di Mariavittoria Orsolato

Il fatto che oltre dodici milioni di italiani ogni lunedì si sintonizzino su Rai1 per guardarsi “il più grande spettacolo dopo il weekend”, di questi tempi è qualcosa di sociologicamente indicativo. Nelle tre puntate trasmesse finora è riuscito a non scendere sotto la soglia del 40% di share, con numeri da plebiscito che rallegrano i dirigenti Rai e sembrano dare un attimo di respiro ai conti del servizio pubblico: si parla di introiti pubblicitari prossimi a un milione e mezzo di euro a puntata, e di questi un terzo rappresenta il valore aggiunto legato al solo Fiorello.

Probabilmente a causa dell’indigestione di nani e ballerine, il ritorno di Rosario Fiorello a viale Mazzini ha catalizzato l’attenzione di un pubblico ormai sfinito dalla realtà urlata della millesima edizione del Grande Fratello, ed evidentemente voglioso di essere accompagnato nella gradevolezza della finzione. Perché il programma dell’ex codino più famoso d’Italia - Roberto Baggio non ce ne voglia - altro non è che una rivisitazione nemmeno troppo corretta del fu glorioso varietà Rai:  uno spettacolo nazionalpopolare che al suo istrione alterna ospiti di spicco, momenti canori e comicità decisamente politically correct. Fiorello, ormai unico nello sterminato panorama televisivo italiano, riesce a giostrare con maestria un colossale amarcord e regala agli spettatori uno sguardo nostalgico ai tempi che oggi sono universalmente riconosciuti come più austeri, costumati e ovviamente più felici.

Il volto rassicurante dello showman siciliano, unito alla garbata prevedibilità di un format che definire “tradizionale” è un eufemismo, sta di certo alla base del successo strepitoso di “ilpiùgrandespettacolodopoilweekend”. In più di due ore di diretta tutto fila come dovrebbe, non ci sono momenti critici - nel senso che non ci sono né sorprese, né occasioni di riflessione - tutto è immediato, tutto è emozione, tutto è puro e semplice intrattenimento. Senza pretese ma con qualche indubbio filtro. Primo tra tutti quello dello stesso Fiorello, che riduce gli ospiti a semplici spalle e che nel suo timido tentativo di fare quella satira ormai scomparsa dalla Rai, viaggia col freno a mano tirato.

Di questo se ne sono accorti in molti, a cominciare da Sabina Guzzanti che su Twitter - social network neo eletto luogo deputato alle diatribe tra VIP - ha definito lo show “noioso” beccandosi per tutta risposta un “rosicona” dal diretto interessato, che ha talmente preso sul serio l’incidenza popolare di Twitter da titolare il suo titolo con un hashtag. Attacchi sono arrivati anche dallo scrittore Fulvio Abbate che ne ha criticato il tasso di correttezza politica, troppo vicino al neutro, definendolo “San Fiorello da Valtur” e accusandolo di scimmiottare un “Bagaglino dal volto umano”.

Dall’altra parte, quella degli entusiasti dirigenti Rai, Lei in primis, si sottolinea la superlativa professionalità di Fiorello. Uno showman in grado di attirare sia quello che potremmo definire un pubblico “colto e raffinato” che la più vasta platea “nazionalpopolare” proprio in virtù della sua maestria di intrattenitore, di personaggio completo che agilmente alterna qualità canore e comiche riuscendo a dialogare col pubblico con toni brillanti.. Un Walter chiari del 21° secolo, come lo ha definito il mentore Maurizio Costanzo, che possiede il taumaturgico potere di donare spensieratezza e allontanare - seppur per poco - la problematicità che invade il vivere odierno.

Così non si può far altro se non pensare che l’Italia di Fiorello assomigli fin troppo all’Italia di questa “nuova era” Monti: un’Italia vecchia, docile e assolutamente immobile. Professionale, certo, impeccabile nel suo ruolo, ma inevitabilmente stantia. Dove ai giovani non resta che imitare i vecchi e sperare che, come in quello studio, il passato possa rivivere. Dove le lungaggini diventano atmosfera, la noia concentrazione e le banalità si trasformano in memoria storica. E la crisi, per qualche ora, non si sente più.

 

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