Il 9 maggio di ieri e di oggi

di Fabrizio Casari

Per celebrare l’80º anniversario della Grande Vittoria, ignorando le minacce di Kiev, sono arrivati al Cremlino presidenti, ministri e ambasciatori di 22 paesi, in rappresentanza di oltre il 60% della popolazione mondiale. Tanto la loro presenza quanto l’assenza di chi ha voltato le spalle alla storia hanno un preciso valore politico. Mosca ha mostrato una dimostrazione di forza militare e...
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Migranti, la dottrina Trump

di Mario Lombardo

Un giudice federale americano è dovuto intervenire nuovamente questa settimana per imporre all’amministrazione Trump il rispetto di un ordine che aveva già emesso nel mese di aprile al fine di fermare le deportazioni illegali di immigrati negli Stati Uniti verso paesi autoritari o in stato di guerra. L’ingiunzione è solo l’ultima in ordine di tempo delle numerose arrivate nei giorni scorsi. Svariati tribunali del paese hanno preso di mira quelli che appaiono a tutti gli effetti come rapimenti da parte delle forze di polizia, seguiti dal confinamento in veri e propri lager e dall’espulsione senza il minimo rispetto delle procedure legali e dei diritti costituzionali. Il giudice distrettuale Brian Murphy del tribunale di Boston ha...
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di Rosa Ana de Santis

Prima della guerriglia del gennaio 2010 sembrava che gli schiavi delle arance fossero sbucati dalla terra come spettri. All’improvviso. Braccati dai padroncini, rinchiusi nei capannoni della malavita, stipati come animali. Gli africani allora scesero nelle piazze denunciando il loro sfruttamento e le spietate regole del capolarato. Basta farsi un giro oggi a Rosarno per capire che nulla è cambiato. Si viene pagati a giornata o a cassetta per avere la schiena china sulla piana di Gioia Tauro. Si ottengono 20/25 euro al massimo per 10 ore di lavoro e più, senza alcun servizio di alloggio. Braccianti senza casa, senza servizi igienici, stritolati dalla malavita.

Nei giorni dei cortei di fuoco si era invocata la lotta alla clandestinità, nel cuore di una Rosarno esasperata dove era più facile per tutti colpire gli stranieri piuttosto che denunciare la malavita che sui lavoratori stranieri aveva costruito l’ennesimo affare, nel silenzio delle Istituzioni.

L’Ispettorato del Lavoro si è visto giusto nelle settimane della rivolta, poi niente. Cinque ispettori su tutto il territorio della provincia sono davvero pochi e le ispezioni non vanno avanti. I sindacati, CGIL compresa, non hanno saputo fare molto altro che non azioni di vertenze individuali, ma la responsabilità maggiore è delle Istituzioni che non hanno pensato a servizi di alcuna natura per questi lavoratori stranieri e che continuano ad ignorare la simbiosi ormai permanente tra clandestinità, malavita e territorio.

Era accaduta la stessa cosa dopo la strage di Castel Volturno del settembre 2008 e l’uccisione di sei africani e un italiano da parte della camorra. Anche lì l’intervento dello Stato, minimo e superficiale rispetto alla questione della malavita, manifestatosi con la repressione poliziesca del Viminale tutta estemporanea e scenografica, era servito a scaricare sui clandestini e gli stranieri la colpa del disagio, del degrado e dell’insicurezza ottenendo il solo di fine di esasperare la convivenza con gli italiani.

Il sindaco di Castelvolturno è il miglior rappresentante di questa strategia politica che preferisce parlare dell’invasione straniera piuttosto che della camorra. Il razzismo e la paura degli stranieri sono diventati sempre di più strumenti comodi e facili all’uso per un governo che nei fatti non sa come fare per scongiurare, in special modo in alcuni punti critici del territorio, il rischio banlieue.

Le “polveriere” a rischio sarebbero Foggia, Siracusa, Caserta e tutta la Piana di Gioia Tauro. La combinazione di clandestinità e lavoro nero, sfruttamento e malavita, il tutto unito ai mali endemici del nostro Mezzogiorno, sono la causa del disordine e dell’incertezza che va diffondendosi nel territorio e nella società.

Non c’entra la nazionalità, non c’entra l’afflusso di stranieri che invece a quelle economie serve e come. Ma serve così, a queste condizioni. Silenziosi, vessati, anonimi e invisibili. La clandestinità è la garanzia di un mercato prolifico per i mafiosi di casa nostra, un meccanismo efficiente che lo Stato non ha voglia di sbrogliare e che per ora pagano sulla pelle questi lavoratori. Tanto è nera, dirà qualche nostalgico.

Alla prima rivolta di rivendicazione e diritto rimane la scappatoia di chiamarli clandestini in tv e sui giornali, utilizzando le paure collettive e occultando la verità. Quel marcio che la parata di qualche volante mandata dal Viminale dopo i fatti di sangue non basta nemmeno a disturbare. E’ in questo modo che quelle immagini di cassonetti alle fiamme e di strade ridotte a trincee da barricate improvvisate non potranno mai diventare il simbolo di una denuncia sacrosanta contro la mafia e per i diritti, perché quei lavoratori non ne possiedono alcuno. Non sono cittadini, non esistono per nessuno se non per chi li usa come schiavi. Così quando la polveriera esplode, come a Rosarno, nemmeno muoiono, né spariscono. Perché morti lo sono già.

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Il terrorismo contro Cuba
a cura di:
Fabrizio Casari
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Gaza, il piano dello sterminio

di Mario Lombardo

La risoluzione approvata lunedì dal gabinetto israeliano del primo ministro/criminale di guerra, Benjamin Netanyahu, ha tutto l’aspetto di una soluzione finale al “problema” palestinese nella striscia di Gaza. Occupazione militare permanente, espulsione o confinamento degli abitanti in campi di concentramento,...
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