L’amministrazione Trump sembra avere rotto gli indugi nei giorni scorsi inserendosi apertamente negli intrighi strategici in corso nel Caucaso meridionale con una proposta in apparenza neutrale, ma che rivela finalmente le mire di Washington in quest’area del globo. L’ambasciatore americano in Turchia e plenipotenziario di Trump in Asia occidentale, Tom Barrack, ha infatti ipotizzato una concessione di 100 anni a una società o a un consorzio statunitense per la gestione della rotta, nota col nome di “Corridoio Zangezur”, che dovrebbe attraversare l’Armenia per collegare l’Azerbaigian con la sua exclave occidentale di Nakhchivan. Questo progetto è sul tavolo fin dalla stipula dell’accordo di pace del novembre 2020 che mise fine alla guerra tra Baku e Yerevan, ma da allora entrambi i governi – dietro pressioni esterne – ne hanno cambiato le condizioni di implementazione, al preciso scopo di ridurre drasticamente l’influenza nel Caucaso meridionale di Russia e Iran.

L’ultima guerra per il Nagorno-Karabakh tra Armenia e Azerbaigian si era conclusa con un sostanziale disastro per il primo paese, con la successiva perdita definitiva della regione a maggioranza armena ma internazionalmente riconosciuta come territorio azero. La Russia aveva giocato un ruolo determinante nella risoluzione del conflitto ed aveva visto confermare la propria posizione predominante nell’area. In uno dei punti più importanti, il trattato di pace prevedeva appunto lo “sblocco” di tutti i canali di collegamento della regione, incluso appunto quello tra l’Azerbaigian e la sua repubblica autonoma di Nakhchivan. Anche se non vi era menzione di quale o quali rotte specifiche erano da “sbloccare” a questo scopo, il testo stabiliva chiaramente che il “controllo sulle rotte di traffico verrà esercitato dal corpo delle Guardie di Frontiera della Federazione Russa”.

Ben presto, il governo azero e quello alleato della Turchia avevano fatto del Corridoio Zangezur l’opzione preferita, anzi di fatto l’unica discussa a livello pubblico. Questo passaggio di circa 40 chilometri dovrebbe tagliare la provincia meridionale armena di Syunik che collega la ex repubblica sovietica con l’Iran. Il corridoio corre parallelo al confine iraniano ed è fortemente avversato da Teheran sia per ragioni economico-commerciali che strategiche. Da un lato, Zangezur renderebbe superfluo il collegamento oggi più utilizzato tra Azerbaigian e Nakhchivan, che passa attraverso il territorio iraniano e garantisce alla Repubblica Islamica sostanziosi diritti di transito. Dall’altro spezzerebbe i legami con l’Armenia aprendo la regione alla presenza NATO attraverso la Turchia, che evidentemente beneficerebbe essa stessa del nuovo corridoio. Insomma, per l’Iran si prospetterebbe l’incubo accerchiamento.

Questo collegamento penalizzerebbe anche la Russia, visto che Armenia, Azerbaigian e Turchia, in violazione di quanto stabilito nel trattato di pace del 2020, escludono il controllo su di esso da parte russa. Il fatto che a gestire i traffici che lo attraverserebbero possano essere Turchia o addirittura Stati Uniti solleva dunque forti preoccupazioni a Teheran, non da ultimo per gli ostacoli che potrebbe creare alle rotte commerciali nord-sud che coinvolgono la Russia e est-ovest che vedono invece la Cina come protagonista.

Anche se quella di Zangezur sembra oggi l’unica alternativa percorribile, c’erano e ci sono altre rotte più logiche e redditizie, nonché potenzialmente in grado di integrare tutti gli attori regionali, per garantire il collegamento senza impedimenti tra Azerbaigian e Nakhchivan. Un’analisi della questione pubblicata questa settimana dalla testata on-line The Cradle ha spiegato che esistono almeno due soluzioni diverse che potrebbero soddisfare gli obiettivi di più ampio respiro impliciti nell’accordo di pace mediato dalla Russia quasi cinque anni fa. Una è la creazione e lo sviluppo di direttive stradali che passano dalla capitale armena o dal Nagorno-Karabakh, così da garantire benefici economici diffusi, al contrario di quanto possa fare un ristretto corridoio in una zona remota al confine tra Iran e Armenia.

Un’altra e ancora migliore soluzione, spiega sempre The Cradle, sarebbe il rilancio della storica ferrovia transcaucasica. Ciò permetterebbe di utilizzare un sistema fisicamente già esistente e anche in questo caso capace di integrare razionalmente e con vantaggi per tutti i traffici commerciali da oriente a occidente e viceversa. La ragione principale per cui di questo potenziale progetto nemmeno si discute è che la sua riesumazione comporterebbe il coinvolgimento diretto di Mosca, visto che le ferrovie armene sono gestite dalla compagnia ferroviaria statale russa (RZD) grazie a una concessione trentennale ottenuta nel 2008. Questa realtà riaffermerebbe di conseguenza l’influenza russa nel Caucaso. Sia l’Armenia sia l’Azerbaigian – nonché la Turchia e i governi occidentali che sostengono il governo del primo ministro armeno Nikol Pashinyan – puntano però a estromettere la Russia dal Caucaso meridionale e, quindi, l’unica opzione in discussione resta quella del Corridoio Zangezur.

Dietro a queste manovre ci sono in primo luogo le dinamiche che hanno modificato drasticamente le priorità strategiche dell’Armenia dopo l’arrivo al potere di Pashinyan attraverso una delle tante “rivoluzione colorate” promosse da Washington. Pashinyan sta liquidando progressivamente ogni forma di opposizione interna alle sue politiche di integrazione con l’Occidente. Politiche che i suoi avversari ritengono niente meno che suicide. La Russia, per cominciare, è di gran lunga il primo partner commerciale dell’Armenia e di questo paese garantisce la sicurezza energetica e la sicurezza tout court. Lo sganciamento da Mosca per inseguire le sirene occidentali è quindi una scelta altamente rischiosa, come dimostra l’esempio dell’Ucraina o della Georgia.

Oltretutto, il sostanziale allineamento di Pashinyan con l’Azerbaigian sta creando un ambiente favorevole all’espansione dell’influenza della Turchia e del progetto pan-turco di Erdogan, non esattamente interessato agli interessi di Yerevan, col rischio anche di mettere a repentaglio l’alleanza storica e i legami economici ed energetici di estrema importanza con l’Iran. Non solo, prima ancora che questi piani arrivino a compimento, con dubbi vantaggi per l’Armenia, vi è il rischio concreto dell’esplosione di una guerra regionale, come confermano le ripetute dichiarazioni da Teheran sulla totale inaccettabilità del Corridoio Zangezur.

L’Armenia, per il momento, afferma di volere respingere qualsiasi soluzione relativa ai “corridoi” sul suo territorio che infici la propria sovranità. Una recente esclusiva pubblicata dal sito spagnolo Periodista Digital ha però rivelato l’esistenza di un documento, ottenuto tramite la diaspora armena in Francia, che delinea i piani per la concessione a una compagnia privata americana del controllo sul corridoio che dovrebbe collegare Azerbaigian e Nakhchivan nella provincia armena di Syunik. Ovvero dell’opzione ipotizzata da Tom Barrack citata all’inizio. Il progetto verrebbe messo sotto la protezione di un migliaio di “contractor” privati americani

Sull’altro fronte, in Azerbaigian, il presidente Ilham Aliyev sta anch’egli accelerando le iniziative anti-russe, tra l’altro strumentalizzando un incidente aereo accaduto a un velivolo di una compagnia azera in Kazakistan lo scorso dicembre e una serie di arresti avvenuti in Russia di malavitosi di origine azera. Anche in questo caso, Baku rischia di auto-sabotare le consolidate relazioni in ambito energetico – e non solo – con la Russia. D’altra parte, il continuo rafforzamento dei rapporti con la Turchia e i vantaggi ricavati dal moltiplicarsi dei contratti di fornitura di gas con l’Europa dopo l’esplosione della guerra in Ucraina sembrano avere convinto Aliyev ad abbandonare almeno parzialmente il principio di una politica estera equilibrata per il suo paese.

Gli Stati Uniti, da parte loro, sono stati alla finestra negli ultimi anni per osservare e influenzare da dietro le quinte le vicende del Caucaso meridionale, ma, come spiegato all’inizio, sembrano sempre più intenzionati ora a intervenire in maniera diretta. La proposta della concessione per il controllo del Corridoio Zangezur è parte di questa strategia, non per portare ricchezza e sviluppo nella regione, bensì per emarginare da essa rivali come Russia e Iran.

Con la prima “distratta” dal fronte ucraino e il secondo (relativamente) indebolito dalle vicende mediorientali degli ultimi due anni, Washington e i suoi alleati, incluso Israele che con l’Azerbaigian ha costruito una solidissima partnership, appaiono quindi decisi ad affondare il colpo nel Caucaso, territorio cruciale per le sorti del multipolarismo e autentico crocevia delle rotte commerciali tra Europa e Asia che di quest’ultimo rappresentano uno degli elementi portanti.

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