Per celebrare l’80º anniversario della Grande Vittoria, ignorando le minacce di Kiev, sono arrivati al Cremlino presidenti, ministri e ambasciatori di 22 paesi, in rappresentanza di oltre il 60% della popolazione mondiale. Tanto la loro presenza quanto l’assenza di chi ha voltato le spalle alla storia hanno un preciso valore politico. Mosca ha mostrato una dimostrazione di forza militare e solidità politica difficile da smentire, che tiene unito il suo ruolo storico con la sua proiezione politica. Grande enfasi è stata data all’amicizia strategica totale con Pechino, con il rifiuto di Xi Jinping di dare ascolto ai canti delle sirene occidentali, confermando invece la solidità del rapporto sino-russo, che spegne le illusioni occidentali su possibili divisioni tra i due giganti e, in conseguenza, all’interno dei BRICS.

La Piazza Rossa di Mosca ha evidenziato come il tentativo di isolare Mosca sia miseramente fallito, così come quello di piegarla economicamente e militarmente. La Russia ricopre un ruolo da protagonista nello scenario internazionale e, insieme alla Cina, le viene riconosciuta una dimensione di leadership politica, economica e militare in rappresentanza dell’Est e del Sud globale, impegnati nello scontro con l’impero unipolare in declino.

Durante le celebrazioni sono emersi due aspetti da sottolineare: da un lato la memoria del passato, di quel confronto tra una parte dell’Europa che incarnava l’orrore assoluto per l’intero continente e coloro che da quell’orrore lo liberarono. Dall’altro la denuncia della lettura manipolata di quella storia da parte dell’Occidente, che corre a rendere omaggio agli eredi del nazismo e ignora coloro che li salvarono.

Putin ha ricordato l’eroismo estremo di un popolo che si trasformò in esercito e la follia di chi pensò che l’Unione Sovietica potesse essere sconfitta e poi smembrata. Nonostante avessero già visto la sorte dell’impero svedese-lituano nel 1200 e quella dell'esercito napoleonico, il Terzo Reich immaginò di poter realizzare il suo folle sogno mobilitando oltre tre milioni e mezzo di soldati tedeschi, 250.000 italiani e un altro mezzo milione tra ungheresi, croati, ucraini e polacchi.

L’Armata Rossa annientò i battaglioni nazisti a Stalingrado e Kursk, sconfisse la Wehrmacht e l’esercito fascista italiano sul Don e lanciò la controffensiva che culminò con la liberazione dell’Europa orientale e la conquista della Germania. Un impero criminale si arrese e la parte migliore del mondo trionfò. Quella bandiera rossa issata sul Reichstag, diventata un’icona del XX secolo, era un monito a non ripetere l’avventura più stupida: immaginare di poter conquistare la Russia.

sì, è obbligatorio ricordarlo dinanzi a tanto ciarpame giornalistico e politico che si affaccia senza decenza sui nostri media: nonostante le falsificazioni storiche propagate dalla propaganda occidentale, l’Europa fu liberata dai soldati dell’Armata Rossa, l’esercito dell’Unione Sovietica. Furono i soldati sovietici a porre fine all’Olocausto, aprendo le porte di Auschwitz, Majdanek, Belzec, Sobibor e Treblinka, di Stutthof, Sachsenhausen e Ravensbrück, i campi di sterminio nazisti disseminati in tutta l’Europa orientale. I russi pagarono con 22 milioni di morti – e altri cinque milioni di feriti gravi – la libertà degli europei, oltre che la propria.

C’è anche l’“hic et nunc” del discorso di Putin, che ha voluto sottolineare la conferma del ruolo storico della Russia come bastione invalicabile contro il nazismo, il razzismo e l’antisemitismo, cioè tre dei cinque pilastri ideologici (il quarto è l’odio di classe e il quinto il patriarcato) su cui si fonda l’ideologia nazi-fascista, arma di riserva del capitalismo. E sulle ricostruzioni storiche false e revisioniste, Putin ha sottolineato che servono solo a ricostruire un’immagine diversa degli invasori e a favorire così una maggiore indulgenza nei loro confronti nella memoria futura.

Ricordare l’immenso tributo di sangue che l’URSS pagò per liberare sé stessa e l’intera Europa dovrebbe essere molto più che un atto dovuto da parte di tutti e, ancor più, da parte di quei Paesi che allora abbracciarono l’orrore del nazi-fascismo e che, a ottant’anni di distanza, sembrano voler autoassolversi dalla loro oscena complicità e incoraggiarne in qualche forma la riedizione. Oggi, come allora, abitano a Kiev, Varsavia, Vilnius, Tallinn, Riga ma li si può trovare in tutta Europa in ordine sparso.

Le parole di Putin dalla Piazza Rossa non sembrano affatto retoriche; trovano una conferma politica e simbolica diretta. Nelle stesse ore, infatti, a Kiev si rappresentava la prova inconfutabile dell’allarme russo: Francia, Regno Unito e Germania stringevano legami con l’Ucraina del nazista Zelensky, ammiratore del suo predecessore Stephan Bandera, assassino al servizio delle SS tedesche, autore di migliaia di omicidi e deportazioni di ebrei e russi in Germania. Fingono di non sapere, i "democratico-liberali europei" che il regime di Kiev ha distrutto ogni monumento che ricordasse la vittoria sovietica, ma ha eretto un monumento proprio a Bandera, proclamato nel 2011 eroe nazionale ucraino. E gli europei, in una rappresentazione teatrale dell’assurdo, hanno attribuito il titolo di “resistente” a un governo che dichiara Bandera eroe nazionale, benché la Resistenza, nella sua unica e degna versione, sia stato lo strumento decisivo per abbattere il nazismo di cui Bandera ieri e Zelensky oggi sono portatori.

Quel quartetto europeo impotente ma tossico che si è autodefinito “coalizione dei volenterosi”, è l’abito da cerimonia della nuova minaccia che incombe sulla pace in Europa e dimostra come i peggiori percorsi della storia tendano a ripresentarsi, secondo la nota teoria vichiana dei corsi e ricorsi storici. Una conferma della tesi del filosofo napoletano vissuto tra XVII e XVIII secolo l’hanno offerta proprio le rappresentazioni a Kiev e Leopoli, dove si sono dati appuntamento i vinti di ottant’anni fa.

La scelta del luogo non è casuale: fu proprio a Leopoli che i nazisti ucraini, in complicità con i tedeschi, perpetrarono uno dei pogrom più sanguinosi contro ebrei, polacchi e russi nella storia del Paese. In questa occasione, guidati da Kaja Kallas, i protagonisti della triste messinscena sono stati gli allora alleati della Wehrmacht, cioè i baltici e l’Ucraina. Mancavano solo gli eredi croati di Ante Pavelic. E non è casuale la decisione di non invitare la Russia: non hanno nulla da celebrare; il 9 maggio per loro non fu una liberazione, ma una capitolazione.

Regno Unito, Francia e Germania lanciano proposte di tregua di 30 giorni che servono solo per far arrivare le loro nuove armi a Kiev senza il timore che vengano distrutte lungo il tragitto – come è spesso accaduto – e per dare respiro all’esercito ucraino, permettendogli di riorganizzarsi.

Non si capisce perché i russi dovrebbero aderire, ma suscitano ironia le minacce in caso di rifiuto, ormai lanciate con disprezzo del ridicolo, data la loro totale inefficacia già dimostrata. Dunque deciderà Mosca, tempi, luoghi e modalità della trattativa, dal momento che chi vince è colui che da le carte (direbbe Trump).
In questi ultimi 80 anni si possono cogliere chiare analogie, non solo sul piano simbolico, e tutte si riferiscono proprio al ruolo della Russia: la sua capacità di sconfiggere ogni invasione, di difendere la propria autonomia territoriale e la propria sovranità politica.Le ricostruzioni sulla presunta minaccia russa si equivalgono a 80 anni di distanza. Nel 1942 non esisteva alcuna minaccia sovietica sull’Europa, e non esiste oggi: allora vi fu un’invasione della Russia, e oggi si sogna una guerra contro di essa. Mai la Russia ha invaso un paese del'Europa occidentale nella sua storia. Ma oggi come allora la Russia è interpretata come una minaccia: ieri perchè capace di fermare l'espansione del Reich, oggi da un capitalismo in crisi che teme di perdere il dominio internazionale attraverso cui si era trasformato in un impero unipolare. Anche per questo, nel discorso di Putin sono risuonate parole che legano gli avvenimenti di ottant’anni fa a quelli di oggi, in un’epoca storica che sembra voler riproporre la sconfitta militare della Russia e la sua frammentazione fino all’irrilevanza, per escluderla dal governo del mondo e cancellarne l’identità.

Qui, e non altrove, risiede l’odio russofobo: nella necessità di dominarla e ridurla a strumento dell’Occidente per arrivare a sottomettere prima lei e poi l’Asia, e, allo stesso tempo, nella consapevolezza di non poterci riuscire a causa di una forza indomabile, di un’invincibilità militare russa dimostratasi nel corso dei secoli con la sconfitta di tutti gli imperi che tentarono di occuparla.

Il 9 maggio non è e non potrà mai essere una celebrazione come tante altre. In quella data si commemora la sconfitta delle tenebre più oscure che l’umanità abbia mai dovuto affrontare, l’oltraggio più grave alla dignità degli uomini e delle nazioni nei secoli. Putin ha ricordato ai presenti e agli assenti la missione storica della Russia, sia essa sovietica o no: essere un muro invalicabile contro il nazismo e il fascismo, diversi tra loro solo in parte per radici e intenzioni, ma ugualmente nefasti e criminali.

Risuonano profetiche e di estrema attualità le parole del generale sovietico, Maresciallo dell’Armata Rossa, Gueorgui Žukov, il genio militare che diresse la difesa di Mosca e la controffensiva da Stalingrado a Berlino: "Abbiamo liberato l'Europa dal nazifascismo, e questo non ce lo perdoneranno mai."

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