di Mariavittoria Orsolato

Gennaio, si sa, è da sempre un mese di bufere per viale Mazzini. Alla scadenza dei termini per il pagamento dell'odiatissimo canone Rai - tassa maldigerita da una larghissima fetta della popolazione - si aggiunge la sempiterna polemica sui cachet a cinque zeri del Festival di Sanremo e, a dimostrazione di come in Italia non esista nessuna discontinuità rispetto al passato recente, arriva puntualmente l'ennesima polemica, in questo caso tutta politica. Nella serata dello scorso martedì, il consiglio di amministrazione si è riunito per decidere le nomine di due ghiotte e importanti poltrone, dando il via libera alla nomina di Alessandro Casarin ai Tg regionali e a quella di Alberto Maccari alla guida del Tg1.

Un'operazione dovuta dopo l'allontanamento di Minzolini - rinviato a giudizio con l'accusa di peculato per la storiaccia delle carte di credito aziendali, usate con nonchalance per pagare conti personalissimi - ma che in sostanza conferma l'interim dato lo scorso dicembre all'ex direttore della Tgr, rimasta anch'essa con la direzione vacante. Due nomine che in realtà non cambiano nessuna carta in tavola dal momento che entrambi sono stati confermati nella loro attuale posizione, ma la polemica si concentra sulla modalità con cui i due giornalisti sono stati designati: per la prima volta nella storia della Rai, la carica di direttore di testata è stata decisa e avallata solo da una parte del Consiglio di amministrazione, in questo caso dal centrodestra.

Guglielmo Rositani, Angelo Maria Petroni, Giovanna Bianchi Clerici, Alessio Gorla e Antonio Verro hanno votato a favore, quest'ultimo addirittura dimettendosi da parlamentare Pdl per evitare le accuse di incompatibilità con la carica ricoperta in Rai. Hanno invece votato contro sia il presidente Paolo Garimberti che i consiglieri di centrosinistra (Nino Rizzo Nervo e Giorgio van Straten) e il consigliere di area Udc, Rodolfo de Laurentiis, rendendo un quadro che vede la Lega e il Pdl in sostanziale accordo nonostante i ripetuti pubblici strali.

Nonostante la direttrice generale Lei rivendichi “piena autonomia” sulle proprie scelte, Casarin diventa direttore in quota Lega mentre Maccari, vicino all'area berlusconiana, ha dribblato il pensionamento previsto proprio per il 31 gennaio e si è visto rinnovare il contratto fino al 31 dicembre 2012; questo sebbene il codice di autoregolamento del Cda, ratificato poco meno di due anni fa, vieti esplicitamente di affidare direzioni a dipendenti prossimi alla pensione.

Il primo a protestare è stato il presidente Garimberti che, nonostante il 6 dicembre avesse votato a favore dell'interim di Maccari, sperava in un blitz che portasse a Saxa Rubra il direttore del Messaggero Mario Orfeo, oppure l’editorialista della Stampa Marcello Sorgi. Un piano, secondo alcune voci, condiviso con il consigliere in quota Pd Nino Rizzo Nervo che, a seguito della votazione, si è dimesso clamorosamente dal Consiglio di amministrazione.

Nervo ha annunciato le sue dimissioni con due lettere: una a Garimberti e una al presidente della Commissione di Vigilanza Sergio Zavoli. Al presidente Rai ha scritto: “Giudico quanto è avvenuto l’ultimo scriteriato atto di una gestione aziendale condizionata da logiche di parte che sta spingendo l’azienda verso un rapido declino.

Ho più volte denunciato - si legge nel testo - anche in Consiglio la gravità della situazione e ti do atto degli sforzi che hai compiuto in questi anni per preservare l’autonomia delle decisioni e per tutelare gli interessi aziendali. Auguro alla Rai di poter presto riconquistare l’autorevolezza e la credibilità perdute”.

Insomma anche in quella che dovrebbe essere la rinnovata era Monti, il detto che per capire qualcosa della politica nostrana bisogna guardare in Rai, si conferma in tutta la sua poco consolatoria semplicità. Nonostante tutto il folclore padano, le pernacchie di Bossi e i distinguo di Maroni, appare chiarissimo che Pdl e Lega sono ancora alleati di ferro, e che non appena sarà archiviata l'esperienza del governo tecnico si ripresenteranno insieme alle elezioni politiche (ma probabilmente già dalle prossime amministrative l'alleanza verrà riproposta).

Non era difficile da intuire, e stupisce che tanti elettori del Nord non se ne siano ancora resi conto: la Lega è un cane che abbaia ma non morde; soprattutto non morde il potente, per quanto ormai defilato, padrone di Arcore.

Resta poi ancora da capire se il premier Monti darà seguito a quanto annunciato in una delle sue ormai ubique apparizioni televisive. Nonostante poco prima avesse definito la questione Rai come non prioritaria per l'azione del Governo, ospite di Fabio Fazio dieci giorni fa, aveva ventilato possibili azioni di riforma a viale Mazzini nel prossimo futuro.

Che queste vengano incontro alla richiesta di eliminare per lo spoil system di bandiera che da anni inevitabilmente ammorba l'amministrazione e la qualità della tv di Stato potrebbe anche essere possibile, ci si augura solo che al posto dei politici non subentrino i tecnocrati perché, come si è ormai avuto modo di constatare, tra le due figure, in termini di risultati, non passa molta differenza.

 

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