L’attitudine dei vertici di Hamas nei confronti dell’ultima proposta di tregua avanzata da Israele sembra essere improntata a un’estrema cautela. Il movimento di liberazione palestinese che controlla Gaza ha fatto sapere nelle scorse ore che restano ancora elementi ambigui nella bozza sottoposta con la mediazione egiziana, anche se le trattative sono tuttora in corso e il documento potrebbe essere il punto di partenza per una “seria discussione”. È abbastanza chiaro che Washington e Tel Aviv puntino quanto meno a mettere in pausa il massacro di palestinesi nella striscia. Le manovre attorno alla proposta per un cessate il fuoco nasconde però il tentativo di garantire una qualche copertura al regime di Netanyahu, il quale ha infatti ribadito di voler procedere con l’operazione di terra a Rafah indifferentemente dall’esito dei negoziati con Hamas.

Nella giornata del primo maggio, il segretario di Stato americano Blinken ha incontrato il premier israeliano in chiusura della sua settima trasferta in Medio Oriente dal 7 ottobre scorso. Prima di arrivare a Tel Aviv, il capo della diplomazia USA era stato in Giordania e Arabia Saudita, con ogni probabilità per cercare di coordinare i prossimi passi della crisi soprattutto con la casa regnante di Riyadh, secondo la versione ufficiale ancora interessata alla normalizzazione dei rapporti con lo stato ebraico.

 

Blinken ha insistito sulla responsabilità esclusiva di Hamas per fermare o meno la guerra, visto che sul tavolo ci sarebbe una proposta di accordo molto generosa. Le parole del segretario di Stato erano state tuttavia smentite preventivamente dallo stesso Netanyahu, che il giorno prima dello sbarco di Blinken in Israele aveva appunto chiarito che  l’operazione a Rafah “non è vincolata a nulla”, cioè procederà con o senza un’intesa per il cessate il fuoco. Sempre per ribadire l’approccio israeliano alle trattative, Netanyahu aveva aggiunto che il suo governo non intende accettare un accordo che implichi la fine della guerra senza che gli obiettivi fissati dopo il 7 ottobre siano stati raggiunti, a cominciare dalla distruzione di Hamas.

La bozza in attesa del riscontro di Hamas è stata pubblicata da vari media occidentali e mediorientali e prevede varie fasi nelle quali Hamas e Tel Aviv si impegnano a scambiarsi un numero prestabilito di detenuti. In parallelo dovrebbe avvenire il parziale e progressivo disimpegno israeliano dalla striscia e il ritorno dei civili palestinesi nelle loro abitazioni o in ciò che resta di esse, assieme all’avvio della ricostruzione delle infrastrutture civili.

La questione cruciale è quella inclusa nella seconda fase, ovvero l’inizio di discussioni per arrivare a una tregua permanente o comunque di lunga durata e il ritiro totale delle forze armate israeliane da Gaza. A differenza delle proposte precedenti poi naufragate, vi è in questo punto un parziale cambiamento di rotta da parte di Israele. C’è in altre parole la disponibilità apparente a discutere uno stop più o meno definitivo delle operazioni militari, mentre in precedenza si trattava soltanto di cessate il fuoco temporanei.

D’altro canto, Hamas rischierebbe di sottoscrivere un documento che ancora non garantisce la fine dell’aggressione israeliana, visto che sul tavolo c’è soltanto un impegno a discuterne. Come nelle altre bozze di intesa scartate, in definitiva, il rischio è che si verifichi una situazione in cui Hamas si ritroverebbe ad avere rilasciato quasi tutti i detenuti israeliani catturati durante l’operazione “Diluvio di al-Aqsa” del 7 ottobre senza ottenere in cambio una garanzia contro la ripresa delle operazioni militari di Tel Aviv. In questo scenario, Netanyahu avrebbe ancora più mano libera per proseguire con l’offensiva nella striscia.

È su questa circostanza quindi che Hamas nutre probabilmente le maggiori riserve. Oltretutto, sulla possibile finalizzazione dell’accordo pesa la già ricordata affermazione di Netanyahu sull’intenzione di lanciare in qualsiasi caso l’attacco di terra a Rafah. La dirigenza di Hamas ha sempre ribadito, come ha fatto anche nelle scorse ore, che se ciò avvenisse le trattative sul cessate il fuoco si interromperebbero all’istante.

La doppiezza americana, inoltre, non facilita la de-escalation. Blinken ha obiettato nuovamente l’assenza di un “piano umanitario” per ridurre l’impatto dell’invasione di Rafah, ostentando preoccupazione per la sorte degli oltre un milione di palestinesi rifugiati nella località più meridionale della striscia. Le finte preoccupazioni USA si scontrano evidentemente con il fatto che Washington, nonostante la retorica, ha finora giocato un ruolo decisivo nel consentire a Israele di massacrare quasi 35 mila palestinesi, in grandissima parte donne e bambini.

La strategia dell’amministrazione Biden appare chiara. Pubblicamente, Blinken o lo stesso Biden fanno la voce (relativamente) grossa con Netanyahu, esprimendo ferma opposizione ai piani per Rafah e sollecitando iniziative per alleviare la crisi umanitaria nella striscia. In realtà, come ha spiegato il giornalista inglese Jonathan Cook dal suo blog, “la Casa Bianca prepara il terreno per ribaltare le sue posizioni”. La leva è appunto la più recente proposta di tregua, che viene definita “straordinariamente generosa” e l’eventuale rifiuto di Hamas come un gesto incomprensibile che confermerebbe l’intransigenza e l’inaffidabilità del movimento “terrorista”. La prosecuzione della strage e l’invasione di Rafah sarebbero così responsabilità uniche dei leader di Hamas. Se questi ultimi invece accettassero la proposta sul tavolo, è probabile che ci sarebbe solo una pausa dall’aggressione israeliana, che riprenderebbe poi con l’appoggio di Stati Uniti ed Europa.

Le contraddizioni dell’atteggiamento israeliano rivelano in ogni caso il dilemma in cui si trova Netanyahu. La fine della guerra potrebbe aprire una resa dei conti politica, con il primo ministro probabilmente atteso da dimissioni o elezioni anticipate, visto che la maggioranza dell’opinione pubblica israeliana gli attribuisce la responsabilità della disfatta del 7 ottobre e che gli alleati di governo dell’ultra-destra religiosa minacciano la rottura se si fermeranno le operazioni militari. L’invasione di Rafah rappresenta ugualmente un problema, poiché in pochi si aspettano risultati diversi da quelle registrati nel resto della striscia: ulteriori stragi di civili e impossibilità di raggiungere l’obiettivo di liquidare o anche solo indebolire in maniera sostanziale le forze di Hamas.

Pin It

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy