Dietro alle “rivelazioni” della stampa ufficiale occidentale sulle attività più o meno clandestine di governi e servizi di intelligence ci sono quasi sempre obiettivi molto diversi da quello di informare il lettore medio. Ciò è tanto più vero nel pieno di una guerra totalmente evitabile e che sta provocando pesanti conseguenze economiche per i paesi occidentali. Un’agenda non immediatamente riconoscibile si può intravedere anche nell’articolo pubblicato qualche giorno fa dal New York Times circa il ruolo della CIA e delle forze speciali USA a sostegno dell’Ucraina, solo l’ultimo di una serie di avvertimenti sulle implicazioni preoccupanti di un’intensificazione del coinvolgimento americano nel conflitto russo-ucraino.

Il Times racconta di una rete di spie e “commando”, non solo americani, impegnati sul campo in Ucraina per assicurare al regime di Kiev il trasferimento delle armi deciso dal governo, ma anche informazioni di intelligence utili a contrastare l’avanzata russa e l’addestramento di uomini per l’uso degli equipaggiamenti che arrivano da Occidente. Dopo l’inizio delle operazioni militari russe a febbraio, gli Stati Uniti avrebbero ritirato i 150 “istruttori militari” che avevano inviato in Ucraina, mentre sono rimasti quelli di altri paesi, come Canada, Francia, Gran Bretagna e Lituania. Dentro i confini ucraini restano con ogni probabilità sia uomini del Pentagono sia della CIA. Secondo il Times, però, i piani di addestramento accelerato dei militari ucraini avvengono soprattutto in Germania, grazie al lavoro di una “cellula” composta da ufficiali che ha una struttura simile a quella creata per l’Afghanistan. Il riferimento alla guerra lunga due decenni ha qualcosa di involontariamente auto-ironico. Visto il livello di “successo” ottenuto contro i Talebani, è infatti molto difficile credere all’efficacia dei progetti americani di fronte alla macchina da guerra russa.

Al di là dei risultati che l’assistenza USA riuscirà a produrre per Kiev, il pezzo del New York Times rappresenta la conferma della presenza di americani sul terreno in Ucraina, smentendo completamente le rassicurazioni delle scorse settimane circa il non coinvolgimento diretto di Washington e degli altri paesi europei nella guerra contro la Russia. Ciò implica anche la probabile  responsabilità americana per i bombardamenti ucraini delle ultime settimane contro obiettivi civili a Donetsk e in altre località delle due auto-proclamate repubbliche del Donbass, quasi mai citati dalla stampa “mainstream”. I fatti riportati dal Times, come appena accennato, sollevano anche parecchi interrogativi in merito al valore oggettivo dell’appoggio degli Stati Uniti e della NATO, poiché un programma così capillare, oltretutto iniziato nel 2014, non ha finora impedito la distruzione sistematica delle potenzialità militari ucraine da parte di Mosca.

La notizia del fine settimana contraddice anche un’altra “esclusiva” proposta dal giornale “liberal” per eccellenza nemmeno tre settimane fa, cioè che l’intelligence americana non dispone di informazioni sufficienti a delineare un quadro chiaro della situazione delle forze ucraine nello sforzo militare contro la Russia. In sostanza, sosteneva il Times, Washington conosce meno lo stato delle forze dei propri alleati ucraini rispetto alle condizioni dei russi.

L’ex analista della CIA, ora commentatore e blogger indipendente, Larry Johnson, spiega come “appaia piuttosto improbabile che l’intelligence USA fatichi a ottenere informazioni su quanto accade sul campo in un paese dove è fisicamente presente”. Un altro blog indipendente – Moon Of Alabama – aveva giudicato a sua volta molto poco credibile quest’ultima notizia, aggiungendo un’osservazione cruciale.

Il fatto cioè che sezioni dell’apparato militare o dei servizi segreti USA avessero chiesto agli stenografi del Times di pubblicare una notizia di questo genere indicava il tentativo di preparare l’opinione pubblica a una manovra di propaganda per scaricare sui vertici ucraini le responsabilità del fallimento della guerra. In altre parole, dal momento che Kiev tiene parzialmente all’oscuro gli alleati americani circa le condizioni delle proprie forze armate, Washington non ha colpe per la conduzione del conflitto e per le conseguenze devastanti dell’offensiva russa.

Sempre il più recente articolo del New York Times racconta come gli agenti della CIA siano per lo più di stanza a Kiev e si occupino di coordinare il trasferimento al regime di Zelensky di informazioni relative al nemico. Alcuni comandanti dell’esercito ucraino avrebbero “espresso soddisfazione” ad esempio per i dati satellitari condivisi e poi utilizzati per attaccare le truppe russe. Anche questa notizia conferma ulteriormente il ruolo svolto dagli Stati Uniti, già di fatto in guerra con Mosca nonostante le smentite della Casa Bianca e, in maniera ancora più grave, senza un serio dibattito pubblico né un voto del Congresso.

Questi aspetti non sono comunque nuovi e tantomeno sorprendenti. Il vero significato della “rivelazione” pubblicata nel fine settimana sembra risiedere altrove. La commentatrice australiana indipendente Caitlin Johnston ha sottolineato sul proprio sito il progressivo cambiamento delle modalità con cui la guerra russo-ucraina è stata presentata dalla stampa ufficiale e dai politici USA dal mese di aprile ad oggi. A suo dire si è passati dalla negazione che quella in corso fosse una “guerra per procura” degli Stati Uniti, quindi coinvolti solo con l’appoggio esterno a Kiev, alla promozione di una guerra americana a tutti gli effetti, nella quale personale americano è già impegnato sul campo. L’obiettivo del governo di Washington, per Caitlin Johnston, sarebbe di “normalizzare gradualmente” uno scontro diretto con Mosca, così da indurre nell’opinione pubblica un qualche consenso per un’imminente escalation militare.

Di segno opposto è invece l’interpretazione del già citato Larry Johnson e di altri analisti al di fuori dei circuiti ufficiali. Johnson ritiene che il punto centrale dell’articolo risieda nell’osservazione che i reporter del Times fanno verso l’epilogo, prima sulla quantità delle perdite ucraine e in seguito sull’effettiva utilità e sui rischi del continuo coinvolgimento americano nella guerra. Il numero di vittime tra le forze armate ucraine, in termini di morti e feriti, causate dalle operazioni russe è tale da avere spazzato via gli uomini più esperti e meglio addestrati. La realtà sul campo non consente un ricambio abbastanza rapido da inviare al fronte militari ucraini in grado di difendere le posizioni esposte al martellamento dell’artiglieria di Mosca, né capaci di manovrare le armi che l’Occidente continua a spedire in Ucraina.

Per enfatizzare il concetto e la conclusione che ne deriva, il Times cita ex funzionari militari e dell’intelligence, secondo i quali la presenza “oggi” di addestratori militari americani sul campo in Ucraina “potrebbe non valere il rischio, soprattutto se incoraggia un’escalation del presidente russo Putin”. Per concludere ancora più chiaramente, l’articolo riporta l’opinione dell’ex agente della CIA ed ex vice-direttore dell’intelligence della Difesa, Douglas Wise. Alla domanda se “l’intensificazione dell’addestramento [dei soldati ucraini] valga il prezzo che dovrà essere pagato”, ovvero un numero ancora maggiore di vittime ucraine, i rischi per i militari americani e le conseguenze di una guerra a tutti gli effetti combattuta direttamente contro Mosca, Wise sostiene che “la risposta è probabilmente no”.

Quello che sembra suggerire l’articolo ampiamente citato in questo giorni del New York Times è dunque l’esistenza di ambienti militari e di governo negli USA che vedono con preoccupazione sempre maggiore la decisione, presa dalla Casa Bianca sotto l’influenza soprattutto del dipartimento di Stato e dalla galassia “neocon” in genere, di intensificare l’appoggio al regime ucraino in una situazione per quest’ultimo quasi disperata. Non c’è dubbio che a Washington come in Europa l’unanimità delle rispettive classi dirigenti sull’approccio alla crisi ucraina sia solo di facciata. Per il momento, come conferma anche l’esito del G-7 di questi giorni in Germania, continuano tuttavia a non vedersi iniziative ufficiali che facciano intravedere un’inversione di rotta con l’abbandono delle politiche suicide perseguite finora e il ritorno a comportamenti razionali da parte dei governi occidentali.

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