di Sara Michelucci

Sono i favolosi anni Sessanta quelli in cui Nicola nasce e cresce. Ma di favoloso c’è ben poco per un bambino come lui, che conosce presto l’esperienza del manicomio, prima attraverso la tragica fine di una madre ridotta a cadavere vivente dalla lobotomia e dagli elettroshock, poi attraverso la sua diretta esperienza di matto rinchiuso in un luogo fatto di giornate sempre uguali, senza tempo, perché i matti non hanno tempo, con l’odore riconoscibile e che si staglia addosso, come se fosse un’etichetta, un riconoscimento.

Ascanio Celestini lascia il palcoscenico del teatro, ma solo per un attimo, e si mette dietro la macchina da presa, raccontando attraverso La Pecora nera, i 35 anni di manicomio di Nicola (interpretato dallo stesso Celestini) e attraverso di lui di tutte quelle persone che hanno subito un trattamento sanitario obbligatorio. Una tematica di studio per Celestini, che ha lavorato a lungo sull’argomento, sentendo numerose testimonianze di gente che ha vissuto in manicomio negli anni precedenti alla legge Basaglia, la quale ne ha ordinato la chiusura.

“Noi ci mangiamo la terra e i sassi nel giardino ad angolo retto, inciampiamo sui nostri passi quando fa buio torniamo a letto per fare in fretta la nostra cena per non avere troppi pensieri, ce la servono in endovena le suore, i medici e gli infermieri”, canta Celestini nella canzone "I matti".

Ma chi sono davvero i matti? Quanti di loro in realtà sono etichettati come tali dalla società, senza esserlo davvero, per i motivi più differenti e sono costretti a subire violenze e umiliazioni di ogni tipo? “Se si toglie il camice diventa matto anche lui”, dice nel film un internato riferendosi ad un dottore.

Nicola è l’essenza stessa di questo dolore. Bambino deriso, non amato, solo, che sente riecheggiare sempre la stessa melodia nella sua mente - “Io che ti faccio e ti disfo, come ti faccio ti disfo. Pio pio pio pio pio pio pio” - come se il suo destino fosse stato già scritto da tempo. Adulto scisso, rinchiuso nelle paure più insormontabili, domate solo da una scarica elettrica. Il suo alter ego, interpretato dal bravo Giorgio Tirabassi, è il vero matto per Nicola. Lui, invece, che può andare a fare la spesa da solo, anche senza la suora, ha ancora una chance che si chiama Marinella (Maya Sansa). Quella bimba che da piccolo non ha saputo conquistare e che ora, da adulta, può amare, rappresenta l’unico contatto vero con il mondo reale. Ma Nicola non è più padrone dei suoi sensi e della sua mente, nel suo ‘manicomio elettrico’ è già stato tutto deciso. E i suoi giorni sono legati ad un letto freddo e senza colori.

L’allegoria, la metafora, sono l’essenza stessa di questo film, e del lavoro di Celestini che sa narrare gli orrori del nostro tempo attraverso i racconti di personaggi inventati, ma che sono molti più simili a quelli reali di quanto ci si immagini. Un narratore onnisciente e fuori campo che dà intensità narrativa alle immagini, investendo il film di uno stile nuovo e anticonformista.

 
La Pecora nera (Italia 2010)
Regia: Ascanio Celestini
Sceneggiatura: Ascanio Celestini
Interpreti: Ascanio Celestini, Giorgio Tirabassi, Maya Sansa, Luisa De Santis, Nicola Rignanese
Distribuzione: Bim

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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