Trump-GB, sudditi e complici

di Mario Lombardo

L’accoglienza con tutti gli onori riservata nel Regno Unito al presidente americano Trump contrasta fortemente con le proteste che stanno accompagnando la sua seconda visita di stato in questo paese dopo quella, altrettanto controversa, del 2019. La stampa ufficiale, nell’analizzare la trasferta di due giorni dell’inquilino della Casa Bianca, ha insistito sulla distanza presumibilmente...
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Kirk: dall’omicidio alla repressione

di Michele Paris

L’assassinio di settimana scorsa in un campus universitario dello Utah dell’attivista trumpiano di estrema destra, Charlie Kirk, sta diventando la giustificazione per una nuova stretta repressiva dei diritti democratici in America e di un’autentica caccia alle streghe tra gli oppositori dell’amministrazione repubblicana. Senza attendere dettagli più precisi sugli (eventuali) orientamenti politici e sulle motivazioni del presunto responsabile, il 22enne Tyler Robinson, molti esponenti del partito del presidente e membri del suo stesso governo lo hanno classificato come un “radicale di sinistra”, denunciando automaticamente il dilagare della violenza negli Stati Uniti per opera di individui riconducibili a questi ambienti. È...
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di Tania Careddu

Non si conoscono le cifre esatte. Ma basti sapere che sono ottomila nella Repubblica Democratica del Congo, intorno ai sedici mila in Sud Sudan e circa dieci mila nella Repubblica Centrafricana. Il 40 per cento sono bambine. Minori sotto i diciotto anni, usati come soldati nei conflitti di tutto il mondo. Nello Yemen, in Somalia, in Nigeria e in Siria. Vengono utilizzati dalla forze armate in vari modi: combattenti, cuochi, facchini, messaggeri, spie, informatori, guardie ai posti di blocco o in altri luoghi strategici. Alcuni sono soldati a tutti gli effetti, altri sono adoperati come portatori di munizioni o vettovaglie.

Le armi automatiche e leggere hanno reso più facile l’arruolamento dei bambini e il perdurare dei conflitti sempre più urgente trovare nuove reclute per rimpiazzare le perdite. Già a dodici anni subiscono l’addestramento militare e la proliferazione di gruppi armati e l’avanzamento militare dell’ISIS, soprattutto in Iraq e in Siria, stanno portando i minori a essere sempre più vulnerabili al reclutamento.

Non chiedono paghe, sono più indottrinabili di un adulto e, certamente, più controllabili. Affrontano il pericolo con maggiore incoscienza, attraversando campi minati e intrufolandosi nei territori nemici. Puniti in modo severo per gli errori, la tentata ribellione può portare agli arresti quando non a esecuzione sommaria.

La maggioranza dei bambini soldato proviene da situazioni economiche o sociali svantaggiate e di lontananza dalle famiglie. Sono spesso orfani, figli di single o rifugiati non accompagnati. Oppure vivono nei campi profughi. Vittime di una grande incertezza, sono alla mercé dei gruppi armati. A volte, volontariamente. Per sopravvivere, per la fame o per la necessità di protezione.

Credendo alla promessa, magari, di “ricevere un’istruzione, di diventare potenti e rispettati”, racconta Wani, un ex bambino soldato, a Intersos. Oppure per rivendicare atrocità commesse contro i propri familiari. E anche di fronte alla possibilità di fuggire, ad alcuni, il “legame distorto” che si è creato con la milizia, rende immobili. Per la paura di perdere quel “senso di appartenenza” conquistato con l’arruolamento.

“Non possiamo aspettare la pace, per aiutare i bambini intrappolati nelle guerre. Dobbiamo investire in interventi concreti per tenerli lontani dalle linee di combattimento, soprattutto attraverso l'istruzione e il sostegno economico. Dobbiamo ricordarci che sono anche queste le situazioni da cui tanti bambini e adolescenti fuggono per cercare protezione in Europa”, afferma il Presidente dell’UNICEF Italia, Giacomo Guerrera. Che prosegue: “Fino a quando queste gravi violazioni continueranno, la comunità internazionale non avrà onorato la sua promessa di porre fine, una volta per tutte, al reclutamento e all'impiego di bambini nei conflitti armati”.

Complessivamente, l’UNICEF, nel 2015, ha assicurato il rilascio di oltre diecimila minori da eserciti regolari o da gruppi armati e ottomila di loro li ha inseriti in un progetto di reintegrazione. Che, nella Repubblica Centrafricana, è portato avanti da Intersos: accolti in un centro minorile, gli ex bambini soldato vengono reinseriti a scuola e nelle comunità, riunificati alle loro famiglie o affidati a famiglie generose. Per deporre le ultime, residue, armi della violenza dell’indifferenza.

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