Con diverse giornate di anticipo, l’Inter è campione d’Italia 2020-2021. Undici anni dopo l’ultima vittoria in campionato e dieci anni dopo l’ultimo trofeo (Mondiale per club), la bacheca già molto fornita dell’Inter si apre per inserire il suo 19 scudetto. Un traguardo strameritato, certificato da un girone di andata appena discreto ma di un girone di ritorno devastante, nel quale i nerazzurri sono risultati imbattibili. Un risultato da molti pronosticato ad inizio stagione, sebbene sempre con le dovute accortezze in ragione di una Juventus che si riteneva - giustamente - nella possibilità di continuare a sua marcia trionfale di questi ultimi anni.

 

S’interrompe così, dopo nove anni di dominio incontrastato, la marcia trionfale della Juventus in Italia, decisamente in controtendenza rispetto a quello in Europa. Il valore dello scudetto interista inizia proprio qui, quando interrompe la lunga supremazia juventina, costruita con denaro, peso politico ed abilità societaria, oltre che sul campo.

La vittoria finale dell’Inter è stata improntata su un modello di squadra voluta da Conte, al quale va riconosciuto il merito di averla forgiata caratterialmente e tatticamente. E sebbene gli si possano rimproverare i due acquisti peggiori (Kolarov e Vidal, entrambi con ingaggi pesantissimi e pressocché inutili per la squadra, quando non addirittura dannosi), gli va riconosciuto il merito di aver portato Lukaku anche a costo di rompere con la proprietà cinese, in parte titubante di fronte all’esborso di 85 milioni di Euro. Proprio da Lukaku - autore di 21 gol e 15 assist - e da Lautaro Martinez - autore di 15 gol e 9 assist - l’Inter ha tratto la certezza psicologica di riuscire ad andare in gol con chiunque. Quel modo di giocare convinto che, prima o poi, il gol arriva.

Lukaku è stato devastante per le difese avversarie e, appunto, non meno bene ha fatto Lautaro Martinez, ma il pacchetto difensivo è stato altrettanto all’altezza della sfida (nonostante i diversi errori di Handanovic). Indovinata, anche qui, la scelta di Conte di privilegiare Bastoni e lasciar partire Godin, così come di andare a prendere Darmian e di recuperare in parte lo stesso Perisic. Non meno importante per la quadratura della squadra nerazzurra è stato il centrocampo, con un Barella sopratutti e un Brozovic a buoni livelli. Ma la svolta vera si è avuta con l’inserimento fisso di Eriksen al posto dei vari Gagliardini e Vidal. Il campione danese è stato un esempio evidente di come Conte abbia saputo rivedere le sue tesi di gioco e il suo giudizio sul calciatore, da lui rittenuto inadatto alla dimensione gladiatoria che l’allenatore salentino esige. Ma Eriksen, che ha affiancato il lavoro di regia di Brozovic, ha inserito varianti di gioco e capacità di gestione della palla prima sconosciute, oltre che a segnare due gol, ognuno decisivo per i tre punti finali.

Ad aumentare il coefficiente di difficoltà dell’impresa ci ha pensato il governo cinese, che alcuni mesi orsono ha decido di bloccare i finanziamenti esteri considerati “non strategici”. I riflessi sull’Inter sono stati immediati sia in termini di liquidità che nella gestione del club che è sembrato in vendita. Ma Conte e Marotta, insieme ad Ausilio e Zanetti, sono stati capaci di tenere la barra dritta ed hanno ricevuto un aiuto concreto anche dai calciatori che, visto il momento, hanno accettato ritardi negli stipendi e rinunce ai premi, pur di non gettare il club nel caos. Una diretta conferma di come la qualità in società ed in panchina spesso sopperiscano ai limiti proprietari e si trasformino in moltiplicatori di gioco.

Inutile negare che nella vittoria di questo campionato vi siano due rivincite importanti come quelle di Conte e Marotta verso la Juventus. Il primo, juventino doc, scelse di andarsene all’improvviso dopo che si scontrò con Andrea Agnelli mentre Marotta lasciò la Juventus in disaccordo sulla operazione Cristiano Ronaldo che, a consuntivo, si è dimostrata un fallimento totale e che da ragione a Marotta nell’individuarne l’inizio di problemi finanziari ormai arrivati sotto gli occhi di tutti.

Nella caduta abbastanza rovinosa della Juve, che ha scelto di puntare su scommesse acerbe come Paratici e Pirlo (con il primo coinvolto già in irregolarità amministrative che mai Marotta avrebbe permesso e il secondo che non ha proprio la stoffa del condottiero carismatico) e che forse con i saluti di Andrea Agnelli avvierà la stagione del rinnovamento totale, c’è il più fragoroso ma non l’unico elemento sorprendente dei questo torneo.

Ma sebbene manchino ancora 4 partite alla fine, si registrano l’anomalia di questo torneo per le condizioni straordinarie nelle quali si è svolto, che in qualche modo hanno determinato un ulteriore livellamento, al punto che per il piazzamento in Europa c’è una vera e propria folla. Un campionato che – va sottolineato – ha avuto nell’assenza dei tifosi allo stadio e nei riflessi negativi per i mancati introiti da biglietteria e sponsor alle società, i due riverberi peggiori e nella marcia trionfale dell’Inter la nota migliore.

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