di Fabrizio Casari

Quello appena assegnato alla Juventus è il suo ventottesimo scudetto. Meritato: per il gioco espresso, per la grinta dimostrata, per il furore agonistico applicato, per la capacità del suo allenatore di cambiare moduli adattandoli alle caratteristiche dei  giocatori. Perché i veri guru della panchina sono coloro i quali lontani dall’integralismo dei loro intimi convincimenti, sanno fare il pane con la farina che hanno in casa. Conte può ben assegnarsi l’ago e il filo con il quale ha cucito lo scudetto alla sua squadra. Che partiva dal settimo posto dell’anno scorso e che quindi si è dimostrata capace, in un solo campionato, si sovvertire letteralmente lo status ereditato prima dell’arrivo dell’allenatore salentino.

Certo, il non dover giocare in Europa ha certamente avvantaggiato i bianconeri, ma va anche riconosciuto che la tenuta fisica della squadra è stata garantita da un lavoro attento e scrupoloso dei preparatori atletici. Meriti vanno anche a chi ha deciso di impostare una squadra vincente con una rosa provvista solo di due grandi campioni (Buffon e Pirlo) e di molti buoni giocatori.

Decisiva è stata la capacità d’individuare in Vidal l’acquisto giusto per il centrocampo e alcuni rinforzi dimostratisi straordinariamente utili, come Barzagli e Vucinic in primo luogo. Pirlo, Vucinic, scaricati in fretta da Milan e Roma, sono state le armi decisive di questo scudetto e persino Borriello, ceduto a prezzi da serie D, ha portato il suo contributo alla causa. In particolare Pirlo, che ha preso in mano la squadra e l’ha dotata di gioco, prematuramente ceduto da Milanello proprio in nome di quell’integralismo di cui si parlava prima, ha illuminato la Juventus.

Due le ombre sulla festa juventina: la prima è l’addio di Alessandro Del Piero, che della squadra torinese è stato il fuoriclasse assoluto, l’immagine stessa di una squadra che ha nella disputa delle posizioni di vertice del calcio italiano il suo DNA.

Poteva e doveva finire diversamente la storia d’amore tra Del Piero e la Juve; perché i simboli non si cancellano per ragioni di bilancio e perché in quanto a esperienza, classe e capacità di risolvere le partite più difficili Del Piero sarebbe la chioccia adatta per una squadra che affronterà la Champions senza una grandissima esperienza internazionale in diversi dei suoi giocatori. Davvero un milione di euro all’anno d’ingaggio valgono una pagina strappata del libro di storia della Juve?

La seconda è la presunta intenzione di apporre la terza stella sulle maglie, scegliendo di considerare come verità non quella ufficiale, sancita da sentenze sportive e ribadita in sede penale e civile, ma quella dei tifosi indifferenti alla verità, intenti solo a curarsi dei loro personalissimi sentimenti. Se così dovessero procedere tutti, ognuno potrebbe scegliere il suo profilo indipendentemente dalle decisioni formali. Moratti potrebbe dire di averne due in più come minimo, la Roma almeno uno, e tantissime altre potrebbero avanzare richieste diverse da quanto legittimamente decretato.

L’idea che gli organi competenti possano essere interpellati formalmente e poi, a risposta non gradita, possano essere ignorati sostanzialmente, è ridicola prima che sbagliata. Difficile che Lega e Figc possano soprassedere e che la Uefa del tifosissimo Platinì - che non smette mai di fare l’ultrà juventino, a dispetto del suo ruolo super partes - possa stendere le famose fette di prosciutto sugli occhi davanti a violazioni evidenti delle norme. L’indifferenza per le regole, questa sì, sembra dunque caratterizzare il filo che lega la vecchia Juve a quella nuova e davvero non ce ne sarebbe bisogno.

La vittoria della Juve è stata soprattutto la sconfitta del Milan. I quattro ceffoni presi dall’Inter nel derby, nonostante un arbitraggio scandaloso da parte di Rizzoli, hanno determinato la fine del campionato con un giornata d’anticipo. L’arbitraggio di Rizzoli è stato improntato al modello Rocchi, solo con minore arroganza. E non è la prima volta che l’arbitro favorisce smaccatamente il Milan nei derby: nella finale di Supercoppa aveva annullato un gol regolare di Eto’o e regalato quello di Boateng, non fischiando un fallo evidente dal quale era partita l’azione del gol rossonero. E, va ricordato, all’Inter sono stati negati tre gol regolari negli ultimi quattro derby (ultimo fino a l’altro ieri quello di Thiago Motta nel derby d’andata, comunque vinto dall’Inter), dove invece sono stati abbondanti i penalty a favore del Milan, alcuni dei quali - come domenica sera da Rizzoli - palesemente inventati.

Un rigore enorme a favore dell’Inter per fallo doppio su Samuel in area del Milan non fischiato, un gol regolare di Cambiasso, un rigore inventato per il Milan con ammonizione di Julio Cesar che dovrà saltare l’ultima di campionato con la Lazio, poi una serie di cartellini evitati al nervosismo dell’Inter per tentare di compensare gli errori commessi.

Rizzoli, come Rocchi, vede cose che nessuno vede e non vede cose che tutti vedono. A differenza di Rocchi, però, Rizzoli non sbaglia perché incapace, ma perché fuori forma. Rocchi, invece, che ieri ha regalato alla Lazio la vittoria, negando due rigori all’Atalanta, ha ben altre ragioni nel suo arbitrare scandaloso.

L’Inter che ha strapazzato il Milan è, sempre più, la carta d’identità di Stramaccioni, che ha dimostrato di saper rivitalizzare la squadra, darle un gioco offensivo e una solidità caratteriale come non la si vedeva dai tempi di Mourinho. L’augurio è che Moratti si sbrighi a riconfermarlo, prima che qualche presunto guru da un altro pianeta venga a proseguire la lista degli allenatori ingaggiati e poi esonerati sulla panchina nerazzurra.

Con l’addio di Cordoba, che ha seguito quello di Materazzi, sarebbe bene che l’Inter sciogliesse anche il legame con alcuni dei suoi senatori, proponendogli di restare solo a condizione di accettare la panchina. Perché i nerazzurri hanno bisogno di ragazzi che corrono e che giocano al calcio con entusiasmo, fame di vittorie e voglia di emergere. L’ossatura dei giovani in forza alla squadra è già di tutto rispetto e tre o quattro inserimenti, oltre al rientro di Coutinho, saranno sufficienti  - con Stramaccioni in panchina - a rendere di nuovo l’Inter una squadra in grado di primeggiare.

Nella prima serata di Milano, intanto, l’immagine che veniva in mente era quella di una squadra superfavorita e convinta della sua superiorità, andata però a sbattere contro una realtà molto, molto diversa. Nella seconda serata, invece, i simboli facevano da sfondo: Ibra e Muntari, che lasciarono l’Inter non senza schizzare veleno (Muntari in particolare), vedono i nerazzurri che gli strappano lo scudetto e trovano sui monitor il volto raggiante di Pirlo e Borriello che gli ricorda di quale abilità manageriale ci sia bisogno per primeggiare.

Perché il Milan ha perso lo scudetto con l’Inter, certo, ma prima ancora con la pianificazione di una squadra che ha avuto sempre e solo un modo di giocare: palla a Ibra e vediamo se segna. L’altro schema preferito era l’attesa del solito favore arbitrale, concretizzatisi in un numero di rigori a favore che rappresenta un record. Ma il Milan ha perso perché è naufragato un progetto di squadra e di società , a cominciare dal fallimento di Milanlab (mai tanti infortunati cronici nella squadra), agli errori di mercato (vendere Pirlo e acquistare Muntari e Mexes..) con lo scontro sugli assetti societari (vedi le liti interne su Pato e Tevez ) e una guida tecnica assolutamente non in grado di offrire soluzioni e moduli di gioco alternativi in assenza di tutti gli effettivi.

Si pensava forse che Ibra fosse sufficiente a vincere in Italia, perché l’Inter già dallo scorso anno era con i lavori in corso dopo la galoppata dei diciassette titoli in cinque anni, perché il Napoli aveva la Champions e perché la Juventus poteva al massimo scalare due o tre posizioni rispetto al campionato precedente. Insomma è sembrato che i conteggi fossero fatti più sui limiti altrui che sulle proprie forze.

E forse il peggio deve arrivare: molto ci sarà da fare con la maggior parte dei suoi campioni da pensionare e le seconde scelte decisamente al di sotto del minimo necessario. Avrà i soldi, la capacità e la volontà di farlo? Riuscirà a tenersi Ibrahimovic che già scalpita? Il Milan non può permettersi altre annate di transizione, visto lo score assai magro degli ultimi anni.

Il prossimo turno stabilirà quali sarà la squadra che andrà in Champions League insieme a Juve e Milan e chi approderà in Europa League. Ma non è detto che sia il campo a stabilire la classifica finale: entro 48 ore si attende la chiusura dell’inchiesta sul calcio scommesse e la conseguente apertura dei procedimenti della giustizia sportiva. Alcuni anni dopo Calciopoli, molti anni dopo i precedenti scandali  del calcio-scommesse, saranno di nuovo le toghe e i tavoli a sostituire il manto verde nella scrittura delle sentenze.

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