Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i...
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Euskadi, un pareggio vittorioso

di Massimo Angelilli

Domenica 21 aprile, nel Paese Basco, circa un milione e ottocentomila persone erano chiamate alle urne per rinnovare il Parlamento. All’appello ha risposto il 62,5%, suddiviso tra le tre province di Bizcaya, Guipúzcoa e Álava. Una percentuale alta, se paragonata con l’ultimo appuntamento elettorale, quello del 2020 drammaticamente contrassegnato dalla pandemia. Molto più bassa invece, rispetto all’auge dell’80% raggiunto nel 1980, anno delle prime consultazioni dopo la transizione democratica. Nel sistema spagnolo, le elezioni regionali rappresentano un test estremamente significativo, al di là della influenza che potrebbero avere nella politica nazionale. È questa una lettura “classica” che, più o meno, si applica in...
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di Michele Paris

Una delle più gravi violazioni del principio costituzionale della separazione dei poteri è stata insabbiata senza tanto clamore qualche giorno fa negli Stati Uniti con la decisione del Dipartimento di Giustizia di Washington di non perseguire i vertici della CIA per avere spiato i membri di una commissione del Congresso. Con poco o nessun interesse dei media più importanti, l’amministrazione Obama ha cioè di fatto condonato il comportanto illegale della principale agenzia di intelligence americana, confermando ancora una volta l’esistenza negli USA di un potentissimo apparato della “sicurezza nazionale” ormai quasi del tutto fuori controllo.

Lo scandalo era esploso pubblicamente lo scorso mese di marzo, quando, in un’uscita con pochi precedenti, la presidente della commissione di controllo sui servizi segreti del Senato, la democratica Dianne Feinstein, aveva apertamente attaccato la CIA.

La senatrice della California, pur essendo una delle più accese sostenitrici dei metodi ultra-invasivi inaugurati dal governo dopo l’11 settembre 2001, aveva accusato l’agenzia di Langley di avere violato il principio della separazione dei poteri, così come di avere contravvenuto al dettato del Quarto Emendamento della Costituzione – che proibisce perquisizioni e confische senza il mandato di un giudice – e dell’ordine esecutivo 12333 – firmato dal presidente Reagan nel 1981 – che, tra l’altro, proibisce alla CIA di condurre attività spionistiche e di sorveglianza in territorio americano.

Lo scontro tra la commissione guidata dalla Feinstein e la CIA era legato all’indagine congressuale sul programma di interrogatori con metodi di tortura che la stessa agenzia ha operato tra il 2002 e il 2009 dietro autorizzazione dell’amministrazione Bush.

Sulle “rendition”, le torture e l’apertura di strutture segrete in vari paesi dove la CIA interrogava i sospettati di terrorismo al di fuori di qualsiasi quadro legale, la commissione del Senato per i servizi segreti aveva stilato un rapporto di oltre seimila pagine, tuttora classificato.

Nell’ambito della propria indagine, la commissione aveva avuto accesso a una parte della documentazione della CIA, presso il cui quartier generale i senatori e i membri dei loro staff si erano recati in svariate occasioni.

Nel corso di una di queste visite a Langley, i senatori erano entrati in possesso di un rapporto segreto della stessa CIA, commissionato dall’ex direttore Leon Panetta, nel quale venivano sostanzialmente accettate le durissime critiche nei confronti dell’agenzia espresse nelle conclusioni preliminari del rapporto della commissione del Senato.

Pubblicamente, i vertici della CIA avevano invece respinto seccamente le accuse del Congresso, sostenendo di avere agito secondo la legge.

Per tutta risposta, la CIA aveva messo sotto controllo i computer dei membri degli staff dei senatori, così da scoprire in che modo questi ultimi avevano potuto accedere a documenti che avrebbero dovuto rimanere segreti.

Lo scontro è esploso poi in tutta la sua gravità quando il direttore della CIA, John Brennan, ha minacciato di chiedere al Dipartimento di Giustizia di incriminare i responsabili della violazione dei sistemi informatici dell’agenzia. La CIA, cioè, riteneva di dovere prendere un’iniziativa con inquietanti implicazioni, dal momento che affermava in sostanza di non essere tenuta a rispondere all’organo legislativo designato precisamente al controllo della propria attività, vale a dire la commissione del Senato per i servizi segreti.

La presa di posizione della CIA si traduceva in definitiva nel rifiuto di qualsiasi vincolo o sorveglianza nei propri confronti, trasformando di fatto l’agenzia di intelligence in un organo del tutto indipendente dal potere legislativo. Visto il curriculum della CIA, pieno di operazioni segrete criminali anche in presenza di una nominale sorveglianza del Congresso, le conseguenze di una simile affermazione di indipendenza sono facili da ipotizzare.

In questo scenario, la decisione del Dipartimento di Giustizia di non procedere contro la CIA per mancanza di prove incriminanti appare sconcertante, soprattutto perché costituisce un chiaro precedente in base al quale i servizi segreti si sentiranno legittimati ad agire ancor più in violazione dei principi costituzionali.

Per cercare di addolcire la pillola, in ogni caso, il governo ha poi escluso qualsiasi indagine anche ai danni dei membri della commissione di vigilanza del Senato, come chiedeva invece il direttore della CIA Brennan. In realtà, questa decisione avrebbe dovuto essere presa mesi fa in maniera scontata, visto che la commissione non ha fatto altro che svolgere il proprio ruolo di controllo.

Incredibilmente, comunque, la gran parte dei senatori americani ha accolto con approvazione la decisione del Dipartimento di Giustizia, inclusa la stessa Feinstein, le cui accuse e richieste di incriminazione di quattro mesi fa sono così rimaste totalmente inascoltate.

Nel nascondere la loro prostrazione di fronte alla CIA, la Feinstein e i sui colleghi hanno indicato proprio la mancata azione legale contro la commissione del Senato come motivo di soddisfazione per la risoluzione dello scontro.

Se anche citata con poco interesse dai media d’oltreoceano, questa vicenda teoricamente conclusasi qualche giorno fa appare di estrema rivelanza, poiché mette in luce in maniera clamorosa la sottomissione degli organi legislativi e giudiziari negli Stati Uniti all’apparato di intelligence e della sicurezza nazionale cresciuto mostruosamente nell’ultimo decennio.

Tanto più che la conclusione della diatriba tra la CIA e il Congresso è giunta nel pieno dello scandalo delle spie americane infiltrate nelle agenzie di intelligence e nel ministero della Difesa della Germania nell’ambito di un’operazione condotta ufficialmente all’insaputa anche dello stesso presidente Obama.

A testimonianza del potere accumulato dalla CIA vi è infine proprio la sorte del rapporto della commissione del Senato per i servizi segreti sulle torture, la cui pubblicazione è sollecitata dai senatori soprattutto democratici. Al momento, i documenti sono in fase di studio presso la Casa Bianca. L’amministrazione Obama sostiene infatti che il rapporto contiene riferimenti a questioni che, se rivelate, potrebbero compromettere la “sicurezza nazionale” così che, per questa ragione, si sta consultando proprio con la CIA per decidere quali parti dello studio sui crimini di questa stessa agenzia dovranno essere tenute nascoste al pubblico americano.

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