Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i manifestanti hanno ottenuto l’appoggio dei docenti, i quali hanno sospeso le lezioni per protestare a loro volta contro l’arresto di oltre cento studenti nei giorni scorsi. Esponenti del Partito Democratico e di quello Repubblicano, così come il presidente Biden, hanno denunciato la mobilitazione, rispolverando le solite accuse di antisemitismo e a...
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di Mario Lombardo

Una grave crisi politica è esplosa nei giorni scorsi in Irlanda del Nord in seguito alle dimissioni improvvise del vice primo ministro nel governo di “unità nazionale” di Belfast, Martin McGuinness, del partito nazionalista repubblicano Sinn Fein. Oltre che dalle sue precarie condizioni di salute, la decisione del 66enne ex comandante della “Provisional IRA” è motivata ufficialmente da uno scandalo finanziario nel quale è coinvolta il primo ministro unionista, Arlene Foster, ma dietro alla vicenda che porterà a elezioni anticipate agiscono fattori legati a questioni politiche ed economiche di portata decisamente più ampia.

Il 9 gennaio McGuinness aveva annunciato l’addio a un incarico che ricopre praticamente in maniera ininterrotta dal maggio del 2007. Il gesto era giunto in segno di protesta contro la gestione di uno scandalo esploso attorno a un programma di incentivi fiscali, lanciato dal governo di Londra, che intendeva promuovere l’utilizzo di biomassa per il riscaldamento.

Al contrario di quanto previsto in Gran Bretagna, in Irlanda del Nord il programma non aveva limiti, così che numerose aziende e fattorie bruciavano di fatto quanto più combustibile “verde” possibile in modo da incassare i generosi sussidi governativi. Il piano, introdotto nel novembre del 2012, era amministrato a Belfast dal ministero per le Imprese, il Commercio e gli Investimenti, alla cui guida vi era appunto l’attuale primo ministro del Partito Unionista Democratico (DUP). Il danno stimato per le casse pubbliche nordirlandesi è stato alla fine di circa 500 milioni di sterline.

Le dimissioni di McGuinness hanno subito messo a rischio il governo di coalizione. Infatti, secondo quanto stabilito dai cosiddetti accordi del Venerdì Santo (“Good Friday”) del 1998, che hanno messo fine ufficialmente ai “Disordini” (“Troubles”), il partito del vice primo ministro dimissionario, così come eventualmente quello di un primo ministro che intendesse lasciare, ha sette giorni di tempo per nominare il suo sostituto. Se ciò non avviene, come aveva immediatamente fatto sapere il Sinn Fein settimana scorsa, il segretario di stato del governo di Londra per l’Irlanda del Nord è tenuto a indire nuove elezioni.

Il voto è stato così fissato per il prossimo 2 marzo, cioè appena dieci mesi dopo le ultime elezioni per l’Assemblea nordirlandese che aveva dato vita all’attuale governo del DUP e del Sinn Fein. Il principale partito unionista ha duramente criticato il proprio partner di governo, accusandolo di opportunismo e di volere capitalizzare a fini politici la polemica sul programma di incentivi ai consumi di carburanti non inquinanti.

Oltre a quest’ultima vicenda e al rifiuto del primo ministro di autosospendersi in attesa di indagini, nella sua lettera di dimissioni McGuinness ha indicato anche altre ragioni per la decisione di abbandonare il governo. L’ormai ex vice primo ministro ha accusato il DUP di “settarismo” e di incapacità di riconoscere la rabbia verso le istituzioni diffusa tra la popolazione nordirlandese. McGuinness ha inoltre puntato il dito contro il governo Conservatore di Londra, responsabile dell’imposizione della “Brexit” e di politiche di austerity in Irlanda del Nord.

Gli sviluppi di questi giorni hanno evidentemente colto di sorpresa sia i leader unionisti nordirlandesi, sia il governo della Repubblica d’Irlanda e quello di Londra. I rispettivi esponenti hanno manifestato preoccupazione per la crisi politica che ne è scaturita, dal momento che il malcontento a cui ha fatto riferimento McGuinness rischia di far salire le tensioni sociali in quella che è già la parte più povera di tutto il Regno Unito.

Il ministro per l’Irlanda del Nord, James Brokenshire, ha tenuto così a sottolineare che il governo britannico non prevede di tornare a imporre il proprio controllo diretto su Belfast, bensì intende assicurare che la “devoluzione” sopravviva alle elezioni anticipate. Gli stessi primi ministri di Gran Bretagna e Irlanda, Theresa May e Enda Kenny, avevano parlato con i leader del Sinn Fein e del DUP per convincerli a ricucire lo strappo e a evitare il voto.

L’asprezza dei toni tra i due partiti di governo rende però tutt’altro che certa l’ipotesi di un nuovo gabinetto di “unità nazionale”, sempre che Sinn Fein e DUP si confermino come le principali forze politiche nordirlandesi. L’eventuale impossibilità di raggiungere un accordo comporterebbe perciò il ritorno del governo diretto di Londra, con tutte le conseguenze politiche del caso. Il partito Social Democratico e Laburista (SDLP) di opposizione, ad esempio, ha fatto sapere di non volere accettare il controllo del governo May dopo il voto sulla “Brexit”, contro cui ha votato la maggioranza degli elettori in Irlanda del Nord.

Agli scenari destabilizzanti che produrrebbe la sospensione dell’auto-governo ha fatto riferimento il ministro Brokenshire a inizio settimana, quando ha invitato a “non sottovalutare le sfide” che dovranno affrontare nelle prossime settimane “le istituzioni politiche in Irlanda del Nord”. Non solo, l’esponente del governo di Londra ha assicurato che la crisi politica in atto non avrà effetti sui piani del primo ministro May per l’attivazione dell’articolo 50 che innescherà appunto la “Brexit”.

Sul possibile esito del voto, in questi giorni tra i commentatori nordirlandesi ha prevalso l’incertezza. Soprattutto, la comunità unionista non si aspettava un’elezione in tempi così brevi e in molti si chiedono quali saranno i riflessi dello scandalo che ha coinvolto il primo ministro Foster e, forse ancor più, dell’implementazione di politiche economiche impopolari.

Lo sfidante principale del DUP per i voti unionisti è il Partito Unionista dell’Ulster (UUP). Il suo leader, Mike Nesbitt, ha cercato di inquadrare il voto dei primi di marzo nell’ondata di proteste contro i governi in carica che sta caratterizzando gli appuntamenti elettorali in Europa e dall’altra parte dell’Atlantico. L’UUP cerca in sostanza di proporsi come alternativa di governo al DUP assieme alle altre forze di opposizione nazionaliste o non settarie, come l’SDLP e il Partito dell’Alleanza dell’Irlanda del Nord.

Un altro fattore decisivo da considerare sarà il livello di astensione che potrebbe penalizzare proprio i partiti di opposizione. Per il Belfast Telegraph, il numero di nordirlandesi che disertano le urne sarebbe aumentato del 15% negli ultimi anni e un’astensione di massa non sarebbe esattamente un attestato di fiducia nel DUP, anche in caso di vittoria di quest’ultimo partito.

Per quanto riguarda il Sinn Fein, la mossa che ha innescato il voto anticipato sembra essere una vera e propria scommessa. Il partito di Martin McGuinness e Gerry Adams, da qualche anno impegnato politicamente nella Repubblica d’Irlanda, deve far fronte alla sfida da sinistra dell’Alleanza Popolo Prima del Profitto, già in grado di conquistare due seggi nelle elezioni del maggio 2016.

Se, ovviamente, il Sinn Fein non perderà voti a favore dei partiti unionisti, nondimeno la permanenza in nome della stabilità per oltre un decennio nei governi di “unità nazionale”, screditati dalle politiche liberiste adottate e da numerosi scandali ed episodi di corruzione che hanno coinvolto il DUP, potrebbe deprimere l’elettorato repubblicano, facendo alzare l’astensionismo o il voto di protesta.

Il fatto che il Sinn Fein abbia considerato ormai insostenibile la situazione attuale dipende principalmente da due considerazioni. In primo luogo le frustrazioni diffuse per il continuo aumentare delle disuguaglianze sociali in Irlanda del Nord hanno inevitabilmente messo il partito in una posizione scomoda che, se mantenuta, avrebbe prodotto un’emorragia di consensi in prospettiva futura. Tanto più che il Sinn Fein continua a proporsi come forza di opposizione anti-austerity nella Repubblica d’Irlanda.

L’altro fattore è legato invece alla “Brexit”, tra i partiti principali appoggiata in Irlanda del Nord solo dal DUP. L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea rischia di aggravare la crisi economica e sociale in Irlanda del Nord. Non solo gli aiuti europei potrebbero svanire, ma anche il ristabilimento di un confine a tutti gli effetti con il vicino meridionale avrebbe un impatto negativo sul fronte economico, soprattutto se, come ha affermato proprio martedì Theresa May, il governo di Londra sarà costretto ad accettare una “hard Brexit” con l’addio all’accesso al mercato unico europeo.

La scommessa del Sinn Fein è connessa dunque ai processi che si innescheranno con l’inizio delle trattative per la “Brexit” e alle tensioni politiche e sociali che si rifletteranno anche in Irlanda del Nord. Che la mossa di McGuinness porti benefici al suo partito e stabilità in Irlanda del Nord sembra a molti quanto meno dubbio, ma gli scenari interni ed esterni potrebbero cambiare rapidamente nelle prossime sei settimane.

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