di Roberta Folatti

Dall'8 al 14 giugno si è svolta a Milano la 20° edizione del Festival Internazionale del Cinema Gaylesbico, che ques'anno è stata ospitata in una sede prestigiosa come il teatro Strehler.
Tra i film in concorso molte opere americane e canadesi, ma anche un prodotto della Hollywood indiana, la cosiddetta Bollywood. "My brother Nikhil" di Onir, affronta il tema dell'Aids attraverso la vicenda di un giovane campione di nuoto che, nella metà degli anni '80, si scopre sieropositivo e viene abbandonato dalla squadra e dalla famiglia. Fu il periodo più drammatico nella storia di questa malattia e molte persone vennero uccise dalla disinformazione e dal pregiudizio, prima che dal virus. Parecchie le commedie proiettate al Festival, tra cui "Boy culture" di Allan Brocka, che ironizza sugli stereotipi del mondo gay, in particolare sui comportamenti all'insegna della totale libertà sessuale. Dalla Germania "Rainbow's end" di Jochen Nick, un film attualissimo che si domanda quale sia la condizione degli immigrati omosessuali, oggi che temi come i matrimoni gay, i pacs, la parità di diritti sono all'ordine del giorno.
Altrettanto attuale "La nueva familia" di Manuel Zayas, documentario spagnolo che racconta com'è andata in quel paese, dopo che il governo Zapatero ha legittimato i matrimoni omosessuali. Un altro documentario "What is gay?" di Jocqui Frost indaga la vite dei figli di genitori gay e lesbiche in America, cercando di capire se risentano di pregiudizi o forme di esclusione sociale.

Per tracciare un bilancio di Apriti gli occhi, l'ultima edizione del Festival, abbiamo parlato col direttore artistico e organizzativo Giampaolo Marzi, stravolta dalle fatiche di una settimana intensissima.

Com'è andata?
Molto bene, abbiamo avuto un aumento di spettatori del 30%. Il pubblico ha apprezzato la doppia location, interna e esterna, che prevedeva uno spazio di intrattenimento sul sagrato del teatro per mangiare, chiacchierare, ascoltare buona musica. C'è stata una discreta affluenza anche per i corti e i documentari pomeridiani, la sede prestigiosa e la qualità tecnica delle proiezioni hanno contribuito ad attirare pubblico. Nel programma abbiamo inserito nove anteprime italiane, una di queste esce con Mikado, altre saranno visibili nel palinsesto di Gaytv. Ci auguriamo sempre che i film abbiano una loro vita autonoma, non legata solo all'evento Festival.

Quali sono stati i temi più trattati?
Abbiamo visto molte storie adolescenziali, di un'adolescenza che ha temi e problemi diversi da quelli che potevamo avere noi vent'anni fa. Ma la scoperta della propria identità sessuale rimane un fattore complesso, un percorso difficoltoso.
E' stato difficile anche il percorso che ha portato il Festival fino a una ribalta come lo Strehler?
Parlare di cinema gay quindici anni fa era come parlare di cinema porno! E' stato arduo far passare il concetto che l'unica diversità sta nelle tematiche affrontate. A parte questo pregiudizio di fondo, abbiamo dovuto superare problemi di spazi, finanziamenti, visibilità. Siamo andati avanti grazie al lavoro volontario di molte persone. Il successo di pubblico che stiamo ottenendo si spiega col fatto che la società civile è più matura di quella politica.

Che ruolo può avere il Festival all'interno della vita culturale italiana?
Può dare una forte visibilità a un cinema di qualità ed essere un'occasione annuale di incontro culturale, ma anche di festa e divertimento, sganciandosi finalmente dalla logica che vuole che le cose culturali e quelle ludiche non possano andare a braccetto.



APRITI GLI OCCHI
Il manifesto della 20° edizione del Festival Internazionale del Cinema Gaylesbico
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