di Roberta Folatti

La vita ricomincia a novant’anni?

Il pranzo di ferragosto del titolo si svolge all’insegna dell’allegria e della convivialità ma il film di Gianni Di Gregorio è più malinconico che spumeggiante. La vecchiaia è ripresa molto da vicino e le immagini non ci raccontano frottole.
Essere vecchi significa diventare un ingombro per figli e nipoti, perdere la propria autosufficienza, rinunciare agli aspetti più dolci e attraenti della vita. Dal cibo alla vicinanza di un uomo (o una donna) alla semplice possibilità di uscire di casa quando si ha voglia. La storia, narrata con garbo e ironia, è molto umana. Si ride, ci si intenerisce, ci si affeziona alle pepate vecchiette e in fondo anche al protagonista maschile, interpretato dallo stesso Di Gregorio. Il regista-attore dice di essersi ispirato a un’esperienza personale: anche lui ha vissuto per anni con sua madre destreggiandosi tra una marea di debiti, e la proposta di accudire la madre di un conoscente per cominciare a ripianare questi debiti l’ha ricevuta veramente. Nel film immagina come sarebbe andata se avesse accettato…
L’idea di partenza è sicuramente originale, anche abbastanza credibile vista la composizione della società attuale, con un numero sempre maggiore di persone anziane e figli e nipoti sempre meno disposti ad occuparsene. Il personaggio interpretato dal regista, che vive alla giornata resistendo alle minacce di sfratto dei condomini, un po’ inconcludente ma molto affettuoso con la madre, è una figura azzeccata. Il resto lo fanno le quattro fantastiche ultraottantenni, selezionate girando per i centri anziani della Capitale. La romanità è un elemento essenziale del film, le situazioni che nascono non potrebbero che essere collocate a Roma, la città è la cornice ideale per la storia raccontata. L’ironia sorniona, la battuta pronta, l’idea che in qualche modo tutto si possa aggiustare e quel perenne sostare sul confine tra farsa e tragedia, queste le caratteristiche che hanno fatto di Pranzo di ferragosto un piccolo successo.
La trama è semplice, quasi uno spunto leggero. Un uomo disoccupato, sull’orlo dello sfratto, accetta di occuparsi di tre signore attorno ai novant’anni in cambio della parziale cancellazione di alcuni debiti. Accudendo madre e zia dell’amministratore dello stabile in cui vive, gli verranno ridotte le spese condominiali e accogliendo in casa anche la mamma del suo dottore avrà modo di sdebitarsi di tante visite mediche non pagate. Si tratta solo di un paio di giorni ma sono quelli critici di ferragosto, quando i vecchi diventano un peso insostenibile e nelle metropoli deserte (almeno in quelle italiane) restano i più deboli. Deboli in tutti i sensi.
Da questo spunto prende il via una storia piena di calore ma anche di piccole, umanissime defaillance, di comprensione e di stanchezze improvvise, di allegria e di risvolti malinconici.
Un’ulteriore dimostrazione che il cinema italiano è vivo: da “Il vento fa il suo giro” a “Le ferie di Licu”, da “La ragazza del lago” al poco distribuito “Cover Boy”, emergono nuovi registi con tante buone idee. “Pranzo di ferragosto” è stato premiato a Venezia come miglior opera prima.

Pranzo di ferragosto (Italia, 2008)
Regia: Gianni Di Gregorio
Sceneggiatura: Gianni Di Gregorio
Musiche: Ratchev & Caratello
Cast: Gianni Di Gregorio, Valeria De Franciscis, Marina Cacciotti, Maria Calì, Grazia Cesarini Sforza
Distribuzione: Fandango






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