L’imboscata tesa da Trump al presidente sudafricano, Cyril Ramaphosa, durante l’incontro con la stampa di mercoledì nello Studio Ovale, ha fatto presa soltanto sugli ambienti di estrema destra (“MAGA”) che formano la base di consenso della Casa Bianca. Per il resto, si è trattato dell’ennesimo show senza nessun fondamento nella realtà e che ha oltretutto mostrato ancora una volta la natura razzista e criminale dell’amministrazione repubblicana. Dietro all’episodio e alle assurde denunce dell’inesistente “genocidio” dei proprietari terrieri bianchi in Sudafrica, proprio quando ne è in corso uno vero e proprio in Palestina con la piena collaborazione americana, ci sono comunque seri motivi di conflitto tra i due paesi in ambito economico e strategico, che, alla vigilia del vertice, Ramaphosa si era impegnato a discutere e ad appianare.

Da qualche mese è in atto appunto uno scontro diplomatico acceso tra Washington e Pretoria. A febbraio, Trump aveva criticato il governo di Ramaphosa per la legge sudafricana che permette, almeno in teoria e in casi molto rari, la confisca senza nessun risarcimento di terre coltivate dai proprietari “Afrikaner”. Gli effetti del provvedimento sono stati ingigantiti da Trump e il suo entourage, fino a collegarli a una sorta di persecuzione contro i bianchi sudafricani, sfociata a suo dire in una drammatica campagna di assassinii.

La riforma della terra in Sudafrica a cui fa riferimento Trump è in realtà relativamente modesta. Essa prevede ad esempio che gli eventuali espropri avvengano solo se nel pubblico interesse e siano soggetti al giudizio della magistratura. Infatti, finora non è stato registrato nemmeno un caso di confisca senza indennizzo. Quando, però, lo scambio di battute coi giornalisti mercoledì alla Casa Bianca ha toccato l’argomento, Trump è andato all’attacco di Ramaphosa. Con un gesto fuori programma, il presidente americano ha chiesto ai suoi collaboratori di proiettare un video che documenterebbe le uccisioni indiscriminate dei bianchi sudafricani, assieme ai loro luoghi di sepoltura e dichiarazioni pubbliche minacciose da parte di politici dell’opposizione, come Julius Malema.

Ramaphosa ha da parte sua mantenuto un contegno più o meno disteso, sollevando indirettamente dubbi sull’autenticità delle immagini. Trump ha allora rilanciato con articoli di giornale sventolati davanti al suo ospite e alla stampa per mostrare il numero enorme di assassinii avvenuti in Sudafrica, a suo dire che riguardano sempre per lo più la minoranza bianca. Il presidente sudafricano ha allora ammesso il problema della criminalità e l’elevato numero di omicidi nel suo paese, ma ha spiegato che i neri rappresentano la maggior parte delle vittime. In effetti, i bianchi in Sudafrica sono meno dell’8% della popolazione, ma costituiscono solo il 2% delle vittime di omicidi. Negli ultimi anni alcune decine di proprietari terrieri bianchi sono rimasti uccisi, ma ancora una volta il numero delle vittime di colore è enormemente maggiore anche in termini percentuali.

Il tentativo di Trump di far passare la minoranza bianca come bersaglio di un sistema discriminatorio o, addirittura, genocida si scontra anche con la realtà socio-economica del Sudafrica, uno dei paesi più iniqui di tutto il pianeta. I bianchi, dopo più di tre decenni dalla fine dell’apartheid, posseggono ancora la metà delle terre e vivono in condizioni migliori rispetto alla maggioranza nera, indifferentemente dai parametri che si vogliano utilizzare per il confronto.

Sempre a febbraio, Trump aveva comunque firmato un decreto presidenziale che sospendeva gli aiuti economici destinati al Sudafrica e apriva le porte ai “rifugiati Afrikaner” intenzionati a trasferirsi negli Stati Uniti. Settimana scorsa sono stati così accolti i primi bianchi sudafricani – poco meno di 60 – con una cerimonia all’aeroporto di Washington a cui hanno partecipato anche esponenti di spicco dell’amministrazione repubblicana. Secondo Trump, ci sarebbero altre migliaia di bianchi che desiderano lasciare il loro paese per stabilirsi in America.

L’apertura dei confini USA in tempi rapidissimi per i bianchi del Sudafrica fa da contrappunto alle varie iniziative della Casa Bianca per restringere drasticamente i flussi migratori. Nei primi mesi del suo secondo mandato, Trump ha ad esempio congelato gli ingressi di veri rifugiati da paesi a rischio, come Afghanistan o Congo, nonostante avessero atteso il via libera per mesi o anni. Più in generale, uno dei punti centrali del programma della sua amministrazione è la lotta all’immigrazione, già concretizzatasi con espulsioni di massa, spesso in aperta violazione del diritto e di ingiunzioni emesse da tribunali federali.

In ogni caso, la visita di Ramaphosa a Washington ha fatto emergere anche i risvolti economici e strategici dello scontro in atto tra i due paesi. Tra le misure prese da Trump vanno ricordati i dazi sulle importazioni che, per quanto riguarda il Sudafrica, ammontavano al 30%, prima di essere riportati provvisoriamente al 10%. In ballo c’è anche un programma (AGOA) che concede facilitazioni commerciali a questo e ad altri paesi africani, ora di fatto sospeso per via delle nuove politiche dei dazi di Trump e che scadrà il prossimo settembre.

Gli USA sono il secondo partner commerciale del Sudafrica, dopo la Cina, e nel 2024 gli scambi sono stati pari a 20,5 miliardi di dollari, di cui 14,7 miliardi di esportazioni sudafricane verso l’America. Ramaphosa, alla vigilia della partenza per Washington, aveva perciò chiarito che l’obiettivo numero uno del vertice con Trump era di trovare un accordo per ristabilire normali relazioni commerciali. Il presidente sudafricano avrebbe a questo proposito messo sul tavolo una proposta ad hoc per consentire a Elon Musk, originario del Sudafrica, di vendere il suo sistema di comunicazione satellitare Starlink bypassando una legge restrittiva sugli investimenti e le compagnie straniere. In base a essa, il 30% delle quote delle attività che operano in Sudafrica deve essere detenuta da appartenenti a gruppi etnici precedentemente svantaggiati. Questa legge post-apartheid era stata sfruttata ad esempio dalla leadership dell’ANC per avvantaggiarsi delle nuove occasioni di business e accumulare così enormi ricchezze, come ha fatto lo stesso Ramaphosa.

Oltre che gli ostacoli per gli affari di Musk, le tensioni tra USA e Sudafrica riguardano questioni geopolitiche e strategiche da collegare in buona parte alle dinamiche multipolari che stanno spostando gli equilibri internazionali verso il “Sud globale” e di cui Pretoria è un elemento chiave, essendo tra l’altro membro dei BRICS. Com’è emerso anche nel corso del vertice tra Ramaphosa e Trump, il governo americano continua a essere fortemente contrariato dalle posizioni prese dal Sudafrica contro il genocidio palestinese per mano del regime di Netanyahu. L’aspetto grottesco della questione è ovviamente che Trump denuncia un “genocidio” inesistente in Sudafrica, mentre sostiene e facilita quello oggettivamente in corso nella striscia di Gaza.

Il Sudafrica aveva presentato il caso davanti alla Corte Internazionale di Giustizia a fine 2023, diventando il portavoce formale della battaglia legale per fermare le atrocità commesse dalle forze di occupazione a Gaza. Biden e poi Trump si sono opposti ferocemente a questo procedimento e, anche dietro le pressioni dello stato ebraico, hanno cercato in vari modi di convincere il governo sudafricano a fare un passo indietro. Le iniziative descritte in precedenza, a cui va aggiunto almeno l’espulsione dell’ambasciatore sudafricano a Washington e la minaccia di boicottare il G-20 del prossimo novembre che si terrà appunto in Sudafrica, sono in buona parte da ricondurre alle posizioni di Pretoria sul genocidio palestinese.

Non solo, l’amministrazione Trump vede con crescente disagio il rafforzarsi delle relazioni tra il Sudafrica e l’Iran, così come, e ancora di più, con la Cina. In entrambi i casi, i rapporti coprono ormai un’ampia gamma di settori e gli Stati Uniti cercano per questo di agire con incentivi e ricatti per ristabilire la propria influenza su un paese determinante per l’accesso ai mercati di tutto il continente africano.

Ramaphosa e il suo governo, di cui fa parte anche il partito tradizionalmente della minoranza bianca (Alleanza Democratica), risulta nonostante tutto ben disposto verso Washington, sia per un’attitudine ideologica più che pragmatica sia alla luce degli interessi in gioco, ma le richieste americane puntano a stravolgere del tutto gli orientamenti strategici del Sudafrica in un quadro di crescente competitività tra le grandi potenze globali. Un punto di equilibrio che normalizzi le relazioni bilaterali sarà perciò difficile da individuare e, in assenza di ciò, i rapporti potrebbero essere destinati a un ulteriore peggioramento, come ha dimostrato l’incidente diplomatico sfiorato mercoledì nello Studio Ovale.

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