Un docufilm onirico, dai tratti grotteschi, ma anche dalla spiccata umanità è quello firmato da Cristiano Carotti e Desiderio, dal titolo Artaserse.

Un lavoro che racconta la storia del pugile-pittore Artaserse Conti, detto Serse, personaggio controverso, che si divide tra l'amore per tela e pennelli e quello per il ring.

Non dobbiamo aspettarci, però, il classico racconto, con tanto di lieto fine alla Rocky, ma un vero e proprio viaggio, a tratti psichedelico, che spazia tra realtà e finzione e ci apre un mondo fatto di passione e creatività. Proviamo a saperne di più attraverso una intervista ai due registi, entrambi pittori, ma che da sempre si confrontano con diversi tipi di linguaggi.

 

 

Come nasce  il progetto Artaserse e qual è il punto di vista di fondo di questo lavoro?

 “Artaserse nasce dall'esigenza di raccontare Artaserse, un universo che abbiamo sempre avuto a portata di mano e che a nostro avviso andava in qualche modo cristallizzato e per certi versi consacrato.

Serse, la sua arte, e tutti i personaggi che ruotano attorno a lui, le periferie, i bar, i microcosmi in cui questo personaggio seguendolo riesce a portarti andavano documentati, cercando di rendere allo spettatore tutta la bellezza quotidiana e surreale che abbiamo vissuto in questo viaggio durato quasi quattro anni.

Il punto di vista di fondo è stato quello di raccontare una storia futuribile inserita nella vita vera di Artaserse, coinvolgendo i personaggi a lui vicini e portandoli ad interagire con attori professionisti

in una sorta di commedia dell'arte, con maschere e ruoli decisamente tipizzati, cercando di creare una favola all'interno della realtà”.

Si racconta la storia di un pugile, ma anche quella di un pittore, mischiando linguaggi diversi tra loro (onirico, grottesco, realistico). Come mai avete scelto registi linguistici così spiccatamente distanti tra loro?

“La missione, forse pretenziosa,  di cercare di costruire una favola all'interno della realtà ci ha portato a cambiare continuamente registro, oltre al fatto che quando lavori ad un progetto del genere impari che le aspettative che avevi prima di ogni giornata di riprese vengono completamente stravolte dai personaggi e dalle situazioni. È come fare rafting sulle rapide, un po' pui dare la direzione al gommone ma un po' devi assecondare il fiume. Inoltre i tre linguaggi che hai citato: onirico, grottesco, realistico sono forse i tre denominatori comuni che uniscono nella ricerca in primis noi come Versus, ma che poi ci accomunano perfettamente anche ad Artaserse.

In definitiva possiamo dire che il film è andato da solo verso questa direzione”.

Il film in quali canali distributivi sarà presente?

“Il film è distribuito da Premiere Film che sta lavorando sul canale festival, inoltre stiamo già programmando diverse presentazioni sul territorio nazionale. Partiremo doverosamente da Terni dove il film è nato ed è stato girato per poi toccare diverse città sul territorio nazionale nel 2020”.

Pittura e cinema in che modo si parlano tra loro e cosa volete raccontare allo spettatore?

“Siamo due artisti che amano utilizzare molti linguaggi diversi, ma paradossalmente, venendo entrambi dalla pittura, è come se ci portassimo sempre dietro tavolozza e pennelli in ogni mezzo espressivo che scegliamo. Ci è capitato spesso di concepire il film come un quadro durante la sua realizzazione e durante i nostri confronti sull’andamento delle riprese. Inoltre i nostri riferimenti artistici sono tutti molto borderline tra queste due arti; basti pensare a Fellini o allo stesso David Linch. Artaserse è come una serie di quadri animati che raccontano lui in primis, ma che sono anche delle vedute espressioniste della periferia italiana, delle caricature del mondo dell’arte in cui entrambi viviamo quotidianamente e dei ritratti di artisti che lottano e sopravvivono per e grazie alla loro arte”.

Come avete vissuto questa esperienza da registi?

“È la mia prima esperienza con un lungometraggio – afferma Carotti - ma ho già lavorato sia con Desiderio che da solo a corti e videoclip. Di certo un lungo spaventa molto all’inizio, sembra una montagna che non riuscirai mai a scalare ma alla fine, quando arrivi in cima, sei davvero felice di averlo fatto ma soprattutto di aver vissuto questa esperienza. È stata infatti un’esperienza bellissima prima di tutto, avvalorata dal fatto che oltre alla regia siamo stati operatori, montatori, runners e scenografi; abbiamo stabilito un contatto umano forte tra noi e con Serse, 

ci siamo scoraggiati e sorretti a vicenda e siamo riusciti a portare a termine il nostro personale piccolo miracolo”.

Per Desiderio, invece, Arteserse è il terzo lungometraggio “oltre a molti corti fatti tra un quadro e un altro. È il mio primo lungo fatto a quattro mani. Devo essere sincero: ho avuto molte perplessità all'inizio. Timore di non riuscire a trovare una quadra, mi sono dovuto ricredere. Una gestazione molto lunga durata diversi anni, quasi come fosse un kolossal. Un po' per le le varie cose e i nostri impegni tutto si riduceva a pochissime settimane estive per portare a case le riprese.. Un 'non senso' che in realtà ci ha permesso di stenderci e prendere i nostri ritmi e dato una visione complementare facendoci diventare le uniche due chiavi per realizzare un montaggio organico o quasi”.

Voi siete due artisti visivi, dove sta andando il mondo dell'arte e quali sono le difficoltà o le opportunità in Italia?

“Il mondo dell’arte, non solo in Italia, si muove di pari passo con il mercato. E volenti o nolenti siamo costretti a farci i conti. Questo film però ricorda, in primis a noi stessi, il vero motivo per cui facciamo arte, che è quello di meravigliarci e di emozionarci sempre e che si può essere veri artisti anche stando fuori da tutte le dinamiche imposte dalla società. Serse a nostro avviso racconta ancora questa favola.

Opportunità ce ne sono, basta lavorare sodo e con passione, ricordandoci sempre come monito quello che scrive Manuel Agnelli in Padania, pezzo degli Afterhours in colonna sonora che chiude il film: 'Se un sogno si attacca come una colla all’anima, tutto diventa vero, tu invece no'”.

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