Praticamente tutto il mondo è in questi giorni con il fiato sospeso in attesa della decisione del presidente americano Trump se trascinare o meno gli Stati Uniti nella guerra di aggressione di Israele contro l’Iran. Le indicazioni più recenti lasciano intendere che la Casa Bianca finirà per partecipare direttamente a una nuova guerra rovinosa e senza via d’uscita in Medio Oriente. Nonostante venga fatto credere all’opinione pubblica che sia normale e legittimo che il presidente detenga il potere di scegliere se entrare in guerra, sia essa provocata o come nel caso attuale totalmente ingiustificata, questa facoltà non spetta tuttavia al vertice del potere esecutivo. Essa appartiene esclusivamente a quello legislativo, ovvero il Congresso, il quale ha però rinunciato da tempo alle proprie prerogative per demandarle alla Casa Bianca, con i risultati che tutto il mondo ha potuto osservare in questi ultimi decenni.

Sono state numerose le uscite sollecitate e non sollecitate di Trump a partire dal 13 giugno sul possibile ordine di attaccare la Repubblica Islamica direttamente con aerei e bombe americane. Tra le ultime dichiarazioni, il presidente repubblicano ha spiegato che “potrebbe o non potrebbe farlo” e che “nessuno è a conoscenza di quello che intendo fare”. Dopo avere ordinato alle autorità iraniane la “resa incondizionata”, Trump ha aggiunto che prenderà una “decisione un secondo prima” della scadenza presumibilmente fissata da lui stesso.

Le implicazioni di queste parole sono enormi e pericolosissime. Quello che Trump sostiene, peraltro in linea con il comportamento di tutti i suoi recenti predecessori, è che dettagli come il diritto internazionale e la Costituzione americana non contano nulla. Una sola persona a capo dell’esecutivo può decidere senza alcun vincolo o restrizione di iniziare una guerra senza ragioni valide, massacrare civili, distruggere intere società. Mentre si attende che venga scatenata la macchina militare USA contro l’Iran, oltretutto, da una settimana a questa parte Trump ha già garantito – ancora una volta senza basi legali – il pieno appoggio logistico al regime di Netanyahu nelle operazioni in corso.

L’articolo 1, sezione 8, della Costituzione americana stabilisce che il potere di dichiarare guerra appartiene solamente al Congresso, non al presidente. In pratica, dal dopoguerra a oggi i presidenti che si sono succeduti a Washington hanno però scatenato una moltitudine di guerre senza il consenso del Congresso, il quale ha emesso formalmente l’ultima dichiarazione di guerra nel 2002 (Iraq). È chiaro che una decisione così grave e illegale dovrebbe innescare poco meno di una rivolta tra la popolazione e i membri del Congresso negli USA, ma decenni durante i quali il dettato costituzionale è stato deliberatamente calpestato senza conseguenze ha prodotto una generale assuefazione all’illegalità, anche se in ballo ci sono migliaia o centinaia di migliaia di morti, crisi economiche e distruzione di paesi che non rappresentano o non rappresentavano nessuna minaccia per l’America.

Davanti alla catastrofe imminente, ci si ritrova con il “Deep State” americano e i media ufficiali che spingono per la guerra e praticamente nessuna discussione sulla legalità della decisione di Trump. Oltretutto, anche se fosse il Congresso a dichiarare o autorizzare la guerra, nella circostanza attuale, come nel 2002, si tratterebbe ugualmente di un atto illegale, poiché non ci sono ragioni di carattere militare e di emergenza che lo giustifichino. L’Iran, appunto, non stava minacciando gli Stati Uniti – né Israele – così che quella che Trump potrebbe scatenare, anzi che è già in corso con l’attacco sionista, non è altro che una “guerra preventiva”, ovvero un principio di retaggio nazista che sembrava morto e sepolto dopo l’invasione americana dell’Iraq nel 2003.

Ma non è tutto. In molti fanno appello, teoricamente per ristabilire i principi costituzionali, alla legge del 1973 (“War Powers Act”) che servì più che altro a dare una patina di legalità a una pratica illegittima. In base a questa legge, il presidente può ordinare la mobilitazione delle forze armate contro un paese straniero, ma deve inviarne notifica al Congresso entro 48 ore e, senza una risoluzione di quest’ultimo, cessare le operazioni militari entro 60 giorni. Come ha fatto notare l’ex giudice e commentatore americano Andrew Napolitano, questa legge è però essa stessa incostituzionale perché determina la rinuncia da parte del Congresso ad una delle sue prerogative chiave, quella di dichiarare guerra. Un principio giudicato incostituzionale dalla stessa Corte Suprema degli Stati Uniti, perché compromette la separazione dei poteri.

Anche i vincoli del “War Powers Act” sono in ogni caso ritenuti eccessivi dal potere esecutivo, tanto che questa legge viene regolarmente ignorata e, in questi giorni, un gruppo di deputati e senatori bipartisan ha presentato una risoluzione per provare a impedire la partecipazione diretta degli USA nella guerra contro l’Iran che consiste in sostanza nella riaffermazione della legge del 1973. Legge, quest’ultima, che, anche se rispettata, riguarda solo le forze armate e lascia comunque a totale discrezione del presidente l’uso dei servizi segreti e di altre entità clandestine per condurre operazioni di guerra.

Sempre in merito alla legalità delle operazioni militari, l’aggressione israeliana ha per l’ennesima volta mostrato la monumentale ipocrisia dell’Occidente. Quella in corso è l’esempio più macroscopico di guerra “non provocata” e lanciata per forzare il cambio di regime in un paese che rappresenta un ostacolo alla proiezione degli interessi strategici di Washington e Tel Aviv. Tuttavia, nessuno tra i governi occidentali ha nemmeno sussurrato quelle due parole – “non provocata” – che hanno vomitato ogni singolo giorno dopo l’inizio delle operazioni militari russe in Ucraina.

Ad aggravare la situazione, c’è poi il fatto che l’attacco di Israele con la complicità americana è arrivato nel pieno dei negoziati diplomatici tra Washington e Teheran. Trump ha di fatto ammesso nei giorni scorsi che i colloqui sul nucleare iraniano erano un mezzo per dare alla Repubblica Islamica un falso senso di tranquillità, favorendo l’aggressione del regime genocida di Netanyahu. Nelle prime fasi dell’attacco, inoltre, Israele ha assassinato una delle personalità iraniane maggiormente coinvolte nelle trattative, lo storico consigliere della Guida Suprema della Rivoluzione, Ali Shamkhani. In questi giorni, poi, sia il premier/criminale di guerra sia Trump continuano a minacciare anche l’assassinio del capo di fatto dello stato iraniano, ayatollah Ali Khamenei.

Il comportamento criminale e fuori controllo di Israele e Stati Uniti è in definitiva un segnale non di forza ma di disperazione. Entrambi si sentono costretti ad agire in totale violazione del diritto internazionale e delle loro leggi interne, oltre che della morale, perché si trovano davanti a una crisi politica, strategica e di legittimità tale da rendere impossibile il rispetto delle norme e della condotta che regolano le relazioni internazionali. Per questa ragione, Israele e Stati Uniti sono ormai a tutti gli effetti degli stati “canaglia”, delle entità criminali che operano quotidianamente nell’illegalità e, grazie al controllo che esercitano su alleati (vassalli) e istituzioni sovranazionali, continuano a godere della completa impunità.

Se Netanyahu ha un curriculum tale da contendere a pochi altri nel secondo dopoguerra la responsabilità di crimini paragonabili a quelli hitleriani, Trump si trova in questo senso ancora a un livello inferiore, se non altro per via dei pochi anni al potere rispetto al premier israeliano. In attesa di un “upgrade” con il probabile imminente coinvolgimento diretto nella guerra di aggressione contro l’Iran, il presidente americano ha però già in questi pochi mesi violato ampiamente la costituzione USA e il diritto internazionale ricorrendo alla forza militare.

A ricordarlo è un rapporto proprio di questi giorni sulla campagna militare contro lo Yemen sotto il controllo del movimento Ansarallah (“Houthis”), lanciata per difendere il “diritto” a portare a termine il genocidio palestinese da parte di Israele e poi interrotta bruscamente senza avere raggiunto gli obiettivi prefissati. Anche in questo caso senza nessuna autorizzazione del Congresso e in assenza di minacce contro gli Stati Uniti, in un paio di mesi Trump aveva ordinato bombardamenti indiscriminati nel più povero dei paesi arabi, causando un numero di vittime civili, 224 secondo i dati ufficiali di molto sottostimati, praticamente uguale a quello registrato complessivamente dalle operazioni militari nello Yemen condotte dagli USA a partire dal 2002. Operazioni, quelle precedenti il secondo mandato di Trump, avvenute ovviamente anch’esse in palese violazione del diritto internazionale e delle leggi americane.

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