La sospensione formale della collaborazione tra Iran e Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) è una delle conseguenze potenzialmente più importanti della recente “Guerra dei 12 giorni” o, più precisamente, dell’aggressione militare illegale di Stati Uniti e Israele contro la Repubblica Islamica. Il governo di Teheran ha preso mercoledì l’unica iniziativa possibile per evitare il ripetersi della situazione che ha portato ai bombardamenti sul territorio iraniano, di fatto favoriti, per quanto riguarda gli obiettivi connessi al programma nucleare, dalle attività della stessa agenzia delle Nazioni Unite.

Il parlamento iraniano aveva votato una risoluzione a questo scopo il 25 giugno scorso, un giorno dopo la fine della guerra iniziata il 13 dello stesso mese. L’interruzione dei rapporti con l’AIEA era stata poi approvata dal Consiglio Supremo per la Sicurezza Nazionale e dal Consiglio dei Guardiani, mentre mercoledì è arrivata la firma da parte del presidente Pezeshkian sul decreto che ne ratifica l’implementazione in via definitiva. Tutte le amministrazioni del paese saranno così chiamate a tagliare le relazioni con l’agenzia ONU per il nucleare. Al suo direttore, Rafael Grossi, è stato di conseguenza vietato l’ingresso in Iran.

Alla base del provvedimento c’è la presa d’atto del vero ruolo dell’AIEA nel contesto geo-politico mediorientale. Come hanno correttamente spiegato media ed esponenti del governo di Teheran, Grossi e l’agenzia che dirige hanno messo da parte il ruolo istituzionale e di garanzia per i paesi firmatari del Trattato di Non Proliferazione (TNP), diventando in sostanza uno strumento di raccolta informazioni sensibili e di pressioni politiche nelle mani dell’Occidente, in primo luogo degli USA, e dello stato ebraico.

Questa tendenza, evidentemente al di fuori del mandato dell’AIEA, si era potuta osservare, in relazione agli eventi delle ultime settimane, a fine maggio, quando l’agenzia aveva pubblicato un rapporto nel quale tornava a sollevare dubbi sulle attività dell’Iran, risalenti a oltre due decenni fa, connesse a materiale nucleare “non dichiarato”. Le conclusioni, secondo molti basate su informazioni ultra-screditate fornite dal Mossad, avevano portato a un voto di censura da parte dei “governatori” dell’AIEA contro la Repubblica Islamica, dichiarata in violazione dei suoi obblighi in materia di “non proliferazione”. Questo atto formale era stato approvato il 12 giugno, un giorno prima del lancio dell’attacco israeliano, dando perciò a Tel Aviv la giustificazione per agire, ufficialmente allo scopo di fermare l’inesistente programma nucleare militare iraniano.

Grossi era poi intervenuto qualche giorno più tardi per dichiarare pubblicamente che non esistevano prove della dimensione militare del programma nucleare di Teheran. Il danno era stato tuttavia già fatto e le parole dell’ex diplomatico argentino servivano solo a sollevare la sua agenzia da ogni responsabilità nell’aggressione sionista. Dopo la decisione di Trump di bombardare con ordigni perforanti tre siti nucleari iraniani il 22 giugno, Grossi aveva rivendicato il diritto di visitare le strutture colpite, in modo da verificare l’integrità e la sicurezza di queste ultime.

Per le autorità iraniane, la richiesta era l’ennesima beffa e una sorta di conferma delle intenzioni ostili dell’AIEA. Un’eventuale visita di Grossi e dei suoi ispettori avrebbe in sostanza permesso la raccolta di informazioni per conto di USA e Israele sui danni arrecati ai siti, cosa che i due alleati non sono ancora in grado di accertare. L’interesse di Grossi riguarda anche la località in cui il governo iraniano avrebbe trasportato e messo in salvo i circa 400 chilogrammi di uranio arricchito al 60%, rimosso in anticipo dai siti oggetto dei bombardamenti. Queste informazioni verrebbero con ogni probabilità passate a Washington e Tel Aviv, favorendo attacchi più precisi in futuro.

C’è infine un’altra accusa esplosiva che alcuni in Iran e tra i commentatori indipendenti muovono contro l’AIEA, ovvero di avere consegnato sempre a Stati Uniti e Israele i dati personali degli scienziati nucleari iraniani con cui hanno collaborato durante le ispezioni. Queste informazioni sono state poi usate per gli assassini mirati condotti soprattutto nella prima fase dell’aggressione israeliana, ma anche in molti casi registrati negli ultimi due decenni.

Ci sono dunque parecchi elementi per sospettare che l’AIEA venga utilizzata in Occidente come strumento di spionaggio ai danni della Repubblica Islamica, di gran lunga il paese più ispezionato e controllato tra i membri del TNP. Il giornalista investigativo britannico Kit Klarenberg ha scritto mercoledì un articolo per il sito libanese in lingua inglese The Cradle sul ruolo svolto in questo contesto dal software MOSAIC, sviluppato dalla società americana Palantir, profondamente integrata nei sistemi informatici governativi e militari di Washington e Tel Aviv.

Questo strumento era diventato un elemento centrale delle operazioni dell’AIEA dopo la stipula del trattato sul nucleare iraniano di Vienna nel 2015 (JCPOA), verosimilmente su iniziativa dell’allora presidente Obama. Le informazioni raccolte tramite le ispezioni, le registrazioni video, le rilevazioni degli strumenti e i documenti analizzati sarebbero finiti nel sistema predittivo di MOSAIC, trasformando il tutto in un prezioso database con informazioni ultra-sensibili relative al programma nucleare di Teheran.

Alla luce della simbiosi tra Palantir e i governi di USA e Israele, è estremamente probabile che questi dati siano stati messi a disposizione dei due alleati e abbiano fatto da sfondo all’aggressione militare del mese scorso, così come agli atti di sabotaggio contro l’Iran e agli assassini mirati degli anni precedenti. Klarenberg arriva addirittura a ipotizzare che MOSAIC fosse stato introdotto nei sistemi informativi dell’AIEA precisamente per prendere di mira l’Iran e che lo stesso JCPOA fosse una “gigantesca operazione di spionaggio per preparare la guerra” contro Teheran.

La cooperazione con l’AIEA resta ad ogni modo sospesa e non cancellata definitivamente. L’Iran ha fatto sapere di essere pronto a riprendere i normali rapporti se l’agenzia ONU dovesse tornare a svolgere il proprio ruolo in maniera realmente indipendente. Quello che è invece più probabile accadrà è piuttosto un irrigidimento della stessa AIEA e dei governi occidentali che la controllano, col risultato che la legittima decisione di Teheran di chiudere ai controlli e alla collaborazione con l’agenzia verrà usata come giustificazione per ulteriori misure punitive, se non una nuova operazione militare nel prossimo futuro.

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