Il 9 maggio di ieri e di oggi

di Fabrizio Casari

Per celebrare l’80º anniversario della Grande Vittoria, ignorando le minacce di Kiev, sono arrivati al Cremlino presidenti, ministri e ambasciatori di 22 paesi, in rappresentanza di oltre il 60% della popolazione mondiale. Tanto la loro presenza quanto l’assenza di chi ha voltato le spalle alla storia hanno un preciso valore politico. Mosca ha mostrato una dimostrazione di forza militare e...
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Migranti, la dottrina Trump

di Mario Lombardo

Un giudice federale americano è dovuto intervenire nuovamente questa settimana per imporre all’amministrazione Trump il rispetto di un ordine che aveva già emesso nel mese di aprile al fine di fermare le deportazioni illegali di immigrati negli Stati Uniti verso paesi autoritari o in stato di guerra. L’ingiunzione è solo l’ultima in ordine di tempo delle numerose arrivate nei giorni scorsi. Svariati tribunali del paese hanno preso di mira quelli che appaiono a tutti gli effetti come rapimenti da parte delle forze di polizia, seguiti dal confinamento in veri e propri lager e dall’espulsione senza il minimo rispetto delle procedure legali e dei diritti costituzionali. Il giudice distrettuale Brian Murphy del tribunale di Boston ha...
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di Carlo Musilli 

Il primo destinatario di queste parole è naturalmente il Partito Democratico e il casus belli è la riforma dell'articolo 18. Dopo aver cancellato il concetto stesso di concertazione con i sindacati, ridotti a interlocutori occasionali con cui scambiare quattro chiacchiere di cortesia prima di imporre la propria linea, Monti sta ora svuotando di qualsiasi significato il ruolo del Parlamento.

Fin qui i tecnici bocconiani hanno operato sempre per decreto, blindando sistematicamente i testi con il ricorso alla fiducia. Le ragioni? Sempre le stesse: dobbiamo rassicurare i mercati, tempi certi e ridotti nell'approvazione dei provvedimenti sono fondamentali per non dilapidare la ritrovata credibilità a livello internazionale.

La riforma del mercato del lavoro arriverà però in Parlamento come disegno di legge ordinario. Il governo ha scelto di seguire questa strada dopo le consultazioni con il Presidente della Repubblica, che ha giustamente fatto notare come un decreto su un tema così delicato sarebbe stato visto come un colpo di mano politicamente inaccettabile. Il problema è che anche in questo caso sembra trattarsi più che altro di un gesto di cortesia: l'Esecutivo concede per una volta a deputati e senatori la possibilità di guadagnarsi lo stipendio, a patto che si tratti di una mera finzione. Tutto quello che devono fare è dire ancora una volta "sì", senza azzardarsi a modificare l'impostazione di fondo del Ddl.

Lo scontro si è acceso in particolare sui licenziamenti per motivi economici. La riforma Fornero cancella in questi casi la possibilità del reintegro per i lavoratori mandati via ingiustamente, che avranno diritto a un semplice indennizzo. Si tratta di una modifica che fa scivolare l'Italia a destra della stessa Germania: il famoso "modello tedesco" prevede infatti che il giudice possa scegliere fra indennizzo o reintegro in caso di licenziamento ingiusto sia per motivi economici che disciplinari. Senza contare che si applica alle aziende con oltre dieci (e non quindici) dipendenti e che dev’essere concertato con i sindacati. Ora, con quale faccia Bersani & Company potranno mai approvare una riforma del genere e poi pretendere il voto degli elettori di sinistra?

D'altra parte, Monti sa benissimo che nessuno dei partiti si prenderà mai la responsabilità di far cadere il suo governo. Tantomeno il Pd, che ha fatto delle divisioni interne un segno distintivo e al momento non riesce più a vincere nemmeno le sue stesse primarie. Senza contare che, prima di andare alle urne per le politiche, molti democratici sperano ancora nella riforma elettorale, che consentirebbe di allentare gli scomodi lacci del patto di Vasto con Sel e Idv.

Forte di questa consapevolezza, il Professore tira dritto, probabilmente anche perché cedere oggi al Pd sul fronte del lavoro lo costringerebbe a dimostrarsi in futuro altrettanto arrendevole con il Pdl sul capitolo giustizia, magari con l'abolizione di quel reato di concussione che dà tanto fastidio a Berlusconi nel caso Ruby. Non dimentichiamo però le ampie concessioni già fatte ai pidiellini nel decreto liberalizzazioni, da cui sono sparite in corso d'opera una valanga di norme che avrebbero danneggiato il bacino elettorale destrorso (tassisti in primis).

Nei sondaggi la popolarità di Monti sta inevitabilmente calando, ma questo era prevedibile. Il governo degli accademici può fare tranquillamente a meno del consenso popolare, ma i partiti che lo sostengono in Parlamento no. E fra poco ci sono le amministrative. Il Pd farebbe bene a ricordarselo. 

   

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