizio di un imprenditore moderno e brillante, il cavalier Tosetto. Andrebbe tutto bene se non fosse che costui ha il pallino del folber (il football, secondo un neologismo di Gianni Brera) e obbliga tutti i suoi dipendenti a sfide settimanali scapoli contro ammogliati. Walter, che considera il calcio uno sport demenziale, si...
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di Carlo Musilli

Si chiama Abubakar Shekau e da qualche settimana è la nuova icona del terrorismo islamico. Capo di Boko Haram, organizzazione jihadista nigeriana che ha ucciso circa 3mila persone negli ultimi cinque anni, ha raggiunto la fama internazionale lo scorso 14 aprile, data del sequestro di oltre 200 ragazze nel dormitorio di una scuola vicino al confine con il Camerun (da cui la campagna virale #BringBackOurGirls). La settimana scorsa, inoltre, i suoi uomini hanno fatto esplodere una bomba nel più grande mercato di Jos, città al centro della Nigeria, uccidendo più di 120 persone.

Da dove arrivano e cosa vogliono Abubakar Shekau e la sua Boko Haram? Per rispondere a queste domande si può rispolverare ancora una volta l'immagine banale e idealizzata (ma comodissima) che dal 2001 si associa al terrorismo islamico. Il ritornello è lo "scontro di civiltà", il fine ultimo sempre lo stesso: uccidere gli infedeli e imporre la Shari'a come unica legge. Ma se davvero è tutto così semplice e lineare, da dove arrivano i soldi?

L'organizzazione nigeriana è una realtà locale, eppure ha una struttura evidentemente manovrata dall'alto e dispone di risorse impossibili da ottenere solo attraverso scorribande, rapimenti e saccheggi. Secondo un'analisi pubblicata da Mondafrique.com e firmata da Alain Chouet, ex-ufficiale dei servizi segreti francesi, la maggior parte dei fondi "non può che arrivare dai ricchi sponsor stranieri interessati per varie ragioni alle attività del movimento". Chi, in particolare? "Non è un segreto per nessuno - scrive ancora Chouet - che i finanziatori del jihadismo internazionale si trovino nelle ricche petro-monarchie della Penisola arabica". Si tratterebbe perciò di donatori privati, attivi nell'industria del petrolio e assai preoccupati dagli sviluppi politici in Nigeria.

L'attività di Boko Haram, infatti, s'inserisce in un doppio contesto: i complessi rapporti politici e militari fra il Nord musulmano (che rappresenta il 45% della popolazione) e il sud cristiano e animista (rispettivamente il 35 e il 20%), portano con sé la lotta per il controllo dei giacimenti di petrolio (di cui il Paese è il sesto maggior esportatore al mondo), localizzati principalmente nella Nigeria meridionale.  

Negli ultimi 15 anni di para-democrazia dopo le elezioni libere del 1999, le élite del Nord musulmano - che storicamente controllavano i posti di maggior responsabilità nell'esercito e nell'amministrazione dello Stato - hanno progressivamente smarrito la propria capacità di dominare il Sud, perdendo il controllo delle rendite legate agli idrocarburi, che - fra l'altro - permettevano di comprare la fedeltà politica delle stesse popolazioni del nord.

Questo fenomeno ha contribuito in modo decisivo alla costituzione di gruppi estremisti, primo fra tutti Boko Haram, nato nel 2002. Lo sviluppo e la lunga sopravvivenza di questi movimenti, invece, si devono al denaro in arrivo dall'estero, dove l'inversione dei rapporti di forza in Nigeria ha alimentato il timore che il Paese potesse allontanarsi dalla sfera d'influenza della dell'Opaep (l'Organizzazione dei Paesi arabi esportatori di petrolio). 

In sostanza, la paura delle petro-monarchie (e delle majors loro clienti) è che una Nigeria controllata dal Sud non musulmano possa lanciarsi in forme d'indipendentismo economico e politico contrarie agli interessi arabi, come il frazionamento della proprietà dei giacimenti, o peggio la loro nazionalizzazione, o ancora il rifiuto di rispettare le quote di produzione volte a mantenere il prezzo del petrolio al massimo della capacità di sopportazione dei mercati internazionali. 

Oltre alle agli interessi e ai finanziamenti esterni, esistono poi una serie di fattori interni che hanno favorito il successo di Boko Haram, pur non avendo nulla a che fare con la contrapposizione musulmani-cristiani. "Corruzione, ingiustizie e delusione per il fatto che la fine del regime militare e 15 anni di democrazia non hanno migliorato le condizioni di vita - spiega Matthew Hassan Kukah, vescovo di Sokoto, in una dichiarazione pubblicata su L'Espresso - sono diventate una miscela esplosiva, anche a causa delle esecuzioni sommarie e degli abusi dell’esercito. Che Boko Haram si richiami alla religione è inevitabile, perché in Nigeria la religione è l’unico segno di appartenenza comprensibile a tutti".

E' probabile che anche il valore dei petroldollari sia comprensibile a tutti, in Nigeria come nel resto del mondo. Ma a spiegare ogni cosa soltanto con la furia della jihad si fa molto prima.    


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