di Fabrizio Casari

Tra l’ennesimo scandalo scommesse e l’ennesimo mercato di riparazione, torna nelle sale il film del campionato. Ma per il mese di gennaio, più che le partite sui campi saranno decisive quelle sui tavoli, dove procuratori e direttori generali disputeranno match duri e senza esclusione di colpi. Per ora i trasferimenti più importanti li hanno messo a segno il Napoli, con l’acquisto dell’attaccante cileno Vargas e la Juventus, che ha preso a prezzo di un giovane primavera l’attaccante Borriello dalla Roma, cui potrebbe aggiungersi Pizarro, che sarebbe un’utile alternativa a Pirlo.

Chiarissimo l’obiettivo della Juventus, davvero incomprensibile quello della Roma, che sta concretamente rischiando di veder andar via anche De Rossi, se non ora a Giugno. Ad ogni modo, ci sono ancora 25 giorni di mercato invernale che, per volume di movimentazione di denaro e numero di calciatori trattati, da qualche anno sembra essere diventato più importante di quello estivo. Gli obiettivi sono diversi: in generale c’è il tentativo di riportare il monte spese delle società di calcio alla sostenibilità, riducendo costi con cessioni e prestiti di organici e spalmature di debiti.

Non solo e non tanto per la ormai prossima entrata in vigore del fair-play finanziario, quanto perché le società di calcio italiane continuano ad essere tenute in mano da presidenti che, sempre più, si chiedono se il ritorno d’immagine per loro e per le loro aziende vale il costo che assumono nella gestione delle squadre. Il gap con l'Europa é fortissimo. Si deve tener conto che Gran Bretagna, Spagna, Francia e Russia, dove sceicchi e oligarchi del petrolio investono somme enormi per costruire squadre d’eccellenza assoluta, a tenerli a bada ci sono società come Real Madrid e Barcellona, che sono costituite da capitali collettivi e non da singoli portafogli. In Italia, invece, non ci sono sceicchi e nemmeno società collettive di capitali e i Moratti, i Berlusconi, i Della Valle, i De Laurentis, i Pozzo e Zamparini (pur nelle loro differenze, ovvio) non dispongono di capitali privati di valore tale da mettere in discussione il predominio finanziario di sceicchi e affini. Dunque, almeno sul piano europeo, la partita è impari.

E ad aggravare il quadro, l’Italia si trova con le sue principali squadre nel mezzo di una transizione che è tutta da costruire, almeno in qualche caso. Le più titolate, come Inter e Milan, hanno infatti un problema comune: svecchiare le rispettive rose, fatte da campioni costosi e consumati e cominciare a costruire il futuro. Già, ma quale futuro? Programmare una squadra che deve vincere nel giro di uno o due anni significa puntare su giocatori tra i ventisei e i ventotto anni: giovani ma già esperti, campioni rodati nella capacità di tenuta dello stress tecnico, fisico e psicologico e che puntano ai traguardi alti della carriera. Costano tanto, spesso tantissimo, sono pochi e non è facile portarli in Italia.

Se invece si tratta di un futuro disegnato sui prossimi tre o quattro anni, allora qualcosa è già stato fatto, particolarmente dall’Inter, che ha ingaggiato una buona linea verde tra i quali spiccano Alvarez, Castanois, Ranocchia, Viviano, Poli, Faraoni, Caldirola, Coutinho, Obi. Il Milan, invece, al momento dispone solo di El Shaharawi, Antonini e Abate. Certo, se poi ci si chiede quanto questi giocatori siano in grado di forgiare squadre in grado di prevalere in Italia e in Europa, i punti interrogativi diventano enormi, per usare un eufemismo.

Dunque, due strade diverse: o integrare i Thiago Silva, Pato, Robinho, Mexes e Boateng con campioni come loro e migliori di loro (e quindi spalancare il portafoglio) per vincere nei prossimi uno o due anni, oppure spendere meno ma rimandare i trionfi di un triennio. Idem per l’Inter: o insieme a Snejider, Pazzini, Maicon e Motta arrivano tre o quattro campionissimi, e si tenta di proporre una nuova corazzata per vincere entro uno o due anni, oppure alla lista di giovani talenti si fanno aggiunte di valore benché giovani e si lavora a medio termine.

Per la Roma l’operazione di rinnovamento non pare volare con il vento in poppa. Sebbene gli acquisti di Lamela, Bojan e Pianjc siano stati certamente azzeccati, la cessione di Borriello (e forse, come si diceva, quelle di Pizarro e De Rossi) sembrano più il preludio di una dismissione generale che non la volontà di ricostruire dalle fondamenta. Evidentemente la Roma non ha la necessità di vincere subito, ma dismettere i migliori, avendo Totti che potrà giocare al suo livello al massimo un altro paio d’anni, rende la situazione davvero delicata. Il sospetto che i costi e il loro contenimento incidano più di quanto si ammetta a Trigoria, é forte.

E se la questione della competitività europea per motivi diversi non riguarda Udinese, Palermo, Fiorentina e Lazio, il Napoli ha invece intrapreso una strada interessante. L’acquisto di Vargas e - sembra - il prossimo ingaggio di un difensore ad alto livello (si parla di Chivu, cui l’Inter non rinnoverà il contratto) costituiscono mattoni solidi per la costruzione di una squadra che comincia a denunciare ambizioni europee prima ancora che italiane. Un bel calcio, un ambiente straordinario e una buona rosa non saranno però sufficienti: altre robuste aperture di portafogli saranno necessarie per De Laurentis per consentirgli il passaggio dal ruolo di provinciale di lusso a protagonista assoluta. E ben altro clima cittadino sotto il profilo della sicurezza devono garantire: difficile che miliardari mondani accettino di restare a casa per paura di essere assaliti per la strada.

Certo, le italiane si sono tutte qualificate in Europa, con l'Inter addirittura prima nel girone, mentre le inglesi hanno visto cadere teste cotonate e roboanti. Ma trattasi di elemento episodico: il confronto dell'Italia nel suo complesso con l’Europa, la capacità di competere per organici e gioco resterà ancora una chimera. Basti pensare che i nomi dei grandi giocatori per questo scorcio di mercato: per un Tevez che potrebbe arrivare non è il caso di entusiasmarsi; non vale nemmeno la metà di quello che costa e i problemi che porta sono superiori al numero di gol che realizza. Per quelli in uscita tutt'altro dioscorso: i fuoriclasse veri - Pato, Snejider, De Rossi - sembrano in partenza, trattati da club inglesi, francesi e spagnoli. Seguono il destino già scelto da Pastore, Sanchez e Balotelli. Idem per gli allenatori: dopo Capello, Mancini e Spalletti, anche Ancelotti è tornato all’estero. C’è poco da stare allegri: i migliori vanno dove si vince tanto e si guadagna di più. I valori di appartenenza e i sacrifici nel calcio sono solo per i gonzi.

 

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