di Mariavittoria Orsolato

E' un Biscione in agonia quello che in questi giorni si vede a Cologno Monzese. A fronte del crollo delle azioni in borsa, dei pessimi risultati con la raccolta pubblicitaria e, non ultimo, del recente e drastico piano di tagli, è evidente che Mediaset sta affrontando un crisi ben peggiore rispetto alle dirette concorrenti. Una crisi che, pare, rischia di stravolgere anche gli assetti proprietari dell'impero berlusconiano, con Confalonieri che spinge per l'allontanamento di Pier Silvio dalla dirigenza in favore di un pool tecnico in grado di risanare conti e palinsesti. Ma andiamo per ordine.

Il 2012 di Mediaset era già cominciato male: i dati di bilancio per il 2011 si chiudevano con solo 225 milioni di euro di profitti - vale a dire un clamoroso 36% in meno rispetto agli anni precedenti - segnando il record negativo di performance per l'azienda di Cologno Monzese. Per correre ai ripari il CdA deliberava a marzo un drastico taglio dei dividendi agli azionisti, portandoli da 36 a 10 centesimi di euro ad azione, ma faceva crollare contestualmente il titolo in borsa, sospeso dalle contrattazioni per eccesso di ribasso il 22 marzo. I danni maggiori si erano però registrati nell'ultimo trimestre del 2011 quando, probabilmente anche per effetto delle dimissioni da premier, la pubblicità sulle sue tv è andata a picco registrando un preoccupante -10%.

Il primo semestre dell’anno ha fatto poi registrare una calo nei ricavi, che sono passati da 2,253 miliardi di euro agli 1,999 miliardi attuali rispetto allo stesso periodo del 2001, con una perdita del 12,2% e una diminuzione dell'utile pari al 73,5% in meno rispetto ai 12 mesi precedenti. E anche i ricavi di Mediaset Premium derivanti dalla vendita di carte, ricariche e abbonamenti hanno subito una flessione notevole rispetto allo scorso anno.

Milioni di euro bruciati dunque e, per metterci una pezza, la dirigenza Mediaset ha varato una lista di tagli da 250 milioni di euro, operativa dal 4 agosto, per ridurre gli attuali costi aziendali e di produzione. Il  primo atto del nuovo “piano di efficienza” è stata la dismissione della storica casa di produzione interna, la Videotime, con cui si è voluto scorporare un importantissimo ramo produttivo dell'azienda per farlo confluire in una newco di proprietà terza; con buona pace dei 74 lavoratori di Palazzo dei Cigni che, come extrema ratio, hanno addirittura pubblicato un'accorata lettera dalle colonne de La Repubblica, strizzando l'occhio alle nemesi De Benedetti.

Ma gli operatori di ripresa e i montatori non sono gli unici a rischio in Mediaset. I deludenti risultati con la raccolta pubblicitaria hanno indotto i dirigenti a credere che i palinsesti siano completamente da rivoluzionare e anche tra i volti noti del piccolo schermo ci sono contratti a rischio e/o cachet da ridimensionare, soprattutto nelle testate giornalistiche. Il conduttore di Matrix Alessio Vinci, ad esempio, si è visto spostare il programma alla seconda serata della domenica e anche la direzione del Tg5 pare essere in forse.

Gli ascolti del telegiornale di Canale 5, in particolare l’edizione delle 20, stanno andando a picco con uno share medio che si aggira attorno al 16%: per provare a recuperare terreno dallo scorso 30 luglio Clmente J Mimun, ha strappato un quarto d'ora al quiz preserale per collocare le anticipazioni che su La7 hanno fatto (pare) la fortuna del tg di Enrico Mentana. Ma per i fatturati di Mediaset questo potrebbe non essere abbastanza e già si vocifera di un probabile avvicendamento pre-elettore alla direzione della testata, con il clamoroso ritorno di Augusto Minzolini.

Molto più spinosa, invece, la questione inerente i vertici dell'azienda. Secondo le voci che corrono a Cologno Monzese, i manager del gruppo, sostenuti da Fedele Confalonieri, sarebbero sempre più decisi a chiedere il passo indietro di Pier Silvio Berlusconi, colpevole, a loro avviso, di aver operato le scelte sbagliate che hanno condotto il Biscione sull'orlo del baratro finanziario. Crollo della pubblicità e calo degli ascolti sono gli elementi certi della crisi ma, secondo il rampollo di Berlusconi, le scelte operate sono state l'inevitabile risposta alle richieste dettate dal mercato.

Probabilmente un tentativo di autoassoluzione quello di Pier Silvio, che vuole evitare a tutti i costi sia l’intervento del padre sia quello della sorella maggiore: Marina sarebbe infatti frustrata dal raggio d’azione limitato di cui dispone, ristretto all’area di Segrate, e punta a sbarcare a Cologno Monzese con tutti i crismi dell’ufficialità. Ma non è una cosa facile, sono troppe le variabili da dover prendere in considerazione: dagli asset di famiglia ai rapporti di forza fra i Berlusconi di primo e di secondo letto. Senza dimenticare che il padrone del vapore rimane sempre e comunque lui, papà Silvio.

 

 

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