Se l’Europa continua a descrivere Putin come l’unico colpevole dei contraccolpi economici, finanziari ed energetici del conflitto in Ucraina, dopo oltre sei mesi dall’inizio delle operazioni militari russe la vera realtà del suicidio di fatto del vecchio continente è ormai sotto gli occhi di tutti. Scriteriate politiche di liberalizzazione e sottomissione degli interessi nazionali a quelli degli Stati Uniti fanno dell’imbarazzante classe dirigente europea la sola responsabile della corsa verso il baratro in nome della difesa della (nazi-)democrazia ucraina.

 

L’inarrestabile rialzo del prezzo del gas prospetta un inverno estremamente complicato per i popoli europei. La propaganda ufficiale invita ormai a confidare nella clemenza meteorologica per contenere i consumi, sperando in temperature non troppo rigide, magari favorite dall’abbandono forzato delle politiche di “transizione energetica”, vedi il ripristino di centrali a carbone, ovviamente sempre a causa del ricatto dell’inquilino del Cremlino.

Lo stop alle forniture di gas da parte di Gazprom alla francese Engie a partire da giovedì ha aggiunto un altro elemento al dramma energetico europeo, assieme alla nuova chiusura temporanea dei rubinetti del gasdotto Nord Stream 1, soggetto secondo Mosca a un altro intervento di manutenzione. Le decisioni della Russia sono state ancora una volta condannate duramente da governi e burocrati europei, per i quali Putin starebbe usando il gas “come un’arma di guerra”.

C’è da chiedersi quale atteggiamento dovrebbe tenere il Cremlino di fronte a un Occidente che sta conducendo un’offensiva a tutto campo contro un intero popolo, che invia armi per decine di miliardi di dollari al regime ucraino, che ha letteralmente rubato metà delle riserve in valuta estera della Russia depositate nelle banche occidentali e che applica provvedimenti razzisti e discriminatori contro i cittadini di questo paese.

Grazie alla classe dirigente europea, così, le prospettive per i prossimi mesi appaiono quelle tipiche di paesi in guerra, peraltro in maniera appropriata viste le responsabilità dell’Europa stessa nell’avere provocato e prolungato senza necessità quella in atto in Ucraina. Un’analisi pubblicata nei giorni scorsi dall’agenzia Bloomberg ha elencato brevemente i “rischi energetici” per l’Europa, consistenti in: prezzi insostenibili di gas ed energia elettrica, aumento dell’inflazione, tensioni politiche e sociali derivanti dall’impossibilità di riscaldare abitazioni e acquistare beni essenziali, competizione feroce per assicurarsi i cargo necessari a trasportare gas liquefatto (LNG), una delle poche alternative, decisamente più costosa, al gas russo.

La stabilità delle forniture e dei prezzi del gas non è dunque una chimera dissoltasi sotto i colpi del Cremlino, intenzionato a tenere l’Europa al guinzaglio di una spietata dipendenza energetica. La rinuncia a tutto ciò, col risultato di crisi economica, disoccupazione e inflazione galoppante, è piuttosto il frutto delle scelte deliberate di una classe dirigente che sta favorendo la propria distruzione per gli interessi strategici di Washington.

L’analista americano William Engdahl, tra gli altri, ha ricordato un’altra delle ragioni dell’impennata del prezzo del gas di questi mesi. I governi europei e i burocrati non eletti di Bruxelles continuano a puntare il dito contro Putin per “nascondere accuratamente la trasformazione che essi stessi hanno favorito delle modalità con cui il prezzo del gas naturale viene attualmente determinato”. Per quasi due decenni, spiega Engdahl, “la Commissione europea, con l’appoggio di mega banche come JP Morgan Chase o grandi fondi speculativi, ha creato le basi di quella che è oggi una completa deregolamentazione del mercato del gas naturale”.

Si tratta in sostanza della consolidata truffa delle “liberalizzazioni” che, nel caso del gas, ha ridotto o ridurrà ai minimi termini i “contratti a lungo termine a prezzo fisso”, quasi sempre basati su forniture tramite gasdotti, sostituendoli con “un mercato libero in tempo reale e senza regole”, collegato a costose partite di LNG. La deregolamentazione e la promozione dei grandi interessi speculativi, in nome di inesistenti benefici per gli utenti, rivela in questo frangente storico la sua vera faccia, mostrando a tutti come la presunta malefica “dipendenza” dal gas russo non fosse altro che sicurezza delle forniture, prezzi bassi e stabili fissati da contratti a lungo termine.

In questa prospettiva acquistano tutto il loro significato la chiusura e il boicottaggio di gasdotti che assicurano i collegamenti energetici dalla Russia all’Europa. Primo fra tutti il Nord Stream 2, oggetto da anni delle pressioni USA e alla fine bloccato con una mossa suicida decisa dal governo del paese che ne avrebbe maggiormente beneficiato, ovvero la Germania. Proprio la Germania è, tutt’altro che casualmente, la vittima di una vera e propria cospirazione attuata sotto forma di (auto-)sanzioni e partorita non a Mosca, bensì a Washington, Bruxelles e Berlino.

Le aziende tedesche che operano con elevati consumi di energia sono a serio rischio di chiusura e, anzi, alcune hanno già fermato le loro attività o le stanno riducendo drasticamente. Dal rallentamento forzato della produzione di alluminio o di fertilizzanti, la crisi rischia di propagarsi dalla “locomotiva” d’Europa a tutto il continente, con evidenti risvolti positivi per la competitività del capitalismo americano. Rischi enormi per la stabilità del sistema derivano inoltre da fallimenti e crisi finanziarie, come quella che sta interessando il colosso tedesco dell’energia Uniper SE, gigante da 164 miliardi di dollari di fatturato nel 2021 che a inizio settimana ha chiesto al governo di Berlino di alzare a 13 miliardi di euro la linea di credito dedicata per evitare il collasso.

La stampa tedesca e internazionale cerca di convincere l’opinione pubblica che i politici e le autorità energetiche dispongono di piani sufficienti a superare l’inverno senza troppi contraccolpi negativi o evitando rivolte popolari. A Berlino come altrove si calcola ad esempio il livello di scorte di gas che si riusciranno ad accumulare, sempre a prezzi esorbitanti, e quali chiusure di edifici pubblici o quanti razionamenti energetici si dovranno imporre, soprattutto se la Russia dovesse chiudere totalmente le forniture.

Il tutto mentre il gasdotto Nord Stream 2 giace inutilizzato sul fondo del mare del Nord, perfettamente funzionante e teoricamente pronto a essere attraversato da gas naturale a buon mercato. Alcune amministrazioni locali e imprese tedesche insistono nel chiedere un passo indietro al governo federale, così da abbandonare questa follia auto-distruttiva e l’ossessione anti-russa, non per assecondare Putin ma per salvare l’economia del loro paese. La risposta della classe dirigente tedesca continua però a essere di segno opposto e sembra essere tutta nelle recenti parole del ministro degli Esteri, Annalena Baerbock, vera e propria nullità politica e intellettuale catapultata dalla leadership dei Verdi a una delle cariche governative più importanti della prima potenza economica del continente.

La ministra ultra-atlantista, durante una conferenza a Praga, ha affermato senza difficoltà che le promesse di aiuti fatte all’Ucraina dovranno essere mantenute, “al di là di quello che pensano gli elettori tedeschi”. In altre parole: il governo Scholz farà affondare la Germania e l’Europa per inviare armi e denaro a Kiev nel quadro dell’offensiva contro la Russia, utile soltanto agli interessi di Washington.

Apparentemente, la strada verso il suicidio europeo non ha alternative, vuoi perché la salvaguardia della (nazi-)democrazia ucraina e la lotta contro la dittatura putiniana rappresentano valori più importanti, vuoi perché il ricatto del Cremlino non lascia altra scelta. In realtà, non solo un’alternativa razionale esiste ma nel mare del fanatismo europeo c’è chi ha già scelto una via diversa, privilegiando gli interessi domestici a quelli della finanza internazionale e dell’Impero. L’Ungheria del “dittatore” Orban ha infatti precocemente preso le distanze dal delirio di Bruxelles, dei vicini polacchi e dei mini-stati baltici, incassando in aggiunta un vastissimo consenso popolare per la sua agenda ultra-nazionalista e, secondo le impeccabili democrazie occidentali, “autoritaria”.

È di questi giorni la notizia di un nuovo accordo tra il governo di Budapest e Gazprom per l’aumento delle forniture di gas. La Russia assicurerà all’Ungheria altri 5,8 milioni di metri cubi al giorno, in aggiunta a quelli già previsti dai contratti esistenti. Questo paese riceve dalla Russia l’80% del gas necessario al proprio fabbisogno e aveva da subito limitato al minimo l’adesione alle sanzioni UE e alla campagna di demonizzazione di Mosca, ovviamente non senza conseguenze politiche.

Anch’egli a Praga per partecipare alla già ricordata conferenza che ha regalato la perla di democrazia di Annalena Baerbock, il ministro degli Esteri ungherese, Péter Szijjártó, è intervenuto sul recentissimo accordo con Gazprom, affermando che, in vista dell’inverno e a differenza di altri paesi europei, “l’Ungheria disporrà di gas a sufficienza”. Più semplice di così.

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