Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i...
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Euskadi, un pareggio vittorioso

di Massimo Angelilli

Domenica 21 aprile, nel Paese Basco, circa un milione e ottocentomila persone erano chiamate alle urne per rinnovare il Parlamento. All’appello ha risposto il 62,5%, suddiviso tra le tre province di Bizcaya, Guipúzcoa e Álava. Una percentuale alta, se paragonata con l’ultimo appuntamento elettorale, quello del 2020 drammaticamente contrassegnato dalla pandemia. Molto più bassa invece, rispetto all’auge dell’80% raggiunto nel 1980, anno delle prime consultazioni dopo la transizione democratica. Nel sistema spagnolo, le elezioni regionali rappresentano un test estremamente significativo, al di là della influenza che potrebbero avere nella politica nazionale. È questa una lettura “classica” che, più o meno, si applica in...
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di Michele Paris

Appena pochi giorni dopo l’attivazione ufficiale della procedura che porterà il Regno Unito fuori dall’Unione Europea, un acceso scontro diplomatico attorno allo status di Gibilterra ha spinto in superficie le tensioni crescenti tra i governi del vecchio continente che caratterizzeranno con ogni probabilità le trattative tra Londra e Bruxelles nei prossimi due anni.

La disputa che sta coinvolgendo il governo britannico, quello spagnolo e i vertici europei è scaturita dal contenuto di una bozza di documento UE sulla strategia da tenere in relazione alla “Brexit”. In esso si afferma che i termini di qualsiasi accordo con la Gran Bretagna verranno applicati al territorio di Gibilterra solo con il consenso della Spagna. Madrid avrebbe fatto cioè pressioni su Bruxelles per ottenere una sorta di veto sulla questione, provocando immediatamente le proteste di Londra.

Una parte della classe dirigente britannica non ha esitato a evocare la possibilità anche di un intervento militare per evitare quello che in molti hanno considerato un tentativo di annessione più o meno mascherata da parte spagnola.

Il possesso britannico del territorio di Gibilterra venne ratificato dal trattato di Utrecht del 1713 che precedette la fine della Guerra di Successione Spagnola, dopo che una forza anglo-olandese lo aveva occupato già nel 1704. Madrid ha sempre contestato lo status quo, nonostante in anni recenti gli abitanti di Gibilterra avessero respinto nettamente in due referendum (1967 e 2002) il ritorno alla sovranità spagnola.

Il ministro della Difesa britannico, Michael Fallon, nel fine settimana ha assicurato che il suo paese è pronto a fare qualsiasi cosa per proteggere Gibilterra, poiché i suoi abitanti “hanno espresso chiaramente la volontà di non essere governati dalla Spagna”.

Le parole più pesanti sono state però pronunciate poco più tardi in un’intervista televisiva dall’ex leader Conservatore, Lord Michael Howard. Quest’ultimo si è detto certo che il primo ministro, Theresa May, per salvaguardare la sovranità britannica su Gibilterra non avrebbe esitazioni nel mostrare la stessa risolutezza che Margaret Thatcher ebbe per “difendere la libertà di un altro piccolo gruppo di cittadini britannici da un altro paese di lingua spagnola”. Il riferimento è andato evidentemente alla guerra delle Falkland del 1982 contro l’Argentina, un conflitto che provocò oltre 900 morti, tra cui più di 250 soldati britannici.

Le parole di Lord Howard sono state condannate in maniera inequivocabile da un numero relativamente ristretto di esponenti politici a Londra. Tra i Conservatori, in molti, pur esprimendo cautela per quanto riguarda possibili conseguenze militari con la Spagna, hanno ribadito sostanzialmente l’intenzione del governo di fare di tutto per conservare il controllo su un’enclave di meno di sei km quadrati dove vivono circa 30 mila abitanti.

La premier May ha escluso che la sovranità di Londra su Gibilterra sia sul tavolo nei negoziati con l’UE, mentre ha garantito tutto l’impegno della Gran Bretagna per il proprio Territorio d’Oltremare. In una conferenza stampa nella mattinata di lunedì, inoltre, Downing Street ha escluso l’ipotesi di inviare una spedizione militare a Gibilterra, rifiutandosi però ancora una volta di condannare le dichiarazioni inquietanti di Lord Howard.

Anche il ministro degli Esteri di Londra, Boris Johnson, si è espresso con toni simili a quelli del primo ministro dopo che venerdì aveva incontrato il capo del governo locale di Gibilterra, Fabian Picardo. Quest’ultimo, da parte sua, non ha fatto molto per allentare le tensioni, ma si è detto certo che Gibilterra non sarà “merce di scambio” nei negoziati sulla “Brexit”. Picardo ha poi accusato il governo spagnolo di volere discriminare il territorio da lui governato in maniera “non necessaria, ingiusta e inaccettabile”.

Dall’opposizione in Gran Bretagna sono giunte invece critiche alle minacce di guerra contro la Spagna provenienti dagli ambienti Conservatori, malgrado la questione della sovranità di Londra abbia trovato ampio spazio anche tra Laburisti e Liberal Democratici. Se il leader Laburista, Jeremy Corbyn, non ha finora rilasciato commenti sulla vicenda, molti giornali d’oltremanica hanno dato spazio alle parole dell’ex ministro degli Esteri, Jack Straw, che ha definito l’idea di uno scontro armato per Gibilterra “assurda” e “in odore di nazionalismo da 19esimo secolo”.

Come dimostra anche il curriculum di Straw nel governo Blair e i precedenti dello stesso Partito Laburista, è però evidente che le prese di posizione più caute su Gibilterra non rappresentano tanto una ferma opposizione alla guerra, ma riflettono piuttosto le diverse posizioni sulla “Brexit” che stanno lacerando la classe dirigente britannica.

Soprattutto, le dinamiche innescate dal referendum sull’uscita dall’UE dello scorso mese di giugno hanno aggravato a dismisura le rivalità e i conflitti nel continente, già riemersi dopo la crisi finanziaria globale del 2008-2009 e contenuti a fatica dalla fragile impalcatura europea.

Un semplice assaggio del clima ostile che accompagnerà i negoziati sulla “Brexit” si è avuto settimana scorsa in seguito all’invio a Bruxelles, da parte del governo di Londra, della comunicazione ufficiale dell’attivazione delle procedure per l’uscita dall’Unione.

Il documento del governo May è stato subito bocciato dalla cancelliera tedesca Merkel nella parte in cui Londra chiede che le discussioni sulla “Brexit” procedano di pari passo con le trattative su un possibile futuro accordo commerciale tra Regno Unito e Unione Europea. Altri leader europei hanno poi sollevato la questione del rimborso da circa 60 miliardi di sterline che Londra dovrebbe versare nelle casse UE in seguito alla “Brexit”.

In questo scenario di rapido deterioramento dei rapporti continentali si inserisce dunque anche la vicenda di Gibilterra, tanto più che il territorio a poche miglia dalle coste africane risulta fondamentale per Londra da un punto di vista strategico, visto che qui si trova un’importante base militare britannica, e finanziario, essendo di fatto un paradiso fiscale.

Al di là delle motivazioni del governo spagnolo nello spingere la questione del veto su Gibilterra e la “Brexit”, anche la sola evocazione dello spettro di un conflitto militare tra due paesi dell’Europa occidentale, oltretutto entrambi membri della NATO, testimonia dell’approssimarsi del naufragio del progetto unitario europeo, le cui conseguenze destabilizzanti per le relazioni nel vecchio continente saranno sempre più evidenti nel corso delle trattative appena iniziate tra Londra e Bruxelles.

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