di redazione

E' una coincidenza bizzarra, ma a trionfare in questo weekend di finali sono state le due squadre che hanno eliminato la Juventus dalle rispettive competizioni. Il Bayern Monaco, che sabato si è aggiudicato la Champions League superando 2-1 il Borussia Dortmund, e la Lazio, vincitrice ieri della sua sesta Coppa Italia grazie all'1-0 inferto ai cugini della Roma.

Si tratta, purtroppo, di una nota che potrà appassionare solo i fan dell'occulto. Già, perché sotto qualsiasi altro punto di vista le due partite del fine settimana hanno marcato nel modo più evidente la distanza che corre fra il nostro calcio e quello delle vere grandi d'Europa.

Che il derby capitolino non sarebbe stato una bella partita era ampiamente prevedibile. Non lo è mai: troppa tensione, troppa rivalità sul piano personale anziché sportivo. Ieri però c'era davvero un surplus d'angoscia a pesare sui piedi dei giocatori. Era uno scontro storico, che valeva quattro: non solo la supremazia cittadina e la Coppa Italia, ma anche la qualificazione alla prossima Europa League (obiettivo mancato in Campionato da entrambe le squadre) e la possibilità di disputare in estate la finale di Supercoppa Italiana contro la Juve.

Il primo tempo è a dir poco rigido, stracolmo di falli e ammonizioni. Nella ripresa prevale invece la stanchezza, con le formazioni visibilmente allungate, divise in due da una voragine a centrocampo. A decidere la gara è Senad Lulic, che insacca a porta vuota un cross dell'instancabile Candreva (come sempre il migliore dei suoi) dopo un goffo e fallimentare tentativo di respinta da parte di Lobont e Marquinhos.

Nella mezz'ora finale abbondano le praterie e il nervosismo, ma l'unica vera occasione della Roma è su una punizione di per sé non irresistibile di Totti. Marchetti valuta male la traiettoria, ma in qualche modo si salva, anche grazie all'aiuto della traversa. Negli ultimi minuti Mauri ha l'occasione di raddoppiare, ma gli capita sul destro, che non è davvero il suo piede. Alla fine è comunque un trionfo per i biancocelesti, che in novanta minuti salvano una stagione altrimenti deludente. Sull'altra sponda del Tevere si apre invece un periodo di ristrutturazione che presumibilmente inizierà dalla panchina, con l'esonero di Andreazzoli. Difficile comprendere le sostituzioni di ieri: Osvaldo solo per una manciata di minuti, poi Dodò a completare il disastro.

Tutt'altra storia invece l'altro (vero) big match del weekend. Bayern e Borussia non esprimono a Wembley il loro miglior calcio, ma onorano comunque la finale di Champions con un gioco veloce, fatto di grande talento e di un agonismo non eccessivo.

Alla fine i bavaresi si scrollano di dosso la nomea dei perdenti di lusso. Eppure, nel primo tempo, sembra proprio che la partita sia indirizzata sui soliti binari, con Robben che si ritrova per ben due volte solo davanti al portiere avversario, ma non riesce a insaccare. A mezzo mondo tornano in mente due episodi: la finale dei Mondiali del 2010, quando l'olandese fallì una clamorosa occasione davanti a Casillas, consentendo poi alla Spagna di trionfare 1-0 ai supplementari; e la finale di Champions dell'anno scorso, quando il povero Arjen sbagliò clamorosamente un rigore, aprendo la strada alla vittoria del Chelsea.

Stavolta però gli dei del calcio decidono che è tempo di gloria anche per il Bayern. E a decidere il match è proprio quell'aletta olandese non esattamente glaciale sottoporta. Quel ragazzo dalla corsa velocissima e un po' sbilenca, che non crossa mai dal fondo, ma rientra sempre e comunque sul sinistro. Basta una mezzoretta a Robben per entrare nella storia del suo club: prima offre a Mandžuki? un cioccolatino da spingere in porta per l'1-0, poi, dopo il pareggio su rigore (cristallino) di Gundogan, è lui stesso a piazzare il gol vittoria. Lo fa a pochi minuti dalla fine, con un inserimento prepotente e agile, propiziato da un assist di tacco rocambolesco di Ribery. L'ultimo tocco è un piatto (sinistro) vagamente incerto. Ma, per una volta, vincente.

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