Dopo mesi di opposizione alla ratifica dell’ingresso della Svezia nella NATO, il presidente turco Erdogan avrebbe acconsentito a dare la propria approvazione grazie a un accordo, stipulato nell’immediata vigilia del vertice dell’Alleanza a Vilnius, con il segretario generale Stoltenberg e il primo ministro svedese, Olaf Kristersson. Il ruolo decisivo lo ha svolto tuttavia il governo americano e il colloquio telefonico di domenica tra Biden e Erdogan potrebbe essere stato decisivo nel convincere il presidente turco.

 

In molti hanno giudicato la decisione di quest’ultimo come una sorta di tradimento della Russia e di Putin, con cui Ankara ha intensificato la cooperazione in vari ambiti dopo lo scoppio delle ostilità in Ucraina. L’apparente volubilità di Erdogan non è però un elemento nuovo né sorprendente. Soprattutto negli ultimi anni, il leader turco ha perseguito una politica estera indipendente e spesso in contrasto con gli alleati NATO, scegliendo  attentamente quei partner in grado di volta in volta di garantire la soddisfazione dei propri obiettivi economici e strategici.

L’aspetto più interessante del “voltafaccia” di Erdogan sulla Svezia è la contropartita che ha ufficialmente richiesto per ratificare la candidatura del paese scandinavo. Prima di imbarcarsi per Vilnius, il presidente ha chiesto l’apertura di un percorso concreto per l’ingresso della Turchia nell’Unione Europea, così che Ankara, in cambio, lo aprirà per l’ingresso di Stoccolma nella NATO. La stessa istanza sarebbe stata presentata al presidente americano Biden nella già ricordata telefonata di domenica, anche se nel resoconto della discussione diffuso dalla Casa Bianca non vi è stata traccia dell’argomento.

La questione della candidatura UE della Turchia non era nell’accordo dello scorso anno per ottenere la ratifica dell’adesione alla NATO di Svezia e Finlandia. Non è chiaro quindi se l’ultima richiesta di Erdogan sia un rilancio deciso in un momento in cui le tensioni con Stoccolma sembravano essere tornate vicine al livello di guardia per via delle manifestazioni in Svezia, durante le quali sono state bruciate copie del Corano. Di certo, la presunta risoluzione della vicenda appare piena di contraddizioni.

Erdogan aveva ad esempio appena affermato che il governo svedese si era avvicinato all’adempimento delle condizioni necessarie a ricevere l’approvazione turca, ma che restavano ancora passi da fare in relazione alle attività di sostenitori del PKK. Ancora più singolare è il fatto che all’interno dell’Unione Europea ci sono paesi che oppongono una ferma resistenza alla candidatura di Ankara, a cominciare dalla Germania. Non solo, al di là della posizione dei singoli paesi, ci sono criteri “oggettivi” che l’UE valuta per approvare l’adesione di un determinato candidato e la Turchia non soddisfa molti di questi, come la questione del rispetto dei diritti umani.

Secondo alcuni, la mossa di Erdogan risponderebbe a esigenze in primo luogo di carattere economico, visto che la Turchia sta vivendo una situazione complicata e necessita del ritorno degli investimenti occidentali. Ankara vorrebbe anche aggiornare i termini dell’unione doganale con l’UE e ottenere la liberalizzazione dei visti di ingresso per i propri cittadini in Europa. La disponibilità anche solo a discutere di tutto ciò a livello europeo è però molto limitata, così da rendere improbabile progressi nel breve e medio periodo.

Per questa ragione, l’ex ambasciatore UE in Turchia, Marc Pierini, in un’intervista al sito Al-Monitor ha definito quello di Erdogan uno “stratagemma” che però “manca di credibilità”. A suo dire, la richiesta di riaprire i negoziati per entrare nell’UE risponderebbe quindi solo al tentativo di trovare una via d’uscita, sia pure “non realistica”, al ginepraio, provocato dal suo stesso comportamento, della candidatura NATO della Svezia.

In ogni caso, se così fosse, resta aperta la questione del motivo per cui Erdogan avrebbe sollevato una questione destinata a finire su un binario morto. La Turchia aveva presentato richiesta di adesione all’Unione Europea nel 1987 e ottenuto lo status di paese candidato nel 1999. I negoziati sarebbero poi iniziati nel 2005, facendo segnare trascurabili progressi, per poi fermarsi nel 2016. Negli ultimi anni l’Europa ha progressivamente inasprito le critiche nei confronti di Erdogan e del suo governo, in parallelo al costante spostamento verso est del baricentro politico turco e, soprattutto, alla crescente partnership con Mosca.

Se si considerano le dinamiche osservate dopo le elezioni turche dello scorso mese di maggio, è possibile comunque constatare un certo riassestamento delle posizioni in politica estera di Erdogan, con il relativo riavvicinamento all’Occidente. Oggetto di molti commenti sui media ufficiali è stata ad esempio la scelta del nuovo ministro delle Finanze, l’ex banchiere di Wall Street Mehmet Simsek, indicato come l’uomo giusto per invertire le politiche economiche “non ortodosse” perseguite dal presidente negli ultimi anni.

Sul piano generale, la retorica anti-americana ampiamente utilizzata in campagna elettorale è stata messa da parte, mentre già prima delle elezioni il parlamento di Ankara aveva dato il via libera all’ingresso della Finlandia nella NATO. Sul tavolo c’è senza dubbio anche la trattativa per ottenere i caccia F-16 dagli USA. La Casa Bianca ha approvato il trasferimento, ma il Congresso di Washington chiede che, prima, la Turchia approvi la candidatura svedese. Che il fattore armi abbia un peso determinante è apparso evidente lunedì, quando il ministro della Difesa turco, Yasar Guler, e il numero uno del Pentagono, Lloyd Austin, si sono intrattenuti telefonicamente e quest’ultimo ha espresso la disponibilità americana a facilitare la “modernizzazione” delle forze armate di Ankara.

Un altro segnale dello spostamento di Erdogan in modalità filo-occidentale era arrivato nel fine settimana con l’incontro a Istanbul con Zelensky. Nella conferenza stampa congiunta, il presidente turco ha affermato che l’Ucraina “merita” di entrare nella NATO e, come se non bastasse, ha consentito l’imbarco sull’aereo dell’ex attore comico di cinque comandanti del battaglione neo-nazista Azov, in stato di fermo in Turchia secondo i termini di un accordo sottoscritto con Mosca e Kiev lo scorso anno.

Queste iniziative di Erdogan sono state criticate con una certa durezza dal Cremlino, da dove è sembrata trasparire la sfiducia per il possibile ruolo di mediatore nella crisi ucraina del presidente turco. Al contrario, Mosca ha utilizzato toni moderati nel discutere della notizia dell’accordo sull’adesione della Svezia alla NATO. Il governo russo ha osservato che la Turchia, in quanto membro dell’Alleanza, ha determinati obblighi e, per quanto riguarda i rapporti bilaterali, la recente decisione sulla candidatura di Stoccolma non avrà conseguenze particolari.

La Russia riconosce che i due paesi hanno interessi contrastanti su varie questioni internazionali, ma allo stesso tempo lavora con la Turchia sugli elementi attorno ai quali i due paesi possono convergere e, in base a essi, continua a coltivare una partnership fondamentale per entrambi. In altre parole, Mosca condanna e ritiene pericoloso l’ingresso della Svezia nella NATO, ma non ne attribuisce la responsabilità alla Turchia. La natura delle relazioni tra i due paesi non cambierà perciò di molto. A testimonianza di ciò, lo stesso giorno in cui Erdogan ha detto di approvare la candidatura svedese, il ministro dell’Energia turco ha fatto sapere che Ankara sta negoziando con la Russia – così come con Cina e Corea del Sud – lo sviluppo di altre due centrali nucleari, in aggiunta a quella di Akkuyu, costruita assieme alla russa Rosatom e inaugurata a fine aprile con la partecipazione in videoconferenza del presidente Putin.

L’ingresso nella NATO della Svezia è un obiettivo fondamentale nel quadro della strategia di accerchiamento della Russia ed è scontato che gli Stati Uniti abbiano esercitato forti pressioni su Erdogan per allentare le resistenze in concomitanza con il vertice di Vilnius. Il via libera turco verrà quindi accolto con un sospiro di sollievo dai paesi membri. Allo stesso tempo, il rilancio della questione della candidatura turca a entrare nell’Unione Europea promette di innescare scintille a Bruxelles.

Restano comunque da verificare i tempi della ratifica da parte del parlamento di Ankara, nonché di quello dell’Ungheria, unico altro paese che non ha ancora provveduto a sbloccare la situazione per Stoccolma. Sul fronte domestico potrebbero esserci d’altra parte tensioni, sia perché il volume delle accuse di islamofobia dirette contro la Svezia è stato altissimo in queste settimane, provocando di conseguenza una certa mobilitazione popolare, sia perché le prospettive di ingresso nell’UE della Turchia appaiono, almeno per il momento, tutt’altro che incoraggianti.

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