USA, l’imbroglio del Mar Rosso

di Mario Lombardo

A quasi tre mesi dall’inizio della “missione” americana e britannica nel Mar Rosso, per contrastare le iniziative a sostegno della Resistenza palestinese del governo yemenita guidato dal movimento sciita Ansarallah (“Houthis)”, nessuno degli obiettivi fissati dall’amministrazione Biden sembra essere a portata di mano. Gran parte dei traffici commerciali lungo questa rotta, che collega...
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Sahra Wagenknecht, nuova stella (rossa) tedesca

di redazione

Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» BERLINO — Sahra Wagenknecht è di sinistra, conservatrice di sinistra, dice lei. Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della politica tedesca. Insomma, è diventata un fenomeno. Ci accoglie nel suo studio, con i colleghi del...
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di Michele Paris

I colloqui tra i rappresentanti della Corea del Nord e della Corea del Sud sembrano avere dato alcuni frutti nella giornata di lunedì, fermando l’escalation delle tensioni tra i due paesi rivali, riesplose la settimana scorsa in seguito ad alcune presunte provocazioni da parte del regime di Pyongyang lungo la cosiddetta Zona Demilitarizzata che segna il confine nella penisola dell’Asia nord-orientale.

Le due parti si erano incontrate nella serata di sabato per un primo round di negoziati per poi riprendere le discussioni nel pomeriggio di domenica. Il vertice era avvenuto alla scadenza di un ultimatum emesso dalla Corea del Nord per imporre entro 48 ore lo stop alla diffusione di materiale audio di propaganda da altoparlanti situati appena oltre il confine meridionale.

Quest’ultimo provvedimento era stato preso dal governo di Seoul per la prima volta in undici anni in seguito all’esplosione il 10 agosto scorso di alcune mine lungo un percorso di pattugliamento nella zona di confine. Il posizionamento dell’esplosivo era stato attribuito alla Corea del Nord e aveva causato il ferimento di due soldati sudcoreani. Settimana scorsa, poi, erano stati registrati scambi di colpi di artiglieria, sia pure senza vittime.

Pyongyang, da parte sua, aveva respinto ogni responsabilità in relazione alle esplosioni del 10 agosto e pretendeva la fine delle trasmissioni di propaganda dalla Sud Corea, minacciando possibili azioni militari. Lo scorso fine settimana, la Corea del Nord aveva inoltre dichiarato un “semi-stato di guerra”.

Nei colloqui e nelle dichiarazioni ufficiali da Seoul, il governo sudcoreano aveva chiesto al regime di Kim Jong-un le scuse ufficiali per l’accaduto. A ribadirlo era stata anche la presidente, Park Geun-hye, la quale lunedì aveva minacciato “misure adeguate” e il proseguimento della diffusione di materiale propagandistico tramite altoparlanti se dal nord non fossero giunte scuse e la promessa di astenersi da ulteriori provocazioni.

La stampa delle due Coree ha alla fine annunciato il raggiungimento un’intesa, con il Nord che avrebbe accettato di scusarsi per il ferimento dei due soldati di Seoul e il Sud che fermerà le trasmissioni di propaganda a partire da martedì. Ulteriori colloqui bilaterali sono poi previsti a breve e andranno in scena nelle due capitali.

L’esito del più recente conflitto è arrivato dopo che Seoul aveva fatto forti pressioni sulla Corea del Nord, in particolare attraverso ripetuti comunicati di esponenti del governo e dei vertici militari sulla presunta mobilitazione delle forze armate di Pyongyang.

Lunedì, ad esempio, fonti militari sudcoreane avevano segnalato il movimento di una decina di mezzi anfibi da sbarco nordcoreani, diretti verso una base navale situata a una sessantina di chilometri dalla “linea di confine settentrionale” che separa i due paesi nel Mar Giallo.

Il giorno precedente, invece, un altro esponente delle forze armate di Seoul aveva avvertito che più di 50 dei 70 sottomarini in dotazione alla Corea del Nord avevano abbandonato le proprie basi, mentre era raddoppiato il contingente di truppe di artiglieria posizionate lungo il confine di terra, con il comando in stato di massima allerta.

Le mosse di Pyongyang e le minacce, puntualmente indirizzate verso Seoul durante i momenti di crisi, sono in realtà in larga misura vuote e hanno l’obiettivo di far guadagnare al regime un qualche vantaggio nei colloqui. Esse finiscono tuttavia per offrire alla Corea del Sud e agli Stati Uniti l’opportunità di imporre la propria versione dei fatti all’opinione pubblica locale e internazionale, così da dipingere la Corea del Nord come unico “aggressore” e come “minaccia” a un governo al contrario interamente animato da sentimenti pacifici come quello di Seoul.

Le iniziative vere o presunte di Kim Jong-un, così come quelle dei suoi due predecessori, sono per lo più determinate dalla situazione quasi disperata in cui si trova la Corea del Nord sia dal punto di vista strategico che economico, a causa principalmente della concreta minaccia americana e sudcoreana.

Le provocazioni dei due paesi alleati risultano evidenti, nonostante siano generalmente riportate in una luce positiva dalla stampa occidentale e sudcoreana. Seoul e Washington sono infatti nel pieno della massiccia esercitazione militare annuale - anche se sospesa qualche giorno fa - che si tiene nel periodo estivo e che vede impegnati ben 80 mila soldati. Inoltre, sabato scorso quattro aerei da guerra americani F-16 e altrettanti F-15K sudcoreani avevano volato nei pressi del confine con la Corea del Nord simulando un bombardamento.

Secondo la stampa sudcoreana, infine, Seoul e Washington stavano discutendo il dispiegamento di un bombardiere B-52 e di un sottomarino nucleare in Corea del Sud, ufficialmente come “deterrente” anche se evidentemente volto a provocare la reazione di Pyongyang e a giustificare ulteriori misure per la militarizzazione della penisola di Corea.

Gli Stati Uniti avevano d’altra parte già agito in un modo simile nel 2010 e nel 2013, quando avevano rispettivamente inviato in Corea del Sud la portaerei nucleare George Washington e bombardieri B-2 e B-52 nel corso di precedenti situazioni di crisi.

Da parte nordcoreana, peraltro, la retorica bellicista nasconde la volontà di raggiungere un qualche accomodamento con Washington, alla luce soprattutto delle gravi difficoltà economiche che minacciano la stabilità del regime.

Non a caso, malgrado lo scontro con Seoul, Pyongyang non aveva decretato la chiusura, sia pure temporanea, del complesso industriale di Kaesong, situato in territorio nordcoreano ma operato da aziende del Sud. Questi impianti permettono infatti al regime di ricavare preziosa valuta estera a fronte del quasi totale isolamento internazionale del paese.

Gli Stati Uniti persistono però nel mantenere una linea dura nei confronti della Corea del Nord e, di fatto, nell’impedire la ripresa dei colloqui con le altre potenze regionali, incoraggiati invece da Pechino, ovvero il principale se non unico alleato del regime. L’accordo siglato lunedì non offre in ogni caso alcuna garanzia di distensione tra i due paesi, visti i precedenti e le implicazioni strategiche della crisi tra le due Coree.

Le ragioni del perenne stallo nella penisola di Corea, così come del periodico riesplodere delle tensioni tra Seoul e Pyongyang, sono in sostanza da ricercare nelle manovre strategiche degli USA in Estremo Oriente. Nel quadro della cosiddetta “svolta” asiatica, l’amministrazione Obama intende cioè continuare ad alimentare ogni rivalità o motivo di scontro, in modo da mantenere alto il livello di pressione esercitata sulla Cina.

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