L’incontro tra Putin e Trump in Alaska ha permesso al presidente statunitense di iniziare la sua exit strategy dall’Ucraina. Preso atto di una guerra che non può essere vinta e che anche per questo non sarebbe mai dovuta iniziare, Trump ritiene che l’impatto spaventoso sui conti statunitensi del mantenimento di una guerra destinata all’insuccesso non solo compromette la stabilità economico-finanziaria USA ma rende omaggio alla forza russa, accreditandola di un ruolo vincente a livello strategico.

Da parte di Putin, l’incontro ne ha evidenziato la personalità; il leader del Cremlino è apparso in una condizione eccellente, trasmettendo una sensazione di forza e chiarezza degli obiettivi strategici sulla guerra in Ucraina in particolare e sulla ripresa del dialogo strategico con gli USA in generale. L’estrema attenzione diplomatica dimostrata da Trump verso l’ospite ne ha rappresentato il riconoscimento, pur se ha lasciato gli europei avviliti e impotenti.

L’incontro ha riproposto con forza il ruolo della Russia quale potenza planetaria che non può essere esclusa dalla governance globale. E’ arrivata la fine del tentativo di imporgli una sconfitta strategica: Mosca ha combattuto e vinto la guerra in Ucraina voluta dalla NATO e sostenuta dall’intero Occidente Collettivo. Adesso si devono ripensare in forma decisa le sanzioni che le sono state inflitte e che, peraltro, hanno prodotto risultati opposti a quelli auspicati dai sanzionatori,

Quel tappeto rosso riconosceva che Putin è arrivato in Alaska potendo esibire una vittoria strategica totale: politica (142 paesi non hanno espresso condanne per l’entrata delle truppe russe in Ucraina), diplomatica (il successo evidente del Cremlino in seno ai BRICS e in generale nell’area internazionale, Africa ed Asia in testa), energetica (ha incrementato, sebbene ad un prezzo più contenuto, l’esportazione di petrolio e gas su una diversa rete di distribuzione internazionale), commerciale (ha diversificato il suo portfolio e aumentato il volume degli scambi verso Est e Sud), finanziaria (la crescita del PIL è stata doppia e tripla rispetto a quella dell’area UE), valutaria (il Rublo è cresciuto nel suo valore grazie al suo utilizzo negli scambi con India, Arabia Saudita e Cina).

Sul piano più squisitamente militare la vittoria è stata ancor più netta. Quattro regioni occupate dall’esercito russo, contenenti il maggior quantitativo di risorse strategiche ucraine, distruzione sostanziale dell’esercito di Kiev, danni gravissimi alle strutture e infrastrutture del Paese, fuga all’estero di quasi 7,5 milioni di ucraini, forte riduzione dell’accesso al mare. In sostanza, un Paese che si è trasformato in un territorio privo di ogni elemento che possa definirne uno status di livello accettabile.

Nonostante l’incontro sia stato considerato positivo da entrambi, che si rivedranno a breve in Russia. Zelensky e i suoi sponsor europei, convocati da Trump, si sono recati a Washington dove hanno subito un colpo non indifferente al loro status. I rappresentanti dei bellicosi sono stati allocati in un salottino e solo dopo gli è stato concesso l’accesso alla sala riunioni. Da parte sua il presidente abusivo ucraino, ormai ridotto a ventricolo di GB, Germania e Francia, per la seconda volta a Washington ha vissuto ore terribili: pur avendo già ammesso come i territori di Crimea, Donetsk, Lugansk, Zaporizia e Kherson non siano in alcun modo recuperabili all’Ucraina, ha tentato di recitare la solfa dell’integrità territoriale del suo Paese, dimenticando che è lui che per ambizioni di potere lo ha offerto alle mire imperiali della NATO e che ora si trova ad essere il primo sconfitto dopo aver sognato di avere una sedia tra i grandi. Nemmeno la richiesta di Merz di cessate il fuoco come premessa alla trattativa ha avuto esito: Trump l’ha immediatamente bocciata.

Il sostegno che alcuni paesi europei sembravano disposti a dare a Zelensky per continuare la guerra fino all’ultimo ucraino non è stato sufficiente ad invertire, nemmeno parzialmente, le sorti del dialogo come prima quelli del conflitto e i reiterati annunci di altre sanzioni che in realtà colpiscono solo l’economia europea destano ilarità tanto a Mosca come nel resto del mondo. USA e Russia stanno riaprendo lentamente i rapporti commerciali e dunque con la fine delle sanzioni USA che ne sono il presupposto necessario, anche l’eventuale mantenimento di quelle europee sarebbe del tutto innocuo per l’economia russa.

Peggio ancora sul terreno militare, con i magazzini vuoti e gli eserciti europei sottodimensionati in armamenti dopo l’inutile donazione di armi a Kiev, oltretutto incontrando la reiterata umiliazione di vedersi distruggere dai russi i suoi pezzi migliori, quelli che secondo i media europei avrebbero fatto la differenza sul terreno. Emblematico il caso dei Leopard tedeschi, spacciati come i migliori tanks al mondo e dal costo di 28 milioni di Euro cadauno, distrutti uno dopo l’altro da Mosca ancor prima che sparassero un colpo. Tanto per precisare, i tanks russi di pari livello, costano ognuno 4 milioni di Euro, sette volte meno.

Alcuni paesi europei, a parole pericolosissimi ma nei fatti sostanzialmente innocui, accusavano Trump di essere stato un pessimo negoziatore che ha lasciato a Putin ciò che il leader russo voleva. Eppure è lo stesso Trump che nel negoziato con la UE ha distrutto la Von der Leyen e riempito di dazi l’Europa ottenendo addirittura l’esenzione dei dazi per le imprese USA e 1400 miliardi di Dollari in energia e armi dagli europei. Dunque se Trump nei negoziati è scarso, che dire della UE?

L’Europa deve ringraziare di essere scarsamente considerata e politicamente ignorata, dato che questi due elementi hanno costituito la base per l’infinita pazienza di Mosca che ha salvato alcuni dei “volenterosi” dalla catastrofe di un attacco strategico russo, dopo che da mesi vanno minacciando futuri attacchi europei alla Russia. GB, Francia, Germania e Italia non posseggono né possederanno, nemmeno con gli 800 miliardi di Euro decisi per la riconversione bellica del tessuto industriale europeo, la possibilità di competere per volumi e qualità dell’apparato bellico con l’arsenale nucleare e le armi strategiche russe e nemmeno con quelle convenzionali. Ma, soprattutto, non sono nelle condizioni economiche di poter mantenere l’Ucraina, quel che resta del suo apparato militare e di quello amministrativo.

Una sintesi reale vede la NATO sconfitta, gli USA in ritirata, la UE azzerata e l’Ucraina distrutta e ridotta ad una provincia polacca a Nord e russa a Sud. Contemporaneamente la Russia ascende di nuovo al ruolo naturale di superpotenza globale che si è presa con la forza ciò che una politica occidentale minimamente lungimirante avrebbe dovuto concederle politicamente e diplomaticamente nel rispetto delle sue esigenze di sicurezza.

La Russia ha vinto perché non ha mai avuto l’intenzione di occupare tutta l’Ucraina. Quello che voleva l’ha ottenuto, ovvero il disegno di una nuova architettura della sicurezza globale, a maggior ragione quello di una sicurezza europea per tutti gli attori in campo. Un disegno che sappia misurare le differenze tra mini staterelli e superpotenze, com’è logico (anche se non giusto) che sia.

Era l’obiettivo di Mosca sin dall’inizio degli anni 2000 e, con più forza, dopo il colpo di Stato USA-UE del 2014 in Ucraina. E se in un primo momento Mosca si è fidata degli accordi di Minsk firmati dall’Occidente (come ammesso successivamente da Francia e Germania solo per imbrogliare Mosca), stavolta la Russia si è andata a prendere ciò che le spettava e forse più armi alla mano. E da qui, molto più che dalle parole, non c’è modo di tornare indietro.

Trump ha affermato che saranno gli USA a garantire la sicurezza dell’Ucraina ma Putin ha confermato come sia impossibile immaginarla armata con una strutturazione offensiva, con un ruolo dei battaglioni nazisti nelle forze armate e nella polizia, con la partecipazione ad alleanze internazionali di tipo militare (NATO). Non si tratta solo dell’impossibilità di Kiev di entrare nella NATO ma anche della NATO di stabilirsi a Kiev. Non importa invece che Kiev entri nella UE (semmai sarà curioso di sapere chi pagherà la fiche di 50 miliardi di Euro per l’adesione e chi finanzierà la ricostruzione che ammonta, secondo stime serie, a oltre 600 miliardi di Euro). Se poi i dementi di Bruxelles pensano di ingaggiare guerre suicide con una sorta di art. 5 NATO anche per lo statuto della UE (ma non passerebbe comunque tra i 27 membri), facciano pure: in caso di provocazioni Mosca reagirà in modo adeguato.

La neutralità ucraina era e resta il perno della questione e la piena cittadinanza russa sui territori russofoni è conditio sine qua non per qualunque ipotesi di ritiro di Mosca dall’Ucraina. A conti fatti Trump ribadisce il comando USA sull’Occidente e l’indispensabilità di Washington per qualunque alterazione dello status quo. Il riassunto di questi incontri ripete ad ogni passaggio l’abilità di Trump a non presentare gli USA come gli sconfitti e quella di Putin di ricordare a tutti la sua vittoria.

Ci si può girare intorno per trovare parole che indolciscano l’amarezza della sconfitta occidentale, si possono fingere formule che riducano il danno subito dall’Ucraina, che era uno Stato e oggi è un territorio, ipotizzare frasi a rimarcare il decisivo ruolo dell’Europa e fingere che la sua fine non sia avvenuta, ma il cuore della questione è qui, nella fine di una guerra che mai sarebbe dovuta iniziare e che si porta dietro le conseguenze più dure proprio per la UE e l’Ucraina. Sul piano strategico finisce a Washington il sogno di vedere la Russia come un’appendice dell’Occidente: la Russia è tornata al ruolo che gli spetta e la maglia di Lavrov all’arrivo in Alaska annuncia la sintesi del nuovo mondo. Il resto è avanspettacolo.

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