L’immediata presa di posizione a favore di Israele da parte delle prime tre “potenze” europee (Francia, Germania, Regno Unito) e dei membri del G-7 con dichiarazioni di stampo orwelliano, se non appare per nulla una sorpresa, rivela nel modo più chiaro come la favola delle armi nucleari iraniane da sventare ad ogni costo sia un pretesto macroscopico che nasconde altri fini. Andando ben oltre il ridicolo, anche il presidente americano Trump continua a ripetere meccanicamente, sulla scia del suo partner nel crimine Netanyahu, che l’Iran non può in nessun modo possedere ordigni atomici. Una pretesa curiosa, quella dell’inquilino della Casa Bianca, visto che Teheran, come devono avergli spiegato i suoi stessi servizi di intelligence, non dispone di queste armi né, almeno fino alla viglia dell’aggressione sionista, aveva intenzione di produrne.

Questo insieme di criminali di guerra, invasati genocidi e complici vari, da Israele ai governi occidentali, si trovano quindi ad appoggiare un regime, quello guidato da un primo ministro sulla cui testa pende un mandato di arresto internazionale per crimini di guerra, che è esso stesso dotato di un numero imprecisato di armi nucleari, senza mai averlo ammesso e senza avere sottoscritto il Trattato di Non Proliferazione (TNP), e che, definendolo un pericolo mortale, ha aggredito un altro paese per le armi nucleari che non possiede. Un regime, oltretutto, che viola il diritto internazionale fin dalla sua nascita, è impegnato da oltre un anno e mezzo in un genocidio riconosciuto a livello globale e sta infiammando il Medio Oriente con un numero crescente di guerre illegali.

È chiaro che i vari Trump, o Biden prima di lui, Macron, Starmer e l’ex banchiere d’affari Merz non sono abbastanza stupidi, pur andandoci molto vicino, da non rendersi conto di questa realtà. Ciononostante, tutti sfidano il buon senso, l’opinione dei loro elettori e, ancora di più, la realtà oggettiva garantendo pieno supporto “morale” e materiale a un regime sanguinario. Una delle ragioni di questa scelta è da collegare al peso e all’influenza, nonché alla pericolosità, della lobby sionista, soprattutto negli Stati Uniti. Un’altra, strategicamente più importante, è invece che l’entità chiamata Israele può assassinare leader politici e militari, distruggere interi paesi e sterminare civili, inclusi donne e bambini, impunemente perché, in definitiva, proietta e difende gli interessi di quegli stessi paesi che gli permettono di farlo.

L’Iran è notoriamente l’anello più solido e l’ultimo baluardo di uno schieramento che rappresenta il fronte della Resistenza contro l’egemonia israeliano-americana-europea in Medio Oriente. Come tale è oggetto di una guerra ibrida fin dalla rivoluzione del 1979. In questi anni, inoltre, e in larga misura per via proprio di questa storia di resistenza e dei tentativi di destabilizzazione e isolamento dell’Occidente, la Repubblica Islamica è diventata lo snodo cruciale delle dinamiche multipolari che ruotano attorno ai concetti di “BRICS”, “Sud Globale” e “Nuova Via della Seta” (BRI). Concetti, prospettive e organizzazioni guidate da Cina e Russia e che minacciano apertamente le posizioni di dominio internazionale degli USA e dei loro alleati.

L’Iran è appunto un elemento centrale nel riassestamento degli equilibri globali, sia per le risorse di cui dispone, sia per la posizione geografica, nel bel mezzo delle rotte commerciali est-ovest e nord-sud, e i rapporti sempre più solidi con Mosca e Pechino. Per tutte queste ragioni, la convivenza pacifica, anche solo all’insegna del puro pragmatismo, tra Iran e Israele-Occidente risulta impossibile nonostante le ripetute aperture al dialogo da pari a pari fatte da Teheran in questi anni. Gli eventi seguiti all’operazione a sorpresa di Hamas del 7 ottobre 2023 hanno poi dato un senso di invincibilità a Israele, USA ed Europa, convincendoli che non vi sia un altro frangente storico più propizio per sferrare l’attacco decisivo contro la “testa del serpente”.

A individui di infimo spessore morale come Netanyahu, Trump, Macron, Starmer o Merz non interessa nulla dello sterminio di civili innocenti o della distruzione di intere società. In condizioni “normali”, questi atti porterebbero forse a iniziative efficaci per cercare di fermarli, ma solo per il timore delle ripercussioni negative derivanti dalla mobilitazione dell’opinione pubblica dei rispettivi paesi. Nel caso di Israele, invece, guerra, massacri e distruzione sono tollerati, anzi incoraggiati e facilitati con supporto materiale e un’ondata di propaganda dai risvolti orwelliani, perché il criminale Netanyahu sta in definitiva combattendo una guerra per l’Occidente e che ha come premio finale la sconfitta della “rivoluzione” del multipolarismo.

Qualcuno sostiene che lo stato ebraico abbia sbagliato totalmente i propri calcoli attaccando l’Iran. Un paese di 90 milioni di abitanti con una lunga storia di resistenza a invasioni e aggressioni non è come il Libano, Gaza o la Siria. Se, poi, Netanyahu crede di potere favorire una rivolta interna contro il sistema di potere iraniano sull’onda di una guerra scatenata dal regime sionista, oltretutto mirata a fare i maggiori danni possibili alla popolazione civile, rischia di andare incontro a una spiacevolissima sorpresa. Il fatto che implori precocemente l’intervento USA, alternando suppliche a minacce nemmeno troppo velate, la dice lunga sulla paura del premier israeliano del prolungamento di un conflitto che il suo micro-stato e una popolazione tutt’altro che avvezza agli inconvenienti di una lunga guerra potrebbero non essere in grado di sostenere.

È del tutto possibile che Trump, sotto pressione o sotto minaccia di Israele e dei suoi agenti negli USA, finisca per portare il suo paese direttamente nella guerra contro l’Iran. Il calcolo della Casa Bianca non si basa sulla legalità o meno della decisione, visto che sarebbe comunque fuori da ogni logica legale e costituzionale ma perfettamente in linea con lo smantellamento anche delle formalità democratiche in America negli ultimi decenni. Il problema è bensì la prospettiva di imbrigliare gli Stati Uniti nell’ennesima guerra, che si può vincere solo in apparenza e nei post a raffica pubblicati sui social media, e l’affondamento di fatto della presidenza Trump e del movimento “MAGA” che, nelle fantasie hitleriane del presidente, avrebbe dovuto riplasmare e far rinascere un paese allo sbando.

C’è in ogni caso in atto un acceso conflitto interno all’apparato di potere americano sulle decisioni da prendere a proposito della guerra contro l’Iran. Lo stesso Trump, nonostante mostri inclinazioni sempre più verso l’interventismo, continua a inserire nel dibattito prospettive diplomatiche, chiaramente dettate dalle inquietudini di fronte all’idea di una conflagrazione globale. Il dilemma consiste in definitiva nella scelta tra l’astensione, risparmiando risorse per un futuro conflitto soprattutto con la Cina, e il coinvolgimento nella guerra di Netanyahu tentando il tutto per tutto per spezzare nella regione del globo più cruciale – il Medio Oriente – il nodo che tiene assieme i progetti multipolari anti-egemonici.

Qualsiasi sia la decisione, a Teheran il quadro deve apparire già sufficientemente chiaro. Non esiste ormai più la minima fiducia nella buona fede di Washington e dei suoi vassalli in Europa e quella che si prospetta è una battaglia di sopravvivenza lanciata dai nemici storici per la colpa iraniana di avere difeso la propria sovranità economica e politica. Per fermare la follia di Netanyahu (e Trump), la Repubblica Islamica ha perciò solo una strada: infliggere o rendere coscienti USA e Israele che è in grado di infliggere i maggiori danni possibili in caso di prolungamento o intensificazione della guerra appena iniziata.

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