di Fabrizio Casari

Altri tempi quelli nei quali Zico e Falcao, Ronaldo e Mathaus, Ibrahimovic ed Eto’o facevano carte false per venire a giocare in Italia. Si diceva, allora, che il nostro era il campionato più interessante al mondo, nonostante Calciopoli. Finiti quei tempi? Per ora finiti i “piccioli”, che forniscono sempre le motivazioni profonde dei campioni del pallone.

Da un paio d’anni a questa parte sono i nostri talenti ad emigrare: da Eto’o a Pastore e Thiago Motta, ed ora a Lavezzi, Ibrahimovic e Thiago Silva, Borini e Verratti (e forse Snejider), gli addetti alla classe pura, gli uomini che “fanno reparto da soli”, che “cambiano le sorti di una partita con una giocata” e via incensando, fanno le valigie e lasciano il Belpaese. Seguiti o anticipati, a seconda dei casi, dagli allenatori migliori che l’Italia ha sfornato: Capello, Mancini, Spalletti, Ancelotti.

Certo: regime fiscale e mancanza di stadi di proprietà, peso degli ultras, ridotto merchandising e norme sorpassate non aiutano il calcio italiano ad evolversi e non sono certo dei buoni campionati europei che possono invertire la tendenza. Si potrà legittimamente pensare che gli investimenti miliardari nel resto d’Europa hanno il carattere della volatilità e che l’espansione verso ogni paese del flusso di denaro genererà, nel medio periodo, un tourbillon di giocatori che impediranno il formarsi di realtà stabili.

Ma intanto l’entrata in scena di sceicchi arabi e petrolieri russi, che ha trasformato i Berlusconi, gli Agnelli e i Moratti in signori appena benestanti, ha alterato profondamente gli equilibri calcistici europei, con una Premier League ed una Liga che surclassano la nostra Serie A, mentre la Premiere League francese e la serie A russa provano a fare capolino nel calcio che conta. Dovranno passare ancora molti anni prima che in Russia si veda un calcio affascinante e che il calcio francese diventi più attraente di quello italo-iberico o anglosassone, però non c’è dubbio che la tendenza generale è cambiata, dal momento che i sentimenti non lo sono affatto: si va dove ti porta il portafogli.

Anche perché si è sollecitati al viaggio dai cosiddetti “procuratori”, che sguazzano in questa partita di mercante in fiera come squali tra i lucci e strappano percentuali milionarie per ogni passaggio dei loro assistiti. Nel circo Barnum del calciomercato godono tutti: i procuratori che guadagnano, i giocatori che incrementano, i direttori sportivi che si agitano molto e cercano di farsi la nomea di “Re del mercato” con la quale poi riciclarsi altrove per incrementare stipendio e ruoli; i presidenti che si fingono mecenati e tengono buoni la tifoseria ricavandone immagine pubblica e peso specifico nel sistema; i giornalisti che spacciano chiacchiere per confidenze esclusive e diventano “specialisti”; i giornali che vendono copie perché quando il calcio è mercato, vincono tutti e non perde nessuno.

D’altra parte il mercato, quando parla italiano, risulta almeno bizzarro. Davvero si ritiene che un giocatore senz’altro di prospettiva come Verratti valga un investimento pesante in tempi di fair play finanziario? O che Destro, ottimo attaccante del Siena (ma non altrettanto nel Genoa) valga sedici milioni di euro? Su Destro si è scatenata un’asta tra Juve, Inter, Roma e Milan, con i giallorossi in pole position, ma sedici milioni di euro per un buon girone di ritorno in una provinciale si possono giustificare solo con un atto di fede. Giocare a Siena non è lo stesso che farlo a Milano, Torino o Roma, men che mai in Europa.

Il suddetto quadro genera ansia tra gli osservatori, eppure a ben vedere si potrebbero trovare motivi di soddisfazione. In primo luogo potremo risparmiarci le consuete apparizioni televisive dei neo acquistati che giustappunto ricordano che sin da bambini facevano il tifo proprio per la squadra che li ha appena ingaggiati; che fanno le foto con le nuove maglie e sorrisi pari agli emolumenti o che, addirittura, cambiano casacca e, giacché ci sono, pure opinioni.

L’ultimo è stato Lucio, che arrivato a prezzi di saldo dal Bayern Monaco all’Inter, con la casacca nerazzurra è diventato un giocatore vincente: il Triplete ed altri trofei (campionato del mondo per club) non li aveva mai vinti con le squadre dove aveva militato. Ebbene, nonostante ciò Lucio ha scelto le parole più acide e ridicole verso l’Inter, ammettendo a denti stretti che trescava con la Juventus già da Giugno scorso.

Marotta magari nell’occasione non avrà avuto da ridire circa l’avvicinamento ad un tesserato di un altro club senza il permesso, ma la Juventus, come è noto, ha una decisa difficoltà ad interpretare i regolamenti quando non le conviene.

Ma Lucio, che fino a tre mesi prima cantava “senza rubare, vinciamo senza rubare” o “chi non salta bianconero è”, improvvisamente si scopre ultras juventino e parla di scudetti di cui non conosce nulla. Perché? Per due milioni e mezzo di euro all’anno: vi sembrano pochi? Non sufficienti a sputare nel piatto dove si è mangiato?

Beh, questione di stile come diceva la canzone. E forse anche di scarsa conoscenza della matematica, giacchè il difensore brasiliano era il più scatenato nei festeggiamenti per il 18° scudetto dell'Inter. Pugni sul cuore e baci sulla maglia nerazzurra con commozione annessa. Ma se l'Inter di scudetti ne ha 18, la Juve non può averne 30. Glielo hano spiagato a Vinovo mentre l'istruivano su cosa dire ai media?

Certo, molti altri hanno lasciato l’Inter o il Milan o la Juventus senza per questo schizzare fango appena firmato il nuovo contratto, ma stiamo parlando di fuoriclasse, non di campioni. Lucio si è sempre detto un atleta di Cristo, calciatore fedele a Dio. Il dio denaro?

 

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