Un racconto sull'uomo e "un invito a 'restare con i piedi per terra', un monito perentorio a riflettere sulla realtà della natura umana, a liberarsi dalla menzogna del mito e dalle pericolose insidie dell'illusione". Questo è Vanitas, nelle parole di Mario Brenta, che insieme a Karine de Villers ne firma la regia.  

Fin dalla sua apparizione sulla Terra, l'uomo si accanisce a voler dominare il mondo e trasformarlo a propria immagine, ma ne è di fatto sempre trasformato. Dopo la cacciata dal Paradiso Terrestre ha cercato ostinatamente di negare la propria appartenenza alla natura, rivoltandosi contro di essa, contro le cose, contro i suoi simili, contro persino i suoi stessi fratelli. Di qui, all'ombra della menzogna del progresso: guerre, distruzioni, sofferenze, schiavitù, follia. Una lotta senza fine che si ripete sempre uguale attraverso i secoli e le generazioni, tra desiderio e realtà, tra realtà e illusione.

Ma come è nata l'idea di un film come Vanitas?

"È nata - almeno per quanto riguarda un interesse, un'intenzione - su delle immagini fotografiche piuttosto che cinematografiche raccolte in un luogo un po' particolare che eravamo stati invitati a visitare nell'isola greca di Leros in occasione della presentazione di una rassegna dei nostri lavori precedenti", racconta Brenta.

"Nato all'origine come caserma di un'unita dell'Aeronautica Militare Italiana di stanza nel Dodecaneso, nel secondo dopoguerra era stato trasformato in ospedale psichiatrico e, in epoca più recente, in luogo di confino per i detenuti politici durante il regime dei Colonnelli. Da ultimo si è trovato ad ospitare migranti e rifugiati in un campo di raccolta allestito in massima parte nel parco circostante dove sono ricomparsi, in alcuni piccoli edifici sparsi tutt'intorno, piccoli gruppi isolati di malati mentali".

Il film si apre con l'immagine di un'alga, forma elementare di vita, a cui si contrappone l'arrivo dell'uomo sulla terra, la sua cacciata dal Paradiso terrestre e la sua costante volontà di cambiare e trasformare ciò che lo circonda, in una eterna lotta contro la natura e, di conseguenza, contro se stesso.

"La vanità delle vanità, l'eterna illusione si ripresenta nella sequenza finale del film dove il parco di un ex-ospedale psichiatrico è trasformato in una sorta di palestra all'aperto in cui l'umanità più varia si ritrova accomunata in un perpetuarsi di pratiche ginnico-sportive votate ad una forsennata quanto vana cura del corpo nel patetico tentativo di fuggire al proprio destino di esseri mortali. Per una sorta di beffarda ironia, il luogo di cura della follia si trasforma nel luogo della follia dell'illusione, del sempre vagheggiato ritorno al giardino dell'Eden, al Paradiso Perduto e mai più ritrovato", conclude il regista.

 

Vanitas (Italia 2020)

Regia: Mario Brenta e Karine de Villers

Fotografia: Mario Brenta

Montaggio: Karine de Villers

Post-produzione: Francesco e Alessandro Tedde - Antropotopia

Produzione: Francesco e Alessandro Tedde – Antropotopia

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