Il bombardamento subito dalla centrale idroelettrica di Kajovka subisce lo stesso destino del gasdotto North Stream 2, dell’assassinio di Daria Dugina e di altri attentati terroristici dell’esercito ucraino. Ovvero, il tentativo di addossare la responsabilità ai russi e soltanto a loro.

Per gli attentati passati, a mesi di distanza si è scoperto che la versione russa era quella vera: Mosca non aveva nulla a che fare con gli attentati terroristici, concepiti a Kiev ed eseguiti da reparti nazisti dell’esercito ucraino con l’aiuto di commandos di paesi NATO.

Nei mesi scorsi si è tentato di addossare alla Russia ogni attentato, inventando una serie teorie astruse che avrebbero visto Mosca distruggere i suoi impianti, sparare sulle centrali nucleari da lei conquistate, uccidere i propri sostenitori intellettuali e, adesso, distruggere una diga le cui funzioni sono molto più importanti per la campagna militare russa che non per l’Ucraina.

 

Nessuno può escludere alcunchè, ma sarebbe meglio porre domande ed avanzare dubbi sui racconti propagandistici di Kiev, vista l'assoluta inaffidabilità già dimostrata.

Come nei casi precedenti, basta analizzare gli avvenimenti sul terreno, le diverse posizioni delle rispettive forze militari. Gli ucraini accusano Mosca di aver bombardato una struttura civile. La Russia accusa Kiev di aver lanciato multipli attacchi con lanciamissili Vilkha contro la centrale idroelettrica. Lo ha affermato anche Vladimir Leontiev, il sindaco di Nóvaha Kajovka. A detta dei russi almeno tre sezioni della diga sono crollate sotto la pressione dell'acqua dopo che le granate hanno distrutto le travi del cancello in cima alla struttura. Anche qui, se si vuole uscire dalla propaganda, conviene farsi qualche domanda.

Gli ucraini sostengono che l’allagamento della zona rischia di fermare la controffensiva e dunque annunciano che forse essa andrà rimandata causa impossibilità di procedere sul terreno inondato. Un bel racconto: anche stavolta l’offensiva sarà la prossima volta.

Ma se la controffensiva è una novela alla quale tutti gli ambienti militari internazionali non prestano credito, le trincee russe per eventualmente fermarla sono una realtà. E allora scatta la domanda: perché mai le truppe di Mosca avrebbero dovuto far esplodere la diga con la conseguenza di danneggiare le trincee da loro costruite in più di tre mesi? Sono le trincee che dovrebbero rendere decisamente complicata l’eventuale controffensiva ucraina su sulla zona circostante, quindi a che scopo prima costruirle e poi annegarle nell’acqua?

Ovvio quindi che la distruzione delle trincee è conveniente soprattutto per la ipotetica controffensiva ucraina, perché l’allagamento, sebbene faccia immergere nell’acqua la città di Novaya Kajovska, obbliga i russi ad indietreggiare di diverse centinaia di metri e li costringerà ad affrontare la (ipotetica) controffensiva ucraina senza l’ausilio delle trincee da essi costruite. Che con la distruzione della diga guadagnino gli ucraini appare quindi ovvio. Se del resto così non fosse stato, se fosse stato invece utile ai russi far saltare la diga, avrebbero potuto farlo da mesi, visto che occupano la zona da molto tempo. Dire che lo fanno ora solo perchè ora c'è la controffensiva rischia di essere un esercizio a metà tra la fede e l'umorismo involontario.

Inoltre, l’esplosione della diga rende difficile la vita della Crimea, territorio russo, nonostante Zelensky affermi il contrario. Prima dell’esplosione aveva un bacino idrico di 18 milioni di metri cubi da cui partiva l’acqua che riforniva gli impianti di raffreddamento della vicina centrale nucleare di Zaporizhzhia e la penisola di Crimea. Da allora gli ucraini avevano fermato il flusso ma a marzo dello scorso anno, dopo che l’area era stata conquistata dai russi, si era ripristinato il tutto e ristabilito così l’approvvigionamento idrico. Dunque l’uso della diga a fini militari ha un precedente ed è ucraino.

Sembra, appunto, la stessa iperbole del gasdotto North Stream 2, che i russi costruiscono e grazie al quale guadagnano 50 miliardi di euro al giorno e che però distruggono. O della centrale nucleare di Zaporizhzhia, che conquistano proprio per avere in mano la corrente elettrica dell’Ucraina ma che, dopo averla conquistata, la cannoneggiano. Davvero si può credere all’esercito russo come aspiranti Tafazzi in cirillico?

Ne discuterà il Consiglio di Sicurezza ONU in queste ore, ammesso che serva a qualcosa. Intanto noi, ancora una volta, ci troviamo davanti a racconti fantastici degli ucraini, prodotti con l’aiuto di inglesi e statunitensi, che hanno rappresentato e continuano a rappresentare una vetta mai raggiunta nella propaganda di guerra. Propaganda che viene immediatamente assunta come verità dal sistema mass-mediatico occidentale, che scatena le sue penne meno credibili per trasformare ogni cosa priva di senso e di logica in un racconto credibile e favorevole alla causa ucraina.

Restiamo comunque in attesa della reiteratamente annunciata controffensiva di Zelensky. Controffensiva che, al momento, più che tentare di recuperare territori occupati, cerca di colpire i russi con attività militare di piccoli gruppi di incursori che si muovono nelle zone russe confinanti con l’Ucraina. Non hanno l’obiettivo di penetrare in profondità nel territorio russo e peraltro, come già avvenuto, lasciano a terra decine di vittime a seguito della reazione dell’artiglieria diMosca. Ma è un costo che Kiev ha deciso di sostenere, con la sfrontatezza di esibire i suoi corpi speciali, bardati con ogni simbolo nazista possibile, come patrioti ucraini. Un modo come un altro per dare ragione ai russi circa l’identità ideologica del governo ucraino e la denazificazione necessaria.

Le operazioni al confine con la Russia non hanno speranze di successo militare quanto di successo politico e psicologico. E’ alto il costo patito in termini di vittime e mezzi per le operazioni, ma viene sopportato per il fine supremo: confortare i Paesi NATO per i miliardi di Dollari con cui l’Occidente ha riempito di armi l’esercito ucraino e i mercenari giunti da tutto il mondo, far intravvedere una possibile anello debole nella difesa russa, informazione succulenta per gli strateghi NATO.

Gli attacchi indicano la violabilità del territorio russo pensando di obbligare Mosca a trasferire effettivi e equipaggiamenti difensivi dall’Ucraina e costringere le autorità russe a predisporre lo spostamento verso l’interno delle popolazioni delle zone di confine, riducendo così la pressione delle truppe di Mosca sulle province ucraine. Sotto l’aspetto psicologico ovviamente l'auspicio è quella di generare incertezza e paura nella popolazione russa, nella speranza che questo possa far indietreggiare Mosca dalla sua operazione militare speciale. E, visti da Kiev, questi attacchi hanno un valore politico anche di prospettiva, nel senso che si può utilizzare la presunta perforabilità nella difesa russa come elemento da porre sul tavolo di qualunque trattativa, casomai dovesse mai vedere la luce.

Trattativa delle quali si parla ormai soprattutto per evitare che nasca. Ne sa qualcosa l’inviato del Papa in Ucraina, che sollecitato ad intervenire sul presunto sequestro di bambini ucraini (Mosca afferma di averli portati in salvo e le due cose anche qui non coincidono) si è sentito ripetere la litania di questi ultimi tempi: nessuna trattativa può iniziare senza il ritiro russo dall’Ucraina, compresi Donbass e Crimea.

Il che equivale a dire che l’Ucraina, che ha già perso la guerra, in realtà la vince e che la Russia, che ha il 25% del territorio ucraino sotto il suo controllo, in realtà la perde.

E’ evidente come questa ipotesi di accordo si fondi su una lettura assurda della situazione sul terreno e come tenta di scacciare il destino che attende l’Ucraina. In attesa di vedere con quali fondamentali economici e politici entrerà nella UE, difficilmente potrà entrare nella NATO, mentre sarà costretta, dopo aver lasciato alcune centinaia di migliaia di morti sul terreno e ad aver distrutto le infrastrutture del Paese, a trovare un accordo simile a quello di Minsk, stracciato per volontà di Kiev e interessi degli USA.

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