Israele e l’equazione iraniana

di Michele Paris

L’attacco iraniano sul territorio di Israele è stato un evento di portata storica e potenzialmente in grado di cambiare gli equilibri mediorientali nonostante le autorità dello stato ebraico e i governi occidentali stiano facendo di tutto per minimizzarne conseguenze e implicazioni. I danni materiali provocati da missili e droni della Repubblica Islamica sembrano essere stati trascurabili,...
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FISA, sgambetto al “deep state”

di Mario Lombardo

La spaccatura tra le due principali correnti del Partito Repubblicano americano si è aggravata questa settimana con la clamorosa bocciatura alla Camera dei Rappresentanti di Washington di un provvedimento collegato a uno degli aspetti più controversi delle attività di sorveglianza e intercettazione delle comunicazioni elettroniche da parte dell’intelligence USA. Dopo l’appello lanciato dall’ex presidente Trump alla vigilia del voto in aula, diciannove deputati della destra “libertaria” si sono infatti uniti mercoledì ai colleghi democratici per affondare la legge già nella fase iniziale del suo iter legislativo. La vicenda riguarda l’ultra-controversa “Sezione 702” della legge del 1978 sulle intercettazioni delle...
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di Tania Careddu

Rimborsi elettorali, finanziamenti ai gruppi parlamentari e regionali, soldi per i loro media. Cosa non si fa per la democrazia, della quale i partiti ne sono l’espressione. In barba alla crisi. Dal 1994 a oggi, lo Stato ha erogato oltre due miliardi di euro di rimborsi elettorali. Troppi, non solo obbiettivamente ma anche rispetto a quelli effettivamente necessari. Tant’è che le spese accertate in questi anni, secondo quanto si legge nel minidossier di Openpolis "Sotto il materasso", si attestano intorno ai settecentoventisei milioni, facendo incassare ai partiti il 34 per cento in più di quello che hanno, conti alla mano, realmente speso.

Uno per tutti: nel 2001 lo Stato ha sborsato quattrocentosettantasei milioni di euro a fronte di una spesa accertata di soli quarantanove milioni. Un surplus, in gergo tesoretto, che è tornato molto utile alle elezioni del 2013. Con un dettaglio, però: che lo Stato, per quella tornata elettorale, i soldi li ha sborsati comunque. Eppure ce l’avrebbero potuta fare anche senza. Perché, considerate le riduzioni apportate dalla riforma del 2012, i partiti hanno iniziato a organizzarsi diversamente per non ritrovarsi in brache di tela.

Oltre ad aver ridotto le loro spese accertate, hanno incominciato a utilizzare altre formule. Che hanno permesso loro di raccogliere il 20 per cento dei soldi da contributi di persone fisiche o giuridiche. Con una dotazione, accumulata nel corso degli anni in cui tutto era lecito, pari a trenta milioni di euro da poter usare per la campagna elettorale. In ogni caso, nulla va sprecato: dopo ognuna di queste, i partiti si spartiscono il malloppo. Fra centrodestra e centrosinistra, principalmente.

Quest’ultima, del 2001 a oggi, risulta essere l’area politica che, grazie alle tornate elettorali nazionali, ha incassato più soldi. Oltre quattrocentottantadue milioni di euro versus i quattrocentotrenta del centrodestra, i centocinquantatre della destra e i settanta della sinistra. Si potrebbe tirare un sospiro di sollievo, alla luce della nuova legge che, dal 2014, abolisce il finanziamento pubblico per le consultazioni elettorali. Illusorio perché, in un solo anno, tramite i ‘contributi istituzionali’, i partiti politici hanno incassato più o meno la stessa cifra che hanno raccolto in due anni di rimborsi elettorali. E sia chiaro: sempre di soldi pubblici si tratta. Che Camera e Senato hanno elargito nel corso di questi anni.

Nel 2013, per esempio, i gruppi parlamentari hanno messo nelle loro casse oltre trentotto milioni di euro e i gruppi consiliari regionali quasi trenta. Degli oltre quaranta milioni messi da parte nel 2013, fra contributi del Parlamento e non, quasi quindici sono rimasti come avanzo di gestione. Spese personali incluse, note all’opinione pubblica, nonostante le somme che ricevono siano vincolate a scopi istituzionali. Tipo attività politiche, funzioni di studio, funzionamento della struttura, trattamenti economici del personale, comunicazione ed editoria.

Ma quotidiani, periodici e radio, in quanto organi di partito, ricevono, già autonomamente, un sostegno economico. Ed è consistente: in dieci anni, dal 2003 al 2013, è stato più o meno pari a trecentoquaranta milioni di euro. Così suddivisi: duecentocinquantadue ai giornali e novantadue alle radio. Ad usufruirne diciannove. Sul podio LUnità che ha intascato sessanta milioni, a seguire La Padania con trentasette e Liberazione con trenta. Poi Europa e Il Secolo d’Italia, che insieme alla prime due testate, hanno continuato a sfruttare questa possibilità, anche dopo le restrizioni imposte dallo Stato.

Sei le radio: in testa, Radio Radicale con un incasso pari a trentasette milioni, sebbene nell’ultimo biennio non abbia ricevuto fondi, seguita da EcoRadio con ventisette milioni e da Radio Città Futura con diciasette.

Eppure il 77,8 per cento dei giornali ha chiuso i battenti, stampa ancora solo il 16,67 per cento e il 5,56 per cento sopravvive solamente in versione on line. Meglio le radio: l’83,33 per cento trasmette ancora mentre il 16,67 per cento no. Chissà se con l’ultima trovata del 2x1000, introdotta nel 2014, dopo le misure adottate dal Governo Letta per l’abolizione delle spese per le consultazioni elettorali, dei contributi pubblici erogati per l’attività politica e a titolo di cofinanziamento, i partiti riusciranno ad autofinanziarsi. E a non fallire.

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