di Antonio Rei

Tra Berlusconi e Berlusconi, anche stavolta ha vinto Berlusconi. E' questo il sospetto che emerge dallo strano caso La7. Lunedì il Cda di Telecom Italia ha deciso di vendere la rete trattando in esclusiva con l'editore Urbano Cairo (che avrà due settimane di tempo per presentare l'offerta definitiva), un uomo la cui storia professionale è iniziata e proseguita all'ombra del Cavaliere. Il grande sconfitto è il fondo Clessidra di Claudio Sposito, che ha fra i suoi principali investitori - udite e udite - la famiglia Berlusconi. Non è stata nemmeno presa in considerazione, invece, la proposta arrivata lo scorso fine settimana da Diego Della Valle, patron della Tod's, che aveva chiesto più tempo per mettere insieme una cordata italiana.

Ed è proprio il tempo il punto centrale di questa vicenda. Visto che le trattative andavano avanti ormai da otto mesi, per quale ragione il Cda ha deciso di chiudere in fretta e furia proprio questa settimana, guarda caso a sei giorni dalle elezioni?

"Il messaggio che abbiamo voluto dare è che la politica non entra nel Cda di Telecom. Abbiamo preso una decisione prima delle elezioni nel solo interesse dell'azienda", ha spiegato al termine della riunione Tarak Ben Ammar, consigliere indicato da Generali (ovvero da Mediobanca), ma anche ex consigliere di Mediaset e attuale socio di Berlusconi (che attraverso una controllata di Fininvest possiede il 22% della “Quinta Communications” di Ben Ammar).

"La proposta di Della Valle è arrivata tardi - ha spiegato ancora l'imprenditore franco-tunisino -. Aveva la possibilità di farsi avanti da giugno scorso, era stato contattato. Ormai l'interesse non basta, non sarebbe bello, visto che il processo va avanti da otto mesi".

A sentire Ben Ammar sembrerebbe che Della Valle sia stato escluso per una questione di educazione. Una vera assurdità quando si parla di business, anche perché Telecom Italia è strangolata dai debiti e avrebbe avuto tutto l'interesse ad ascoltare quante più offerte possibili prima di prendere una decisione. Se alla fine il signor Tod's avesse messo sul piatto una proposta migliore di quelle arrivate da Cairo e Clessidra? Non lo sapremo mai. Né noi, né i creditori e gli azionisti di Telecom.

Ci sono poi almeno altri due dubbi di cui tenere conto. "La7 sarebbe affidata all'editore Cairo priva delle frequenze che le sono state assegnate dallo Stato (i famosi multiplex, ndr), che resterebbero a Telecom, così come Mtv - si legge in un comunicato congiunto dei giornalisti de La7 e della Federazione nazionale della stampa italiana . Uno spacchettamento anomalo, su cui dovranno pronunciarsi le autorità di vigilanza".

Il secondo interrogativo è legato al primo: perché mai Cairo ha deciso d'impelagarsi in un affare che garantisce solo perdite (La7 è in rosso di 100 milioni l'anno) senza nemmeno puntare ai multiplex, che in prospettiva rappresentano l'unico asset redditizio? Eppure l'editore è già concessionario pubblicitario della rete, quindi nessuno meglio di lui conosce le prospettive fosche del mercato.

Inevitabile quindi sospettare che il vero obiettivo sia spingere La7 - che ha fatto perdere a Mediaset audience e raccolta pubblicitaria molto più della Rai - verso l'area di gravitazione berlusconiana. L'editore ha iniziato la sua carriera come assistente del Cavaliere nel gruppo Fininvest, è stato direttore commerciale e vice direttore generale di Publitalia '80 e amministratore delegato della Arnoldo Mondadori Editore pubblicità. Solo nel 1995 ha fondato il gruppo che da lui prende il nome.

A guardare le cose da questa prospettiva, la fretta del Cda Telecom diventa improvvisamente più comprensibile. Con il cambio di governo, infatti, cambieranno forse anche i vertici delle authority pubbliche a cui è richiesto di controllare l'operazione La7 (Antitrust e Agcom).

Il dubbio deve essere venuto anche al segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che ieri ha dato il via a un gustoso siparietto con queste parole: "Siamo in una settimana cruciale e io tendo a ragionare come se fossi già al governo. Devo preoccuparmi che le decisioni vengano prese senza conflitti d'interesse, senza costruire in modo diretto o indiretto posizioni dominanti. C'è un tavolo delle regole e c'è un tavolo industriale. Non so se Cairo sia collegato a Mediaset. Ci sono delle autorità che si occupano di queste cose".

Il Cavaliere non l'ha presa bene: prima ha detto di "non avere più alcun rapporto con Urbano Cairo", poi ha definito quello del leader del Pd "un messaggio, fra virgolette, mafioso, come a dire 'aspettate a vendere perché se andrò al governo La7 varrà di più'. E' il vecchio vizio della sinistra di essere minacciosa con gli avversari". Ma se davvero Berlusconi non ha più nulla a che vedere con Cairo, quali sarebbero gli "avversari" da "minacciare"?

"Non si può dire niente che subito si offende, le regole gli fanno venire l'orticaria - ha controreplicato Bersani - . Ho parlato di regole che riguardano eventuali conflitti d'interesse e posizioni dominanti. Il governo e le authority devono avere gli strumenti per verificare che ogni operazione sia a posto".

Alla fine, però, Berlusconi si è lasciato andare a un inatteso slancio di spontaneità: "Purtroppo per me - ha detto - La7 ha una serie di trasmissioni d'approfondimento politico condotte quasi tutte da personaggi che stanno a sinistra. E quindi con l'avvento di Cairo ho una speranza che diventi meno di sinistra". Non male per uno che accusa gli altri di mafia, "fra virgolette".



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