Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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USA, ritirata dal Sahel

di redazione

Le speranze di Washington di riuscire a mantenere la presenza militare in Niger sono tramontate definitivamente dopo l’arrivo a Niamey dei primi cento consiglieri militari della “Africa Corps” russa. Gli Stati Uniti lo scorso fine settimana hanno infatti reso noto di aver accettato di ritirare dal Niger il contingente di un migliaio di militari, UAV (droni) armati MQ9 Reaper, elicotteri e aerei da trasporto. Il vice segretario di Stato Kurt Campbell ha avuto un faccia a faccia a Washington con il premier nigerino Ali Mahamane Lamine Zeine, che ha ribadito la decisione sovrana del suo Paese di chiedere la partenza di tutte le forze straniere, comprese quelle americane. L’accordo prevederebbe l’invio nei prossimi giorni di una...
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di Michele Paris

In una visita di 48 ore in India nel pieno delle crisi in Ucraina e in Medio Oriente, il segretario di Stato americano, John Kerry, sta cercando questa settimana di gettare le basi per un rafforzamento dei legami con un paese strategicamente cruciale e solo da qualche settimana guidato dal governo del nuovo primo ministro di estrema destra Narendra Modi. L’ex senatore americano è atterrato a Delhi nella serata di mercoledì e il giorno successivo ha presieduto all’annuale “dialogo strategico” tra Stati Uniti e India. Quella di Kerry è la prima visita di un membro di alto livello dell’amministrazione Obama nel paese asiatico dall’insediamento nel mese di maggio di Modi, con il quale gli USA avevano evitato qualsiasi tipo di contatto per quasi dieci anni.

Al leader del partito fondamentalista indù BJP (Bharatiya Janata Party) nel 2005 era stato infatti negato il visto di ingresso negli Stati Uniti a causa delle sue presunte resposabilità nel favorire le persecuzioni anti-islamiche che nel 2002 fecero centinaia di vittime nello stato di Gujarat, all’epoca guidato dallo stesso Modi.

Già prima delle elezioni indiane, iniziate lo scorso aprile, il governo americano aveva però lanciato segnali distensivi verso quello che veniva dato come il più che probabile prossimo primo ministro, così che a febbraio l’ambasciatrice USA a Delhi, Nancy Powell, aveva incontrato di persona l’allora candidato Modi.

Lo stesso presidente Obama aveva poi telefonato a quest’ultimo all’indomani dell’annuncio del successo elettorale per congratularsi e invitarlo a Washington nel mese di settembre. Il calcolo degli Stati Uniti nell’abbracciare il nuovo governo di Modi e del BJP appare evidente ed è legato alla speranza di trovare un partner più affidabile a Delhi per raggiungere i due principali obiettivi di Washington nel sub-continente indiano, vale a dire l’apertura di un mercato enorme per il capitalismo a stelle e strisce e l’allineamento di una potenza emergente così importante alla strategia anti-cinese messa in atto nel continente asiatico.

Che Modi risulti alla fine più disponibile rispetto al governo del Partito del Congresso su questi due fronti appare al momento tutt’altro che certo, anche se i vertici bilaterali previsti nel prossimo futuro contribuiranno a fare chiarezza sull’attitudine del nuovo leader indiano. Dopo Kerry, la prossima settimana si recherà a Delhi anche il segretario alla Difesa, Chuck Hagel, mentre, come già accennato, lo stesso Modi sarà ricevuto alla Casa Bianca tra poco più di un mese.

Come ha ricordato un commento alla visita di Kerry pubblicato giovedì dal quotidiano The Hindu, le relazioni tra Delhi e Washington non stanno attraversando il momento migliore degli ultimi anni o, meglio, i rapporti bilaterali “non hanno fatto segnare alcun passo avanti da dieci mesi”, cioè dall’incontro nel settembre 2013 negli USA tra Obama e l’allora primo ministro, Manmohan Singh.

Il raffreddamento delle relazioni era seguito in particolare all’arresto a New York a dicembre di una giovane diplomatica indiana, accusata di avere rilasciato false dichiarazioni nell’ambito del procedimento per la richiesta di un visto di lavoro per una domestica sua connazionale.

La vicenda, in seguito risolta, aveva lasciato più di uno strascico polemico in India, dove in molti tra politici e commentatori avevano espresso pubblicamente i propri dubbi sull’affidabilità degli Stati Uniti e il desiderio di questi ultimi di trattare il loro paese con il dovuto rispetto.

Se le dichiarazioni ufficiali nei mesi successivi sono state contrassegnate in genere da toni nuovamente distesi, le controversie che il segretario di Stato Kerry si è trovato ad affrontare una volta giunto in India la dicono lunga sulla strada che i due paesi dovranno percorrere per appianare le loro divergenze.

La questione più calda all’ordine del giorno - e che Kerry ha subito affrontato giovedì con il ministro delle Finanze indiano, Arun Jaitley - è la decisione del governo di Delhi di bloccare i lavori in corso per il raggiungimento di un accordo sugli scambi internazionali all’interno dell’Organizzazione Mondiale per il Commercio. L’India, in definitiva, chiede che alcune delle proprie richieste vengano prese in considerazione in cambio dello sblocco della “riforma” delle norme doganali internazionali, soprattutto in merito ai sussidi sui prodotti alimentari.

In un articolo firmato per il quotidiano indiano The Economic Times alla vigilia dell’arrivo a Delhi, Kerry e la segretaria al Commercio, Penny Pritzker, avevano invitato Modi a lasciare cadere le proprie resistenze all’accordo sul commercio internazionale, indicando quest’ultimo come un test dell’impegno della nuova leadership indiana per la liberalizzazione dell’economia.

Giovedì, i colloqui non sembrano però avere fatto registrare passi avanti tali da sbloccare la situazione, tanto che il governo indiano si è detto pronto a far saltare la scadenza del 31 luglio fissata per l’approvazione dell’accordo.

Da lungo tempo rimane aperta invece la questione della partnership sul nucleare civile, con gli investimenti americani in India congelati a causa della mancata approvazione da parte del parlamento di Delhi di una legge che limiti drasticamente i rimborsi economici a carico delle compagnie straniere in caso di incidenti.

Sui media indiani, inoltre, continuano a essere discusse in maniera polemica le rivelazioni di Edward Snowden in merito alle attività di intercettazione delle comunicazioni elettroniche da parte della NSA dei politici locali, compresi quelli appartenti al BJP, solo da poco al governo.

La classe dirigente indiana si è sentita poi offesa qualche giorno fa, quando l’annuale rapporto pubblicato dalla commissione americana per la libertà religiosa nel mondo ha equiparato l’India ai paesi di “secondo livello” come Afghanistan, Turchia e Russia, facendo riferimento esplicitamente ai fatti di Gujarat del 2002 e all’inazione del governo nel risarcire le vittime dei pogrom anti-musulmani.

Un punto su cui l’amministrazione Obama appare più fiduciosa è piuttosto la volontà del governo Modi di mettere in atto “riforme” di libero mercato che spazzino via restrizioni e regolamentazioni che hanno finora impedito o limitato gli investimenti delle grandi aziende americane in India. Negli ultimi anni già il Partito del Congresso si era mosso in questa direzione, apparendo però troppo esitante agli occhi del business indigeno e degli ambienti economico-finanziari internazionali.

L’entusiasmo mostrato da Kerry nella giornata di giovedì nei confronti del nuovo governo è dunque legato in buona parte alla promessa di Modi di facilitare l’afflusso di capitali esteri e di flessibilizzare il mercato del lavoro. Come di consueto, lo stesso segretario di Stato USA ha definito l’agenda ultra-liberista del BJP come un programma per la creazione di posti di lavoro e per il miglioramento delle condizioni economiche della popolazione indiana.

A livello più profondo, i motivi di scontro tra Stati Uniti e India sono in ogni caso determinati dal dilemma che attraversa la classe dirigente di quest’ultimo paese, divisa tra l’abbraccio con Washington e il mantenimento di una politica estera indipendente.

L’obiettivo americano è d’altra parte quello di imbarcare l’India nella rete di alleanze asiatiche volta a contrastare l’avanzata della Cina, approfondendo i legami economici e militari, in particolare nell’ambito di un possibile “dialogo trilaterale” che includa il Giappone, per il quale l’amministrazione Obama si sta adoperando da tempo.

A questo proposito, Washington sta cercando di sfruttare la tradizionale rivalità tra Delhi e Pechino, anche se i due paesi - nonostante le contese di confine e la altrettanto tradizionale alleanza tra la Cina e l’arci-rivale indiano, il Pakistan - sono sempre più integrati economicamente e lo stesso Modi, quando era alla guida dello stato di Gujarat, aveva stabilito significativi rapporti commerciali con la Cina.

Con l’aggravarsi della crisi in Ucraina, infine, appare sempre più evidente anche il tentativo americano di attenuare il legame che dai tempi della Guerra Fredda unisce l’India alla Russia/Unione Sovietica. In questo caso, l’obiettivo strategico di Washington risulta però ancora più complicato a causa proprio dei rapporti consolidati tra l’India e la Russia, con quest’ultimo paese, tra l’altro, che è tuttora di gran lunga il primo fornitore di armi di Delhi.

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