Una flotta militare statunitense, troppo piccola per una invasione ma sufficiente per una provocazione, si dirige verso il Mar dei Caraibi con un evidente intento minaccioso verso il Venezuela. Il cui Presidente, Nicolás Maduro, secondo la delirante portavoce di Trump, sarebbe a capo di un cartello internazionale della droga, il Cartel de los Soles (inesistente). Per questo, gli Stati Uniti hanno messo una taglia di 50 milioni di dollari per chi fornisca informazioni utili alla sua cattura. Non è il copione di un western di serie B, è l’amministrazione Trump.

CIA, DEA e Casa Bianca hanno stilato una lista di organizzazioni di narcotrafficanti e la flotta in viaggio per il mar dei Caraibi dovrebbe avere il compito di stanarli. Escluso l'intento comico resta l'indice di preoccupazione per questa ennesima bravata di uomo cui le sinapsi appaiono spesso in libera uscita.

La lista stilata è quantomeno singolare: mancano alcuni dei più potenti cartelli messicani e sono del tutto assenti i colombiani e le organizzazioni produttrici di Perù, Ecuador e Bolivia. Se si colpissero solo i cartelli indicati dagli USA, ciò che si otterrebbe alla fine è un riequilibrio interno tra le organizzazioni criminali. Sarà questo l’obiettivo? Favorire i soci eliminando quelli che non si controllano?

Al di là dell’evidente barbarie giuridica della taglia, che fa arretrare la civiltà giuridica del mondo di duecento anni, c’è un aspetto che non deve passare inosservato. Gli Stati Uniti ritengono di poter perseguitare i loro avversari politici in tutto il mondo associandoli ad accuse false, fabbricate a tavolino.

Così, niente Interpol né rogatorie giudiziarie con prove concrete. Saltano tutti i passaggi previsti dai trattati e dalle norme che regolano la cooperazione giudiziaria internazionale, perché la volontà politica degli Stati Uniti è sufficiente a catturare chiunque, anche da innocente. È un’estensione internazionale della loro giurisprudenza, piegata alla volontà del presidente di turno. In questo modo, di fatto, il presidente statunitense si trasforma in presidente del mondo intero.

Perfino gli stessi organismi giuridici e di intelligence non hanno notizia dell’esistenza di organizzazioni criminali e narcos a cui gli USA associano Nicolás Maduro; le Nazioni Unite, dal canto loro, definiscono il Venezuela estraneo alla produzione e al traffico di droga. L’organismo dell’ONU conferma invece la presenza in Messico dei cartelli che producono e distribuiscono droga, ribadisce il ruolo della Colombia come primo Paese esportatore di stupefacenti e le rotte peruviane e boliviane come attive e in crescita per volumi di transito.

Se il Messico è il primo Paese distributore verso gli Stati Uniti, la Colombia è il maggior produttore con 1.200 tonnellate annue di cocaina, che rappresentano il 95% della domanda proveniente dagli USA. E benché Washington disponga di 7 basi militari in Colombia, ufficialmente destinate a combattere il narcotraffico, i dati internazionali segnalano che, dall’arrivo degli USA in Colombia, la produzione di droga è aumentata in modo smisurato e costante (lo stesso in Afghanistan e, prima ancora, in Vietnam, dove durante la guerra degli anni ’60 e ’70 la CIA “scoprì” il fiorente mercato dell’oppio). Strano, vero?

Il maggior consumatore mondiale di droga sono proprio gli Stati Uniti. Ma chi sono i compratori e i distributori? Chi riceve la droga, chi la muove con una rete capillare in ogni angolo di ogni città statunitense? E chi incassa i profitti, dall’ultimo spacciatore fino ai grandi carichi? E soprattutto: chi, in possesso di simili guadagni criminali, si occupa di riciclarli, assicurarli e investirli per generare altri profitti? Parliamo di un valore annuo stimato tra 200 e 750 miliardi di dollari. Sono cartelli statunitensi e controllano il mercato nordamericano, ma sulla stampa internazionale non se ne parla mai. Il termine “cartello” viene sempre associato a Messico o Colombia, mai agli Stati Uniti, grazie a un uso manipolatorio della terminologia.

Come muovere quell’immensa fonte di denaro sporco, in quanto non tracciato? Per farlo, quel denaro deve essere “lavato”. Le grandi lavanderie che se ne occupano, cioè che comprano a basso prezzo denaro non tracciabile e lo reinvestono nei mercati internazionali, consentendone il riutilizzo, sono le banche. In gran parte statunitensi, ma non solo. Una parte dei proventi resta “sporca”, e genera un’importante quota di liquidità a disposizione delle organizzazioni criminali, indispensabile per poter operare. Incluse le operazioni di destabilizzazione politica internazionale, le cosiddette Covert Action della CIA e di altri servizi occidentali.

E se di politici con le mani sporche di droga si tratta, allora Trump dovrebbe guardare in casa propria. Un membro importante del suo primo mandato è stato Elliott Abrams, sottosegretario di Stato per l’America Latina con Reagan, condannato per il suo ruolo nello scandalo Irangate, cioè il traffico illegale di armi e droga per finanziare i contras nicaraguensi negli anni ’80. Trump lo ha reintegrato, evidentemente apprezzandone il curriculum. Quindi, se gli Stati Uniti volessero davvero colpire i politici legati al narcotraffico, dovrebbero iniziare con qualche arresto a Washington.

Il mercato degli stupefacenti è uno di quelli che, insieme ad armi e dati informatici, garantisce i maggiori profitti alle finanze illegali statunitensi. Se davvero si vuole identificare la domanda, la distribuzione e i profitti, allora la strada porta inevitabilmente agli Stati Uniti e, più precisamente, a Wall Street e a Langley.

 

Cosa cerca Trump?
Se la presunta appartenenza di Maduro ai cartelli della droga è una colossale menzogna, a cosa obbedisce la campagna di Trump? Perché, nel giro di pochi mesi, si è passati dall’apertura di un dialogo (con Chevron tornata a operare a Caracas) a una minaccia armata di proporzioni inaudite?

La flotta sembra essere la risposta alle pressioni della mafia cubano-statunitense e delle bande venezuelane e nicaraguensi radicate in Florida. Queste, che hanno favorito la vittoria di Trump (anche se meno decisivamente che in passato), hanno ottenuto il Dipartimento di Stato per uno dei loro prodotti da laboratorio (Marco Rubio, alias “Narco” Rubio) e, pur sapendo che Ucraina e Gaza hanno la priorità nell’agenda internazionale, dopo otto mesi alla Casa Bianca presentano il conto ed esigono che il magnate concentri i suoi attacchi contro i Paesi socialisti dell’America Latina, nella speranza di rovesci politici che li riportino al potere nei loro Paesi. Tutti sanno che è impossibile, ma loro insistono lo stesso, anche per mantenere in vita le proprie organizzazioni terroristiche-mafiose, che devono essere alimentate con odio ideologico e false speranze.

Inoltre, Trump ha bisogno di creare forti cortine di fumo per distrarre l’opinione pubblica tanto dagli scandali sessuali che lo coinvolgono direttamente quanto dai pessimi risultati della sua politica economica che, dal suo arrivo al potere, pur avendo smantellato ogni residuo di Stato sociale, ha visto crescere il debito statunitense di 2.000 miliardi di dollari, raggiungendo la terrificante e impagabile cifra di 35.000 miliardi di dollari. Produrre ogni giorno un nuovo evento, inventare un nemico, raccontare successi inesistenti: questo è il cuore della sua strategia comunicativa.

Il Venezuela non ha nulla a che vedere con la droga che entra negli USA, ma ha molto a che fare con l’energia e le terre rare che negli USA non arrivano. È il Paese più ricco di petrolio al mondo secondo l’annuario della BP, una delle fonti statistiche più accreditate del settore. Possiede 360 miliardi di barili di riserve di greggio e prenderli in Venezuela ridurrebbe del 75% i costi di trasporto per gli USA rispetto al greggio proveniente dal Golfo Persico.

Poi c’è l’oro, oltre a quello già rubato da banche britanniche ed europee: 161 tonnellate di riserve strategiche. Ma soprattutto c’è il coltan: il Venezuela è ricco di questo minerale prezioso (da 2 dollari al chilo alla fine degli anni ’90 a circa 300 negli ultimi anni) e per estrarlo è stato costruito il più grande impianto di estrazione dell’America Latina. Il coltan è utilizzato in turbine aeronautiche, produzione missilistica e nucleare, è ingrediente fondamentale per le batterie di cellulari, cercapersone, computer, videogiochi e ha anche applicazioni mediche poiché alcuni strumenti necessitano di micro condensatori al tantalio.

Agli occhi di Trump è un bottino che non si può lasciar sfuggire. Come disse pubblicamente durante il suo primo mandato: “Perché esistono queste ricchezze e noi non le possediamo?”.

C’è inoltre un aspetto geopolitico globale. Gli Stati Uniti sono angosciati dal crescente ruolo di Cina, Russia e Iran in America Latina, che riduce fortemente l’influenza di Washington. Mosca e Pechino promuovono investimenti e accordi di cooperazione che spaventano Washington perché rappresentano un asse fondamentale della Nuova Via della Seta e riducono le sanzioni a un’arma che danneggia più chi le impone che chi le subisce.

È evidente che l’approvvigionamento energetico di Pechino dalle risorse petrolifere venezuelane e la sua disponibilità a finanziare lo sviluppo nell’Orinoco impattano direttamente sull’equilibrio energetico globale. Di questo si tratta, altro che cartelli.

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