Gaza, il piano dello sterminio

di Mario Lombardo

La risoluzione approvata lunedì dal gabinetto israeliano del primo ministro/criminale di guerra, Benjamin Netanyahu, ha tutto l’aspetto di una soluzione finale al “problema” palestinese nella striscia di Gaza. Occupazione militare permanente, espulsione o confinamento degli abitanti in campi di concentramento, restrizioni estreme nella distribuzione di cibo e aiuti, sterminio puro e...
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Gli USA si annettono l’Ucraina

di Fabrizio Casari

L’accordo sulle terre rare tra Stati Uniti e Ucraina è stato firmato, ma chiamarlo accordo è uno strano modo di definire l’esproprio del 50% delle ricchezze nazionali da parte di un paese verso un altro. Non si può negare, infatti, che con l’accordo si sia suggellata un’autentica vergogna per l’Ucraina che cede le sue scarse ricchezze residue in cambio del protettorato statunitense. La firma del suo presidente (abusivo) consente lo spoglio di una delle due fonti di ricchezza del suo Paese, con la prima (quella agricola) già ceduta alle multinazionali statunitensi. Quindi la famosa indipendenza di Kiev dalla Russia è in realtà una dipendenza totale dagli Stati Uniti. L’accordo era già previsto dall’insediamento di Trump...
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di Michele Paris

Il governo islamista turco del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP) sta intensificando le operazioni militari nel sud-est del paese contro i guerriglieri del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). L’escalation registrata in questi giorni è la conseguenza di almeno due attentati condotti dal PKK a inizio settimana che avevano provocato la morte di una trentina tra soldati e poliziotti turchi.

Per la prima volta da due anni a questa parte, truppe di terra dell’esercito di Ankara sono entrate anche in territorio iracheno per colpire i militanti curdi sui monti Qandil. L’intervento di oltre 200 membri delle forze speciali turche e i bombardamenti dei velivoli militari F-4 e F-16 hanno ucciso almeno 40 combattenti del PKK martedì e, secondo l’agenzia di stampa ufficiale Anadolu, altri 100 sarebbero stati eliminati nella sola giornata di mercoledì.

La ripresa delle ostilità dopo più di due anni di tregua tra il governo e il PKK è dovuta al tracollo del processo di pace in seguito a un attentato curdo contro la polizia turca nel mese di luglio. La decisione dei vertici del PKK di riprendere le armi era stata adottata come rappresaglia per un altro attentato nella città di Suruç, avvenuto qualche giorno prima, nel quale furono uccisi 33 simpatizzanti della causa curda. L’atto terroristico era stato attribuito allo Stato Islamico (ISIS) ma per il PKK la strage era stata quanto meno favorita dal governo di Ankara.

Il riesplodere del conflitto ha così gettato la Turchia nel caos. In molti ritengono che il presidente, Recep Tayyip Erdogan, abbia alimentato deliberatamente le tensioni nel paese dopo la delusione elettorale patita dal suo partito nel mese di giugno. In quell’occasione, l’AKP aveva perso la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento e i leader dei vari partiti non sono riusciti a dare vita a un governo di coalizione.

Erdogan ha allora indetto un’altra tornata elettorale per il prossimo primo novembre, nel tentativo di recuperare i consensi perduti a beneficio soprattutto del Partito Democratico Popolare curdo (HDP), entrato per la prima volta nel Parlamento di Ankara.

Mettendo ancora una volta gli interessi del suo partito e delle classi che lo sostengono al primo posto, Erdogan ha cercato di stimolare i sentimenti nazionalisti e anti-curdi nella popolazione dopo avere sostanzialmente provocato la ripresa della guerra con il PKK, così da convincere gli elettori della necessità di un governo forte monocolore dell’AKP per stabilizzare la Turchia in un momento di crisi domestica e regionale.

La strategia del presidente, oltre a mettere a ferro e fuoco le regioni sud-orientali della Turchia, ha provocato il risveglio di forze reazionarie talvolta violente, come confermano le recenti manifestazioni in varie località del paese che hanno preso di mira cittadini curdi e organi di stampa non allineati al governo.

In particolare, martedì un gruppo di dimostranti ha preso d’assalto il quartier generale dell’HDP ad Ankara prima di essere disperso dalla polizia, mentre per due notti consecutive a inizio settimana a finire sotto attacco era stato un edificio che ospita il quotidiano Hurriyet, sempre nella capitale. Una di queste ultime incursioni era stata guidata dal parlamentare dell’AKP, Abdürrahim Boynukalin, presidente della sezione giovanile del partito di Erdogan.

Lo stesso presidente aveva indicato indirettamente Hurriyet come un possibile bersaglio delle proteste nel corso di un intervento pubblico. Erdogan aveva cioè denunciato un articolo del giornale di tendenze secolari che riportava in maniera critica una dichiarazione del presidente nella quale sosteneva che, se l’AKP avesse ottenuto la maggioranza assoluta nelle elezioni di giugno, la Turchia sarebbe stata risparmiata dall’attuale ondata di violenze.

Un giro di vite sulla libertà di stampa è inoltre un’altra delle conseguenze delle manovre promosse da Erdogan. A parte Hurriyet, le testate più colpite sono quelle che fanno parte del gruppo Akin Ipek, vicino al predicatore auto-esiliato negli USA, Fethullah Gülen, ex alleato e ora nemico giurato di Erdogan.

In un recente discorso pubblico, il presidente si è scagliato esplicitamente contro i mezzi di stampa critici del governo, accusandoli di “demoralizzare e confondere” la popolazione e di “favorire il terrorismo” in un momento in cui le “forze di sicurezza stanno combattendo con sacrificio”.

A motivare le operazioni contro il PKK non sono però soltanto considerazioni elettorali, bensì anche altre legate alla situazione mediorientale. Erdogan e il primo ministro, Ahmet Davutoglu, vedono con estrema apprensione gli sviluppi della guerra in Siria, soprattutto in relazione all’avanzata delle formazioni curde, in grado di creare una zona autonoma de facto nel nord di questo paese.

Ankara teme che ciò possa favorire le spinte autonomiste o, peggio ancora, indipendentiste dei curdi in territorio turco. Da qui la necessità di colpire il PKK. Le operazioni contro i curdi sono state avallate dagli Stati Uniti, dopo che Washington ha ottenuto dalla Turchia la possibilità di accedere alle proprie basi militari e l’impegno - sia pure più nominale che effettivo - di partecipare alla guerra contro l’ISIS in Siria e in Iraq.

Sul fronte interno, il progetto politico di Erodgan prevede invece la trasformazione dell’attuale sistema parlamentare in un presidenzialismo con egli stesso alla guida per un lungo periodo senza troppi vincoli costituzionali. Su questo progetto Erdogan aveva scommesso tutto lo scorso anno, lasciando la guida del governo per candidarsi alla presidenza.

Per cambiare la Costituzione, l’AKP deve però tornare a disporre di un’ampia maggioranza in Parlamento. Anche a questo scopo, come aveva fatto prima delle elezioni di giugno, Erdogan sta partecipando attivamente alla campagna elettorale del suo partito, nonostante il ruolo super partes attribuito all’ufficio del presidente in Turchia.

I calcoli di Erdogan potrebbero però saltare completamente visto il rapido deteriorarsi della situazione nel paese. Alcuni sondaggi diffusi nei giorni scorsi indicano infatti un ulteriore calo dei consensi per l’AKP, mentre l’HDP, che Erdogan vorrebbe ricacciare al di sotto dell’assurda soglia di sbarramento del 10% prevista dalla legge elettorale turca, appare in ascesa.

Con l’economia ugualmente in caduta libera, le opzioni per Erdogan e il governo islamista potrebbero perciò ridursi a un ulteriore deliberato inasprimento del conflitto con il PKK e un maggiore impegno per rovesciare il regime di Assad in Siria, oppure a un colpo di mano per cancellare o rimandare il delicatissimo appuntamento con le urne.

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