Il governo americano e quello di Israele stanno cercando di accelerare il processo di normalizzazione dei rapporti con il regime di fatto siriano, guidato dal qaedista Ahmed al-Sharaa, nel quadro del riassetto strategico perseguito dai due alleati in Medio Oriente. L’amministrazione Trump ha sospeso lunedì in via formale quasi tutte le sanzioni che gravavano da oltre un decennio sulla Siria, così da facilitare il processo di avvicinamento tra Damasco e Tel Aviv. L’operazione viene propagandata in Occidente come un inevitabile adeguamento alla cambiata realtà siriana, finalmente liberata dall’oppressione del regime di Assad. La verità dei fatti racconta tuttavia una storia molto diversa.

Le forze al potere a Damasco sono com’è noto una versione in apparenza presentabile di quelle formazioni integralisti (terroriste) che, con la regia e il supporto finanziario-militare dell’Occidente, della Turchia e dei regimi sunniti del Golfo Persico, dal 2011 avevano combattuto il governo legittimo di Assad, seminando morte e terrore nei territori da loro controllati. Al-Sharaa, in precedenza noto col “nom de guerre” Abu Muhammad al-Jolani, era a capo prima della sezione siriana di al-Qaeda, nota col nome di Fronte al-Nusra, e in seguito della nuova versione di quest’ultimo, ribattezzato Hayat Tahrir al-Sham (HTS) per confondere le acque sulla natura del gruppo, sempre distintosi però per l’adesione alla corrente islamica salafita più estrema e per i ripetuti massacri indiscriminati commessi contro civili sciiti, cristiani e di altre minoranze.

Al-Sharaa/Jolani, dopo la caduta di Assad lo scorso dicembre, ha indossato abiti occidentali più rispettabili e iniziato a predicare moderazione e tolleranza, incontrando subito la disponibilità di Occidente e regimi arabi, del tutto disinteressati ai precedenti del nuovo regime, visto l’obiettivo ormai raggiunto del cambio di regime a Damasco. I terroristi di ieri sono così diventati rapidamente i nuovi statisti di oggi e la Siria un cantiere democratico aperto da sostenere in tutti i modi. La ratifica ufficiale di questo cambiamento è stato l’incontro a sorpresa in Arabia Saudita lo scorso maggio tra il presidente americano Trump a al-Sharaa/Jolani.

Sul terreno, però, le cose non sono andate proprio secondo la narrativa ufficiale. Dietro la maschera del presidente siriano ad interim, i militanti dei vari gruppi fondamentalisti che rappresentano l’ossatura del nuovo regime sono rimasti fedeli al loro recente passato e, una volta integrati nelle strutture dello stato appena ricostruito, hanno continuato a fare quello che sapevano fare meglio, ovvero massacrare civili innocenti solo perché appartenenti ad altre fedi o sette. Cristiani e alauiti siriani sono stati e continuano così a essere al centro delle violenze che vanno ricondotte direttamente a esponenti di primissimo piano del regime di al-Sharaa/Jolani. Varie organizzazioni umanitarie hanno confermato questa realtà e, in particolare, lo ha fatto proprio lunedì una lunghissima indagine condotta in Siria dall’agenzia di stampa britannica Reuters.

Oggetto della ricerca sono le circostanze dei fatti avvenuti sulla costa mediterranea della Siria, dove si concentra la maggior parte della minoranza alauita, tra il 7 e il 9 marzo scorso. A seguito di un presunto tentativo di insurrezione da parte di ex ufficiali del vecchio regime, varie formazioni armate agli ordini di superiori ben integrati nel nuovo stato avevano lanciato una campagna di ritorsioni violente che ha causato la morte di un numero imprecisato di appartenenti alla stessa setta della famiglia del deposto presidente Assad. Secondo i calcoli derivanti dall’indagine, nei soli tre giorni indicati sarebbero state uccise almeno 1.500 persone.

I reporter della Reuters hanno raccolto e collegato informazioni, prove e testimonianze da varie fonti, a cominciare dai famigliari delle vittime, per dimostrare che i massacri indiscriminati avvenuti in cittadine e villaggi a maggioranza alauita erano stati ordinati o, come minimo, assecondati da ex leader di milizie terroristiche durante la guerra e ora parte a tutti gli effetti delle forze del nuovo stato. Settimana scorsa un articolo della testata on-line libanese The Cradle aveva a sua volta ricondotto anche il recente sanguinoso attentato nella chiesa greco-ortodossa Mar Elias di Damasco a individui collegati alle forze di sicurezza del nuovo regime. Le vittime dell’attacco suicida tra i cristiani siriani presenti nell’edificio erano state 25.

Tra i morti nelle stragi di marzo, scrive la Reuters, si contano invece intere famiglie, incluse donne, ma anche bambini, anziani e disabili, talvolta con esecuzioni sommarie e in altre occasioni dopo torture e atrocità varie. Un episodio descritto nel dettaglio riguarda un 25enne del villaggio di Al-Rusafa, fatto trovare alla famiglia con il petto squarciato e il cuore posizionato sopra il suo cadavere. In questa località, la Reuters ha contato 60 morti tra la popolazione alauita, di cui il più giovane era un bambino di appena 4 anni. Altri casi vengono raccontati esaustivamente, con lo svolgimento dei fatti spesso molto simile: mezzi guidati dai terroristi integrati nello stato che arrivano improvvisamente nei villaggi alauiti della Siria occidentale, sparatorie indiscriminate sui residenti che si trovano all’esterno, irruzione nelle abitazioni, umiliazioni di uomini e ragazzi, esecuzioni sommarie o rapimenti.

Anche grazie all’analisi di chat di Telegram, è stato possibile dimostrare che funzionari di alto livello del nuovo regime erano coinvolti in prima persona nelle violenze. È il caso ad esempio di Hassan Abdel-Ghani, noto con lo pseudonimo di Abu Abd al-Hamawi, portavoce del ministero della Difesa di Damasco che gestiva appunto una chat di Telegram composta da leader di varie milizie e comandanti militari, tutti impegnati a coordinare le ritorsioni ufficialmente scattate dopo la rivolta degli ex ufficiali dell’esercito di Assad.

Massacri mirati di siriani alauiti non sono limitati alle date indicate di marzo, ma sono continuate successivamente e proseguono a tutt’oggi. Le Nazioni Unite e altre organizzazioni hanno elencato alcuni degli eventi più gravi per quanto riguarda il numero delle vittime, anche se i rapporti pubblici sono frequentemente incompleti o superficiali, sia per la mancata collaborazione – per ovvie ragioni – del nuovo regime di Damasco, sia perché quest’ultimo è al centro degli sforzi di legittimazione e normalizzazione dei governi occidentali.

Sempre la Reuters ha suddiviso in cinque gruppi le formazioni e le milizie responsabili delle stragi di marzo. Tutte avevano partecipato attivamente alla guerra ultra-decennale contro il governo di Assad e molte di esse sono ora parte integrante delle forze di sicurezza del regime, oppure ad esso strettamente collegate. Il primo gruppo è composto dalle unità di HTS e includono l’Unità 400, la Brigata Othman e il cosiddetto Sevizio Generale di Sicurezza, organo già incaricato di garantire l’ordine pubblico nella provincia di Idlib sotto il controllo di fatto degli uomini di al-Sharaa/Jolani. Secondo una fonte di intelligence non siriana, l’Unità 400 ha invece la propria sede presso una ex accademia navale e risponde solo ai massimi livelli del ministero della Difesa.

Gli altri gruppi sono costituiti dalle milizie sostenute dalla Turchia, parte dell’Esercito Nazionale Siriano, suddiviso a sua volta in varie milizie radicali; da fazioni sunnite anti-Assad, come Jayish al-Islam, già protagoniste di massacri ben documentati di alauiti negli anni della finta rivoluzione; da combattenti stranieri (uzbeki, ceceni, turkmeni e originari di vari paesi arabi); da civili sunniti armati in cerca di vendetta per i soprusi subiti durante il governo di Assad o semplicemente per odio settario e religioso.

Violenza e repressione sono quindi inevitabilmente nel DNA di un regime che è espressione di una galassia terrorista, oggi ripulita da media e politici occidentali per sostenere un sistema di potere che difenda gli interessi dei rispettivi governi e di Israele. Una realtà riconosciuta indirettamente dalla stessa amministrazione Trump nell’annunciare lunedì la cancellazione delle sanzioni imposte alla Siria. La portavoce della Casa Bianca ha infatti spiegato che la decisione è da collegare agli “obiettivi di politica estera e della sicurezza nazionale americana”. Vale a dire, i nuovi padroni della Siria continuano a essere terroristi e a massacrare civili, ma gli interessi di Washington fanno in modo che vengano trattati da partner e non da paria.

Strettamente legate alla rimozione delle sanzioni punitive che strozzavano la Siria di Assad sono le manovre in atto per normalizzare i rapporti tra il nuovo regime di Damasco e lo stato ebraico. La testata on-line americana Axios ha scritto che il governo di Washington ha avviato colloqui per negoziare un potenziale accordo sulla sicurezza tra i due vicini mediorientali. Gli USA preferirebbero in questa prospettiva un “approccio graduale”, mentre il regime di Netanyahu chiede un impegno per la “piena normalizzazione”.

Le pressioni su al-Sharaa/Jolani sono evidentemente in crescita e l’annullamento delle sanzioni è di certo collegato a concessioni che vengono richieste per favorire gli interessi israeliani. Nonostante il nuovo leader siriano e la sua cerchia di potere debbano tutto ai suoi sponsor occidentali e siano quindi ben disposti a discutere di qualsiasi argomento, l’adesione a una sorta di “Accordo di Abramo” con Tel Aviv comporta una serie di rischi. Il primo dei quali è da collegare ai calcoli della Turchia di Erdogan, altro principale sostenitore degli ex-qaedisti, che non si allineano necessariamente a quelli di Israele.

La popolazione siriana, anche se “distratta” da altre preoccupazioni, potrebbe inoltre non vedere troppo positivamente un accordo con il regime sionista. D’altronde non potrebbe essere altrimenti, non solo per via del genocidio palestinese in corso, ma anche in conseguenza delle iniziative israeliane dopo la caduta di Assad. Netanyahu aveva infatti ordinato bombardamenti per decimare letteralmente le potenzialità militari della Siria, mentre la porzione di territorio di questo paese occupata da Israele è da allora cresciuta sensibilmente.

Trattative per normalizzare i rapporti tra Siria e Israele erano già avvenute in realtà prima dell’esplosione della finta rivoluzione nel 2011. Assad, tuttavia, aveva sempre vincolato un possibile accordo quanto meno alla restituzione delle alture del Golan, occupate illegalmente dallo stato ebraico con la guerra del 1967, nel quadro di una riaffermata e piena sovranità dello stato siriano. Oggi invece, l’offerta sul tavolo è pesantemente sbilanciata a favore di Tel Aviv e Washington, e non potrebbe essere altrimenti vista la legittimità precaria di un regime fantoccio intriso di terrorismo, tanto che Netanyahu ha già fatto sapere di non avere la minima intenzione di considerare la restituzione del Golan in un ipotetico accordo diplomatico con Damasco.

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