Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i manifestanti hanno ottenuto l’appoggio dei docenti, i quali hanno sospeso le lezioni per protestare a loro volta contro l’arresto di oltre cento studenti nei giorni scorsi. Esponenti del Partito Democratico e di quello Repubblicano, così come il presidente Biden, hanno denunciato la mobilitazione, rispolverando le solite accuse di antisemitismo e a...
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di Michele Paris

La risposta del governo britannico alla minaccia terroristica che graverebbe sul continente europeo è apparsa chiara da alcuni annunci e decisioni prese in questi giorni dal primo ministro, David Cameron, e dai membri del suo gabinetto. Londra darà cioè un nuovo impulso al militarismo fin dal prossimo futuro, sia sotto forma di nuove spese per rafforzare le proprie forze armate sia intervenendo direttamente nel teatro di guerra siriano. Il tutto mentre la spesa pubblica per i programmi sociali sul fronte domestico continuerà a essere tagliata in maniera drastica.

Lo stesso premier ha fatto sapere che il bilancio della Difesa aumenterà del 7% nei prossimi dieci anni, salendo a 178 miliardi di sterline. I programmi di spesa in questo ambito sono delineati in due documenti strategici presentati nella giornata di lunedì e anticipati dalla stampa già il giorno precedente.

Per cominciare, il governo intende acquistare 138 aerei da guerra F-35 dalla Lockheed Martin, così da averne 24 operativi per il 2023, vale a dire molto prima e in numero maggiore di quanto era previsto in precedenza. Inoltre, la “vita” dei jet Typhoon sarà prolungata di un decennio fino al 2040, in una mossa che amplierà significativamente la capacità di fuoco aereo britannica. Gli acquisti di Londra riguarderanno anche due nuove portaerei e nove aerei da pattuglia P8 della Boeing, utilizzabili per operazioni di sorveglianza e per manovre belliche contro navi e sottomarini.

Tra i piani del governo Conservatori vi è poi quello di creare entro il 2025 due brigate d’assalto composte da 5 mila uomini ciascuna, dotate di 600 veicoli blindati e pronte a intervenire in tempi brevissimi.

Ancora più importante appare l’impegno economico relativo all’intelligence e all’antiterrorismo. Le operazioni di questo genere beneficeranno di un incremento dei fondi pari addirittura al 30% fino al 2020, passando dagli 11,7 miliardi di sterline originariamente stanziati a 15,1 miliardi.

A tutto ciò vanno aggiunti 80 miliardi di sterline già preventivati per il rinnovamento dell’arsenale nucleare britannico, tra cui spicca l’aggiunta di quattro nuovi sottomarini nucleari, definito recentemente da Cameron la “suprema polizza assicurativa” del paese.

I giornali del Regno hanno sottolineato in questi giorni come la revisione di spesa precedente nel 2010 prevedesse un considerevole ridimensionamento del bilancio militare per contribuire alla riduzione del deficit pubblico. Mentre i tagli alla spesa in altri ambiti e che colpiscono i redditi più bassi non hanno quasi mai suscitato particolari proteste, quelli militari avevano causato diffusi malumori tra i vertici delle forze armate e tra sezioni di una classe dirigente preoccupata per il ruolo declinante della Gran Bretagna a livello internazionale.

Improvvisamente, Cameron sostiene oggi che Londra può tornare a permettersi spese militari da grande potenza. Che il vento avesse iniziato a cambiare era apparso chiaro già qualche mese fa, quando il governo si era impegnato a rispettare l’obiettivo indicato dalla NATO di spendere annualmente almeno il 2% del PIL nazionale in ambito militare.

Se l’incremento degli stanziamenti destinati ai militari viene presentato come assolutamente necessario per garantire la sicurezza del Regno Unito, è evidente il carattere classista delle politiche di spesa del governo Conservatore. Oltre a servire per promuovere gli interessi delle élites britanniche, la pioggia di sterline a beneficio dell’apparato militare e di intelligence contrasta drammaticamente con gli assalti al welfare, alla sanità e all’educazione pubblica condotti da Cameron in questi anni.

Proprio questa settimana, un paio di giorni dopo l’annuncio ufficiale delle aumentate spese militari, il Cancelliere dello Scacchiere (Ministro delle Finanze), George Osborne, delineerà inoltre un ulteriore piano d’attacco alla spesa pubblica, fatto di altri 20 miliardi di sterline di tagli, nel quadro dello sforzo per giungere a un attivo di bilancio nel 2020.

Mentre il denaro per le spese militari risulta dunque reperibile, le autorità locali e i ministeri che erogano servizi sociali fondamentali per gli strati più disagiati della popolazione del Regno continueranno a essere privati di fondi. Osborne ha infatti appena salutato l’accordo con 11 tra ministeri e dipartimenti per l’implementazione di tagli dei loro budget tra il 25% e il 40% che finiranno nella prossima “spending review”. Per comprendere la portata di queste riduzioni di spesa è opportuno ricordare che esse vanno a sommarsi a quelle già decise negli anni scorsi e che avevano spesso superato il 30% dei bilanci totali.

Per quanto riguarda i nuovi piani di spesa militari, in ogni caso, l’attacco terroristico del 13 novembre scorso a Parigi e il clima di assedio alimentato in tutta Europa da media e governi hanno fornito l’occasione per darne l’annuncio in questi giorni.

Allo stesso modo, il gravissimo attentato ha permesso a Cameron di resuscitare la richiesta di allargare l’impegno militare britannico in Medio Oriente - ufficialmente contro lo Stato Islamico (ISIS) - dall’Iraq alla Siria. Nel primo paese le operazioni sono in corso da oltre un anno ma nel secondo l’ambizione del governo ad autorizzare i bombardamenti aerei è stata finora frustrata.

Dopo l’umiliazione del 2013, quando il Parlamento di Londra bocciò l’aggressione militare contro la Siria in seguito alle accuse infondate rivolte al regime di Assad di avere usato armi chimiche contro i civili, Cameron era stato molto cauto nell’approcciare la crisi in questo paese.

Alcuni mesi fa la questione dell’allargamento delle operazioni alla Siria era tornata all’ordine del giorno, con una richiesta di autorizzazione da presentare al Parlamento preparata dal governo. Recentemente, però, l’iniziativa era stata condannata da una commissione della Camera dei Comuni, la quale citava tra l’altro il pericolo di complicare una crisi già quasi inestricabile e il rischio di un conflitto diretto con la Russia da poco attiva militarmente al fianco di Damasco.

Proprio quando la risoluzione di guerra all’ISIS in Siria sembrava morta e sepolta, la strage di Parigi l’ha rimessa in carreggiata e potrebbe approdare al Parlamento di Londra già la prossima settimana. Osborne, tuttavia, ha avvertito che il governo chiederà un voto sulla proposta solo quando sarà certo di ottenere i voti necessari per l’approvazione.

Nel frattempo, il premier Cameron ha anticipato il maggiore coinvolgimento britannico in Siria nel corso dell’incontro di lunedì a Parigi con il presidente francese, François Hollande. Il leader Conservatore si è detto convinto che la Gran Bretagna debba unirsi alla Francia nel bombardare l’ISIS in Siria e ha offerto ai caccia transalpini l’uso della base della RAF di Akrotiri, a Cipro.

Cameron, dopo avere fatto visita con Hollande al teatro Bataclan, dove gli attentatori hanno fatto quasi un centinaio di vittime, ha anche auspicato l’adozione di misure di sorveglianza ancora più severe. Soprattutto, il primo ministro ha definito fondamentale la condivisione tra i membri dell’UE delle informazioni relative a tutti i passeggeri degli aerei che viaggiano da e per l’Europa, nonostante, come è emerso nei giorni scorsi, i servizi di sicurezza francesi fossero stati chiaramente allertati da più parti circa i movimenti e la pericolosità dei responsabili degli attacchi di Parigi.

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