USA, l’imbroglio del Mar Rosso

di Mario Lombardo

A quasi tre mesi dall’inizio della “missione” americana e britannica nel Mar Rosso, per contrastare le iniziative a sostegno della Resistenza palestinese del governo yemenita guidato dal movimento sciita Ansarallah (“Houthis)”, nessuno degli obiettivi fissati dall’amministrazione Biden sembra essere a portata di mano. Gran parte dei traffici commerciali lungo questa rotta, che collega...
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Sahra Wagenknecht, nuova stella (rossa) tedesca

di redazione

Sahra Wagenknecht: «Ue troppo centralista, l’Ucraina non può vincere. È vero che molti elettori della vecchia sinistra sono andati a destra, non perché razzisti o nazionalisti, bensì perché insoddisfatti» BERLINO — Sahra Wagenknecht è di sinistra, conservatrice di sinistra, dice lei. Ha fondato un partito che porta il suo nome, perché – sostiene – il principale problema dei progressisti europei è che «la loro clientela oggi è fatta di privilegiati». I detrattori la accusano di essere populista, ma il partito cresce e in alcune regioni dell’Est è la seconda o terza forza. Abbastanza da poter rompere gli equilibri della politica tedesca. Insomma, è diventata un fenomeno. Ci accoglie nel suo studio, con i colleghi del...
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di Michele Paris

Con il mutare delle sorti della guerra in Siria, il rischio di un confronto militare diretto tra le forze russe e americane impegnate su fronti opposti nel paese mediorientale è cresciuto pericolosamente nelle ultime settimane. Soprattutto nella provincia orientale di Deir Ezzor è sempre più chiaro il tentativo degli Stati Uniti di ostacolare, tramite i gruppi armati che essi appoggiano più o meno apertamente, l’avanzata delle forze governative siriane sostenute da Russia, Iran e Hezbollah.

Gli sviluppi dei giorni scorsi sono sembrati particolarmente preoccupanti, con Mosca che ha denunciato più di un attacco contro le proprie postazioni e quelle dell’esercito di Damasco, puntando il dito direttamente contro le forze speciali americane presenti illegalmente sul territorio siriano. Lunedì, poi, il vice-ministro degli Esteri russo, Sergey Ryabkov, ha accusato la “politica ambigua” degli USA in Siria per la morte del generale Valery Asapov e di due colonnelli in un attacco contro il quartier generale dell’esercito siriano nella città di Deir Ezzor.

Asapov è l’ufficiale russo più alto in grado a essere ucciso in Siria dall’inizio del conflitto e, secondo molti osservatori, la sua morte corrisponde a una sorta di dichiarazione di guerra non ufficiale di Washington contro Mosca. L’attacco è stato materialmente attribuito allo Stato Islamico (ISIS), ma la reazione della Russia implica che i militanti fondamentalisti hanno ricevuto appoggio, per condurre l’operazione, dalle forze speciali e dell’intelligence americane.

In precedenza, infatti, il ministero della Difesa russo aveva indirizzato un’altra pesantissima accusa agli Stati Uniti e che è poi apparsa come un’anticipazione dell’incursione costata la vita ai tre alti ufficiali. Mosca aveva cioè reso pubbliche alcune immagini aeree che indicavano come un contingente di forze speciali USA fosse posizionato presso un accampamento precedentemente dell’ISIS a nord di Deir Ezzor.

Secondo i vertici militari russi, ciò sarebbe avvenuto senza che vi fossero tracce di battaglie nella stessa località né della costruzione di un perimetro difensivo da parte americana, facendo presumere che i soldati attualmente accampati in questa postazione vi erano giunti senza difficoltà ed erano certi di non finire sotto attacco da parte dell’ISIS, con i quali avevano evidentemente stipulato un qualche accordo.

Alle accuse russe sono poi seguite quelle degli Stati Uniti, secondo i quali sempre lunedì le forze di Mosca avrebbero bombardato gruppi armati sostenuti da Washington in tre località distinte nella provincia di Deir Ezzor. L’operazione sarebbe avvenuta in risposta alla conquista da parte delle milizie curde di un importante giacimento di gas naturale.

In sostanza, l’aggravamento della situazione sul campo in Siria orientale è la diretta conseguenza del successo delle operazioni militari a sostegno del regime di Damasco e della sconfitta sempre più vicina dei “ribelli” appoggiati dagli Stati Uniti e dai loro alleati. Di fronte a questo scenario, gli USA hanno deciso di intensificare la collaborazione con le formazioni armate anti-regime e di indirizzare gli attacchi di queste ultime contro le forze russe.

I sospetti russi in questo senso erano stati alimentati anche dalla notizia, diffusa dalla CNN, che le forze USA in Siria avevano rafforzato il controllo e la sorveglianza del posizionamento delle truppe di Mosca. Da qui, comprensibilmente, il timore che gli americani abbiano deciso di passare queste informazioni ai gruppi armati attivi nel paese, incluso lo Stato Islamico.

Il risentimento americano nel veder andare in fumo il proprio progetto di cambio di regime o di balcanizzazione della Siria è indubbiamente un fattore importante in questi sviluppi. Il fatto però che il confronto tra USA e Russia stia avendo luogo nella provincia di Deir Ezzor ha anche significativi risvolti strategici.

Deir Ezzor si trova in una posizione strategica in direzione del confine iracheno e qui sono localizzati i principali giacimenti petroliferi e di gas naturale della Siria. A lungo, l’ISIS aveva occupato la provincia, da cui ricavava i finanziamenti per le proprie attività, e assediato la città omonima, controllata dal regime, prima dell’intervento decisivo a inizio settembre delle forze governative.

Quest’ultimo evento aveva fatto giungere nella provincia un numero consistente di altri gruppi “ribelli” appoggiati dagli USA, tra cui quelli inquadrati nelle cosiddette “Forze Democratiche della Siria” a maggioranza curda. Secondo alcuni, gli americani avrebbero poi stretto accordi anche con formazioni jihadiste o tribali già affiliate all’ISIS per combattere l’avanzata russo-siriana. D’altra parte, la strategia di Washington in Siria si è basata fin dall’inizio sull’appoggio clandestino di gruppi estremisti per rovesciare il regime di Damasco.

Le varie forze coinvolte nell’area di Deir Ezzor hanno fatto comunque segnare recentemente alterni successi, provocando spesso le ritorsioni dei rispettivi rivali, e il rischio concreto è che lo scontro possa sfociare in un confronto diretto e di vasta portata tra gli USA e la Russia.

La corsa al controllo di Deir Ezzor è importante per una serie di motivi, tanto che potrebbe decidere l’esito stesso della guerra in Siria. Nel sovrapporsi di interessi disparati e convergenti, senza dubbio Washington intende tenere in vita almeno il piano di dividere e indebolire la Siria, assegnando un territorio ricco di risorse energetiche nell’est del paese a una forza, quella curda, sotto il proprio controllo.

I curdi, da parte loro, cercano di occupare il più ampio territorio possibile per negoziare da una posizione di forza con il regime una possibile autonomia da Damasco in vista della fine della guerra. Il governo di Assad, con l’aiuto russo, necessita invece di tornare a controllare le risorse e l’industria energetica di Deir Ezzor nel quadro della futura ricostruzione del paese.

Le residue velleità degli USA, infine, prevedono la creazione di un ostacolo territoriale al corridoio che collega l’Iran al Libano attraverso l’Iraq e la Siria, in modo da impedire l’allargamento dell’influenza di Teheran nella regione attraverso il consolidamento dei legami con il regime di Assad e con Hezbollah.

La situazione in Siria appare dunque sempre più infuocata e il sostanziale isolamento delle forze americane sul terreno a sostegno delle milizie anti-regime non esclude una possibile escalation dello scontro. Washington ha d’altra parte investito ingentissime risorse per abbattere il regime di Damasco, ritenuto un obiettivo chiave per promuovere i propri interessi strategici in Medio Oriente. Il fallimento del proprio progetto non può perciò comportare un disimpegno improvviso dalla Siria, ma piuttosto un ricorso a un qualche piano alternativo per ricavare il massimo dalle nuove circostanze.

Le tensioni e gli scontri in atto nella parte orientale della Siria si incrociano oltretutto alle altre dispute che stanno infiammando pericolosamente la regione, dalla rinnovata offensiva degli USA contro l’Iran alle minacce della Turchia contro le spinte indipendentiste curde, facendo aumentare in maniera sensibile il rischio di una conflagrazione generale nella quale sarebbero sempre più coinvolte le principali potenze del pianeta.

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