Dopo il dispiegamento di militari della Guardia Nazionale nella capitale americana un paio di settimane fa, il presidente Trump starebbe valutando la possibilità di implementare a breve un piano simile anche nella terza città più grande degli Stati Uniti: Chicago. Il Washington Post ne ha dato notizia in questi giorni, collegando le intenzioni della Casa Bianca alle politiche ultra-repressive contro l’immigrazione “irregolare” già in fase di applicazione e avvertendo che il ricorso ai militari sul suolo domestico in queste due metropoli potrebbe essere un modello da adottare in altre città del paese nel prossimo futuro.

La giustificazione ufficiale di un provvedimento a dir poco discutibile dal punto di vista legale e costituzionale è la presunta esplosione dei livelli di criminalità a Washington e in altre città amministrate dal Partito Democratico. In realtà, si tratta di una deriva ampiamente prevedibile e in linea con il consolidamento dei poteri dell’esecutivo in senso autoritario da parte dell’amministrazione Trump, osservabile in primo luogo proprio nella strumentalizzazione della “crisi” migratoria che starebbe affliggendo il paese.

La notizia relativa a Chicago si è accompagnata alla decisione del segretario alla Difesa, Pete Hegseth, di autorizzare l’utilizzo di armi durante il servizio da parte dei circa 2.200 militari dispiegati a Washington. Una parte di essi fa parte della Guardia Nazionale della capitale, mentre il resto proviene da altri stati guidati da governatori repubblicani. Poco meno della metà degli arresti effettuati nella città dall’arrivo dei militari l’11 agosto scorso ha a che fare con reati legati all’immigrazione. I media americani spiegano tuttavia che per il momento gli uomini della Guardia Nazionale stanno svolgendo prevalentemente funzioni di presidio di luoghi turistici o edifici federali. Di certo, l’ordine del Pentagono di svolgere servizio armato potrebbe indicare un maggiore coinvolgimento in operazioni di polizia e, comunque, fare aumentare le possibilità di scontri a fuoco o provocazioni.

Il controllo federale delle operazioni di polizia a Washington e nel Distretto di Columbia (D.C.) solleva questioni in parte diverse rispetto al resto degli Stati Uniti, visto che il territorio della capitale è legalmente già sottoposto a una sorta di supervisione del governo. Secondo lo statuto del 1973, il provvedimento come quello deciso da Trump consente la permanenza dei militari nelle strade di Washington per un periodo di 30 giorni, estendibile solo con un voto del Congresso. In alternativa, il presidente può dichiarare un’emergenza nazionale, cosa che Trump starebbe già valutando, come ha spiegato durante una conferenza stampa nei giorni scorsi alla Casa Bianca, sia pure senza esserci i presupposti per un eventualità di questo genere.

È dunque più che evidente il tentativo in atto di spingere la situazione oltre i limiti costituzionali per creare un meccanismo che consenta al vertice del potere esecutivo di utilizzare le forze armate sul suolo domestico come forza di polizia nel quadro di un drastico restringimento dei diritti democratici. Il pretesto per la normalizzazione di questo scenario è appunto l’emergenza criminalità, collegata al dilagare – o presunto tale – dell’immigrazione clandestina. Un esempio di ciò si era visto a giugno in California. Trump aveva inviato a Los Angeles la Guardia Nazionale e un contingente di Marines in servizio in seguito agli scontri esplosi a causa delle operazioni anti-migranti condotte dall’agenzia addetta al contrasto dell’immigrazione clandestina (ICE).

Questa operazione era stata denunciata dalle autorità dello stato perché in violazione della legge americana, nello specifico del Posse Comitatus Act, che vieta l’uso dei militari sul territorio USA con incarichi di polizia. A seguito di varie cause intentate contro il governo federale, un giudice distrettuale aveva condannato l’amministrazione Trump, ma l’ordine di ritirare la Guardia Nazionale da Los Angeles è stato sospeso da una corte d’Appello in attesa di un verdetto definitivo. Le stesse implicazioni riemergerebbero se la Casa Bianca e il Pentagono dovessero decidere l’uso dei militari anche a Chicago, come ha anticipato il Washington Post, nonché lo stesso Trump in una recente uscita pubblica.

Il presidente ha anzi ipotizzato l’estensione del provvedimento ad altre città “piagate” dalla criminalità e dall’immigrazione clandestina, citando ad esempio Oakland (California) e Baltimora (Maryland), oltre che New York e San Francisco. Che si tratti di un piano tutt’altro che limitato è confermato anche dalla notizia, riportata da Fox News, del possibile dispiegamento di circa 1.700 militari della Guardia Nazionale in una ventina di stati in supporto agli agenti dell’anti-immigrazione durante raid contro i “clandestini” o nella gestione dei veri e propri lager creati per la detenzione di questi ultimi.

La possibile estensione a Chicago della Guardia Nazionale è stata accolta dalle autorità della metropoli e dello stato dell’Illinois con sorpresa e disappunto. Sia il sindaco (Brandon Johnson) sia il governatore (J. B. Pritzker) fanno parte del Partito Democratico ed entrambi hanno rilasciato dichiarazioni di condanna in cui si evidenzia il carattere sostanzialmente illegale della possibile decisione di Trump. Le parole usate da entrambi non sono sembrate in ogni caso adeguate al pericolo di quella che potrebbe trasformarsi in una forma di occupazione militare di una delle più importanti città americane. Se Trump dovesse dare seguito alla minaccia, è perciò probabile che l’unica forma di resistenza degli amministratori locali sarebbe il ricorso ai tribunali, fino ad ora e in molti casi anche troppo ben disposti ad assecondare le tendenze autoritarie del presidente.

Chicago è la terza metropoli degli Stati Uniti per numero di abitanti, con una popolazione di 2,7 milioni in confronto ai poco meno di 700 mila di Washington. Se si considera poi che l’area metropolitana di Chicago supera i 9 milioni di abitanti, risulta evidente che l’iniziativa di Trump richiederà, almeno in prospettiva, un numero di militari decisamente elevato. Va anche ricordato che questa città ha dei precedenti che fanno pensare a una ferma opposizione, nonché scontri e violenze, alle prove di militarizzazione in fase di preparazione. Nel marzo del 2016, infatti, Trump decise di cancellare un suo comizio a Chicago per via di massicce manifestazioni di protesta che erano pronte ad accoglierlo.

La presa di mira da parte di Trump delle città amministrate dai democratici e, soprattutto, con una forte tradizione anti-autoritaria o di resistenza agli eccessi del governo non è ovviamente casuale. Sull’esempio del caso già ricordato di Los Angeles, l’amministrazione repubblicana intende cancellare le politiche relativamente accomodanti verso gli immigrati di città come Chicago o San Francisco e allo stesso tempo provocare tensioni con migranti e residenti che giustifichino a loro volta l’intervento massiccio dei militari. Su questa situazione incombe la minaccia del ricorso di Trump al Insurrection Act del 1807 che legittimerebbe l’impiego di truppe regolari nelle città americane in risposta appunto a una “insurrezione”. Un’eventualità che porterebbe gli Stati Uniti sull’orlo della dittatura militare.

Resta il fatto che il pretesto della criminalità a livelli intollerabili per l’invio della Guardia Nazionale in città come Washington o Chicago si scontra con la realtà dei fatti. Se quest’ultima metropoli ha a lungo detenuto il primato degli omicidi negli Stati Uniti, la tendenza risulta esattamente opposta negli ultimi anni, come confermano gli stessi dati della polizia della città. Lo stesso discorso vale per Washington, dove i crimini violenti sono in discesa rispetto al 2024. In conseguenza di ciò, a partire dall’11 agosto, data dell’arrivo dei militari nella capitale, il maggior numero di arresti effettuati sono stati per violazioni delle leggi sull’immigrazione.

Come ha ricordato l’articolo del Washington Post citato in precedenza, il ricorso alla Guardia Nazionale da parte di Trump va di pari passo con l’intensificazione della lotta all’immigrazione clandestina, ovvero lo strumento preferito dall’amministrazione repubblicana per minare alle fondamenta lo stato di diritto negli USA. I moltiplicati sforzi della ICE in questo senso necessitano d’altra parte di un appoggio significativo, visto che una direttiva del vice capo di gabinetto del presidente, Stephen Miller, stabilisce un numero minimo di arresti di immigrati irregolari pari ad almeno 3.000 per ogni singolo giorno.

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