Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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USA, ritirata dal Sahel

di redazione

Le speranze di Washington di riuscire a mantenere la presenza militare in Niger sono tramontate definitivamente dopo l’arrivo a Niamey dei primi cento consiglieri militari della “Africa Corps” russa. Gli Stati Uniti lo scorso fine settimana hanno infatti reso noto di aver accettato di ritirare dal Niger il contingente di un migliaio di militari, UAV (droni) armati MQ9 Reaper, elicotteri e aerei da trasporto. Il vice segretario di Stato Kurt Campbell ha avuto un faccia a faccia a Washington con il premier nigerino Ali Mahamane Lamine Zeine, che ha ribadito la decisione sovrana del suo Paese di chiedere la partenza di tutte le forze straniere, comprese quelle americane. L’accordo prevederebbe l’invio nei prossimi giorni di una...
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di Giovanni Gnazzi

La scelta di un Napolitano-bis è un fatto inedito nella storia della Repubblica. E’ pur vero, però, che poche volte nel corso di questi quasi sessant’anni il sistema italiano ha avuto tanta paura. Lo scenario che si stava configurando, in effetti, rischiava di alterare in profondità la palude del sistema politico e dei suoi lacciuoli. L’elezione al Quirinale di Stefano Rodotà avrebbe prodotto, di per sé e per il Paese, una novità politica di rilievo storico.

Dal momento che nel caso il PD avesse votato per eleggere Rodotà il M5S avrebbe votato la fiducia alla nascita di un governo a guida PD, il contraccolpo politico e istituzionale che si sarebbe determinato avrebbe avuto l’effetto di una deflagrazione per il sistema di potere italiano. La riforma dello stesso, infatti, avrebbe subito un'accellerazione, cominciando proprio dalla riduzione immediata del potere d'interdizione della destra.

C'é poi il fronte delle politiche economiche e il loro riverbero europeo. Un governo che avesse anche solo parzialmente proposto un agenda di modifiche sostanziali nelle politiche per il lavoro e una riforma parziale di quelle fiscali, avrebbe già causato un oggettivo stop alla linea ultra-rigorista tedesca in vigore a Bruxelles. Un governo italiano che avesse puntato con decisione ad un cambio delle politiche di aggiustamento strutturale del debito avrebbe probabilmente innescato un effetto domino su Francia, Spagna, Grecia, Portogallo e Cipro. Si sarebbe forse messo in discussione il dominio assoluto della Germania sull’Europa e questo avrebbe visto il favore degli USA, che vedono le politiche recessive di Bruxelles come freno alla loro ripresa economica.

Non sarebbero mancate le note giaculatorie sui mercati e sull'Italia che rischia di affondare non appena ci si discosta dall'agenda Monti. Ma sono in molti a ritenere che la pur possibile reazione rabbiosa dei fondi speculativi ad una inversione di tendenza nelle politiche di rientro del debito sarebbe stata annullata dal sostegno dei mercati ad un nuovo indirizzo di politica economica che tiri fuori l’Europa del sud dalla recessione. Non perché improvvisamente i mercati siano divenuti attenti agli equilibri socio-economici che puntellano il sistema dell’organizzazione sociale e politica dei paesi, ma perché dalle economie in recessione non è possibile trarre profitti nemmeno con le manovre di Borsa. Solo il recupero della capacità produttiva di un paese e la rigenerazione della domanda interna per far ripartire i consumi, la produzione e con essa anche l'export può determinare una ripresa economica sulla quale, poi, si può operare, tanto industrialmente come finanziariamente.

C’era la possibilità di vedere Rodotà al Quirinale e Bersani a Palazzo Chigi, sarebbe bastato attendere altre votazioni. Il combinato disposto di Quirinale e Palazzo Chigi in mano alla sinistra avrebbe condannato gli sconfitti delle ultime elezioni a rimanere tali per parecchio. Ma un governo a guida PD che oltre ai voti di SEL si fosse dovuto mantenere con quelli determinanti del Movimento 5 Stelle ha decisamente impaurito l’establishment. La scarsa propensione alla mediazione e la decisa tenacia con la quale i grillini dimostrano di voler affondare il coltello del cambiamento nella paralisi del sistema ha spinto il sistema stesso ad una reazione di paura. Il ricorso a Napolitano e la decisione di dare vita ad un governo di unità nazionale, somiglia molto al tentativo di una classe politica sconfitta e priva di prospettive, di mettersi al riparo delle mura del castello dall’alto delle quali pensa di ricacciare indietro le orde del rifiuto e della contestazione.

Per questo ci si affida ad un Presidente quasi novantenne, che avrà con tutta evidenza difficoltà di vario genere a terminare il suo mandato. Ma l’importante era fermare il pericolo ora, alle porte di Bisanzio. L’idea che il programma possa essere quello indicato dai saggi indica con chiarezza cos’ha in testa Napolitano: un piano di riassetto finanziario che veda il proseguimento delle politiche del governo Monti; una riforma della giustizia destinata a garantire il capo della destra italiana per il quale, eventualmente, è pronta la nomina di senatore a vita e, con essa, l’immunità richiesta; una politica estera a sostegno delle avventure militari statunitensi; una riforma della politica che produca cambiamenti insignificanti e che garantisca la sopravvivenza dei partiti e della loro stock option sull’Italia.

Per questo Napolitano torna in campo, facendo finta di non averne voglia. E per questo non è passato Rodotà e non sarebbe passato nemmeno Zagrebelsky. Perché un Presidente della Repubblica che, leale alle prerogative costituzionali, avesse avuto le mani libere nella scelta circa il far proseguire o no la vita della legislatura di fronte all’empasse politico, spaventava. Con eventuali nuove elezioni l’area critica anti-sistema potrebbe seppellire definitivamente - o comunque rendere infinitamente problematico il suo recupero - l’establishment politico, già falcidiato dall’ultimo voto popolare. Qui sta la corsa sotto l’ala protettiva di Napolitano. Il garante dell’establishment è lui; con lui l’Italia non imboccherà il processo di riforme politiche ed economiche destinate a cambiare il Paese. La casta tira un sospiro di sollievo, gli italiani no.

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